Formaggi: il Salva Cremasco Dop. Perché si chiama così, come viene prodotto. Sulla tavola di papa Gregorio
Sostiene il cuoco, acuto (o Chef Guascone che dir vogliamo) provocatore e acuto opinionista, ma soprattutto patron e Deus Ex Machina del ristorante di Moscazzano “Hostaria San Carlo” Sergio Brambini, (colui il quale ha ipnotizzato Alessandro Borghese in una puntata del format “Quattro Ristoranti”) che… più del Tortello Cremasco e dal Nobile Salame Nostrano, ecco il Salva, oltre a ben rappresentare, sulla tavola, il pathos del Granducato del Tortello, opportunamente confezionato, rappresentato e distribuito, può diventare, per la Bassa Lombardia e l’Italia, ciò che la Feta rappresenta per la Grecia.
Antonio Bonetti, cuoco ricercatore, pensionato … ma non troppo, ed ex proprietario del Bistek di Trescore Cremasco, per far ottenere la De.Co. al Salva con le Tighe di peperone verde (portata tipica assai sulle cremasche rive del fiume Serio) si è adoperato assai e la sua versione fritta, pensata per il formaggio autoctono, regala emozioni soltanto a pensarla.
Quelli che il Caseificio Carioni Food & Healt, (Trescore Cremasco), e lo storico Raviolificio Salvi di Crema, col Salva hanno creato ravioli ripieni da Oscar: degustare per credere.
Allora, se non lo avete ancora capito, stiamo parlando di quello che … secondo il (ben fatto) sito internet (www.salvacremasco.com) ufficiale ad hoc, si chiama Salva Cremasco Dop ed è un formaggio molle da tavola a pasta cruda, prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, a crosta lavata, con stagionatura minima di 75 giorni. La zona di produzione del Salva Cremasco comprende l’intero territorio delle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Lodi e Milano, all’interno della quale devono avvenire tutte le operazioni di produzione del latte, caseificazione e stagionatura.
Durante il periodo di stagionatura, che si protrae per un minimo di 75 giorni, la forma viene frequentemente rivoltata e trattata con un panno imbevuto di soluzione salina o spazzolata a secco, al fine di mantenere le caratteristiche della crosta e ridurre le ife, contribuendo a far assumere alla forma la colorazione caratteristica. Non è ammesso alcun trattamento della crosta, fatte salve le spugnature con acqua e sale, e l'eventuale uso di olio alimentare ed erbe aromatiche.
Per la produzione del Salva Cremasco è utilizzato il latte vaccino intero crudo derivante dalle razze bovine allevate nell’area di interesse, la Frisona italiana e la Bruna Alpina.
La stagionatura deve avvenire su assi di legno in ambienti che abbiano un’umidità naturale o controllata dell’80/90% e con una temperatura compresa
tra 2°C e 8°C, in rapporto alle condizioni di temperatura esterna.
Durante il periodo di stagionatura, che si protrae per un minimo di 75 giorni, la forma viene frequentemente rivoltata. Le testimonianze che comprovano la storica presenza del prodotto nella tradizione dei luoghi sono numerose.
Il Dizionario Etimologico del dialetto Cremasco e delle località cremasche pubblicato da Andrea Bombelli nel 1940 alla voce “salva” definisce tale “strachì da sàlva = stracchino cremasco indurito in seguito a spalmatura d’olio e conservato per l’inverno”; tracce meno recenti permangono radicate
nelle memorie familiari dei produttori e degli stagionatori, ancor oggi impegnati nella tutela e nella commercializzazione di questo prodotto.
Le fonti intervistate sono tutte concordi nell’attribuire l’origine semantica del nome proprio alla sua funzione, e cioè alla necessità di salvare le eccedenze di latte:
“Intorno ai primi decenni del ‘900, per esempio, c’era chi ritirava (economia del non spreco) il salva dai bergamini che venivano con le loro mandrie dal bresciano e dalla bergamasca e per salvare, di fatto, le eccedenze di latte durante il loro tragitto.
Si chiamava salva, perché aveva appunto salvato il latte in eccedenza. Quando arrivava il periodo caldo il formaggio molle non resisteva a lungo. I bergamini tornavano ai monti mentre quelli che si erano fermati in pianura avevano la necessità di utilizzare il latte in sovrabbondanza e impiegarlo nella produzione di un formaggio che potesse avere una durata medio-lunga. A riprova del largo consumo in zona appaiono caci di diverse forme nei numerosi quadri e negli affreschi, databili XVII° e XVIII°, dove sono raffigurate tavole imbandite o scene tratte dai sontuosi banchetti.
A tale proposito un recente studio (Gruppo Antropologico Cremasco – Crema a tavola ieri e oggi - 2001) ha messo in evidenza immagini che ritraggono vistosi pezzi di formaggio e, nella cena di San Gregorio Magno, ispirata alla leggenda aurea, compare sul desco una piccola formella di salva che sembra quasi pronta per essere agguantata dall’illustre pontefice.
E ancora, in tempi più recenti, risulta che il famoso condottiero Bartolomeo Colleoni, capitano generale della Serenissima mandato a ispezionare le
fortificazioni di Crema, il 26.8.1466 abbia ricevuto tra i donativi due forme di formaggio stagionato la cui indicazione è riconducibile al Salva Cremasco.
Il Consorzio Tutela Salva Cremasco è stato costituito come ente senza scopo di lucro il 21 Novembre 2002 e conta 24 soci, 9 dei quali sono produttori, 15 sono stagionatori, oltre a 11 commercianti che aderiscono al Consorzio in qualità di utilizzatori del marchio sugli incarti del Salva Cremasco.
Impanato e fritto, oppure impiegato per realizzare spiedini, per insaporire i risotti o le frittate, per creare insalate, tortini o torte sia dolci che salate. Si abbina bere alla birra, in particolar modo alle weiss tedesche, ma anche a vini bianchi delicati o rossi giovani come il Pinot Nero. Con la Malvasia di Candia, in particolare con quella Ancestrale della Cantina Caleffi, letteralmente: degustare per credere, beh … spacca ed emoziona!
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