8 novembre 2021

Il rosario dei Menaturòn, el Cibalo. E la ricetta della crema chantilly al torrone

En Nadàl senza touron

Questa è la settimana che ci porta alla “Festa del torrone”, logico quindi che anche l'Appetito vien mangiando si adegui all'evento. Ricordiamo un elogio dialettale del torrone di Giovanni Lonati:

O doulz de mel e armandoule,

zeùcher, droghe e ciare d'of

me te amiri, me te veneri

quand te vedi o passi aprof:

te seet n'a roba bouna!

te seet el vanto de Cremouna!

...En Nadal senza touron

l'é'n Nadal ben da coujon!

 

I Menatorrone e il rosario completo per mescolare

Menàa el turòon” è un modo di dire cremonese e sta per “infastidire con insistenza”, “l' è'n mèena turòon” è un altro modo di dire che sta per “attaccabbottoni”. In realtà i “menatorroni” , come ricorda Luciano Dacquati, erano coloro che erano deputati alla preparazione del torrone: “infatti per arrivare al giusto punto di preparazione, il torrone va mescolato molto a lungo, poiché essendo a base di miele e zucchero, appiccica molto” (“Te'l dìghi in cremunées”). E dovevano rimestarlo molto se un'antica ricetta dice che perchè fosse consideraro pronto, il menatorroni dovesse recitare nell'operazione almeno un rosario. E questa consuetudine viene confermata da un antico documento, come racconta Giorgio Maggi.

Il lavoro dei Menaturòn era stagionale (il torrone aveva un breve tempo di conservazione e del resto, dopo le ferie natalizie, era difficile la vendita): da settembre alla fine di dicembre. Nella maggioranza gli operai addetti alle caldaie erano muratori e imbianchini che, disoccupati durante l’inverno, andavano così a sbarcare il lunario, o talvolta panettieri che, terminato il turno in forneria, alle quattro del mattino, quando iniziava la “cotta” si presentavano in fabbrica a “menare il torrone”. e a racimolare qualche lira in più con cui rimpinguare i loro scarso guadagno.
La lavorazione richiedeva turni orari abbastanza ferrei: la cottura tra le quattro del mattino e mezzogiorno; nel pomeriggio si provvedeva a sistemarlo negli stampi e, una volta raffreddato, a tagliare le stecche; il mattino seguente si incartava, si preparavano le confezioni, si eseguivano le spedizioni. Alle donne era riservata l’ultima parte della lavorazione, ma era anche per loro una fatica improba e con orari impossibili, gravosi.
I macchinari erano ancora rudimentali, apparivano i primi pentoloni di rame a bagnomaria, ma il torrone andava ancora “menato” a mano. C’erano pure le prime taglierine, ancora manuali e durissime e qualche volta pericolose da manovrare.
La rivoluzione industriale toccò il torrone agli inizi del secolo con la meccanizzazione e la creazione di una macchina speciale: veniva dalla Francia, ove era stata progettata e costruita e rivoluzionò tutto il sistema di fare torrone: si chiamava ”Poêlon à nougat”: era costituita da una bacinella a doppia parete, riscaldata a vapore, ad olio o a corrente elettrica e dotata di due pale agitatrici, naturalmente a velocità variabile.

                                                                                         

Un antico documento, la leggenda dei Balzarini

Tralasciamo la storia del torrone che deriverebbe dal mondo arabo di cui in tanti hanno scritto e fermiamoci ad alcuni appunti preziosi di Giorgio Maggi dove racconta che tra gli invitati alle nozze del condottiero Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti ci fosse anche il giovanissimo (quasi ventenne) Federico da Montefeltro accorso ad aiutare lo Sforza dopo la morte del padre Bernardino Ubaldini a Cremona il 24 maggio 1437. La tradizione vuole che il dolce nunziale a base di albume e mandorledenominato torrone offerto al banchetto fosse preparato dal famiglio e cuoco personale di origine pugliese alle dipendenze di Federico. Altri affermano che la ricetta fosse confezionata a forma di grande torre da mastro Martino cuoco comense del Patriarca di Aquileia nella cucina della dimora di Giovanni, figlio di Balzarino de Bordolano, testimone di nozze. La tradizione pasticcera dei Balzarini rimarrà incontrastata a Cremona sino al secolo scorso e il loro negozio e laboratorio era situato proprio all'inizio del lungo viale che portava alla chiesa di San Sigismondo.

Lo storico Antonio Dragoni aveva un documento forse tratto dal carteggio di Jacques Pierre Tinet-Parigi 1802 in cui si dà la ricetta del torrone e che sarebbe molto più antica del matrimonio:

in un parvo caldaro ramato posto a bagno maria, rimesta 10 once de miele, 10 de succharo, 3 de acqua piovana per lo spatio de quindece paternoster ancho se taluni consigliano l'intero rosario. Amalgama poi tre albumi montati siccome neve ed sempre rimischiando gionta una libra de mandorle e scorza de limone de Sicilia, 3 once de' canditi. Mischia ancora con fortitudo la olla che ora sarà sempre a calore vivo. (puoi artifiziare l'acqua dello bagno maria giontandove tanto sale che farà più alta la temperatura di bollizione). Termionata l'alchimia, riversa il ricotto a caramella su carta ostia, spiana su marmo e tagliae separa con coltella affilata. La crosta abbrunata de stracotto tacco sul fondo del caldaro è da molti prediletta. Essa è la propria e vera formula del famoso 'Torrone dei Cremona' e me vien da uno manoscritto de Istoria Ecclesia nello quale lo primicerio prete Wolfiido nell'anno 768 sotto lo papa Stefano III, offrì allo Vescovo venuto in città, ceri, paste, pani aromati e spetiati, zuccherini e mandorlato a forma di torrione. Santa tradizione che piace replicare la pia Bianca Maria de' Visconti per li suoi sponsali che vole solo canditi agrumati de' arancio et lemone et gusto de' vanillinase trovi baccelli a la spezieria de' Domenicani. Colle armandole, farina strutto e miele se fanno dolcetti da forno durissimi che se nomano stracadèent”.

Giorgio Maggi

 

El ciballo e la schiacciatina di torrone

Il torrone affina la sua qualità distinguendosi a Cremona dal volgare “ciballo” o torrone di importazione. Ma cos'ha di diverso il ciballo dal torrone. Il torrone arrivò tardi sulle mense della gente povera e grazie ad un tipo particolare, il “ciballo”, ancora una vera invenzione dell’industriosità dei produttori cremonesi alIa fine dell’ottocento. Il “ciballo” viene ancora venduto soprattutto dagli ambulanti, sui banchetti delle fiere di paese. Non era il tipico torrone. ma gli si avvicinava molto e, soprattutto, aveva un costo relativo, accessibile alle tasche dei meno abbienti. Le mandorle, anzitutto, vennero sostituite dalle arachidi, molto meno costose, che si cominciava ad importare dall’America. La quantità di miele venne ridotta all’osso a favore di zucchero e glucosio, un pizzico di ammoniaca, che comunque non influiva suI sapore: serviva a sostituire quasi totalmente l’albume d’uovo favorendo il processo di areazione e rendendolo sufficientemente friabile. I tempi di cottura furono cosi drasticamente ridotti e la confezione, con la tipica stagnola e le strisce multicolori, quasi totalmente eliminata. Per i venditori ambulanti veniva preparata la “chisòoIa”. un pezzo di torrone schiacciato tra due assicelle per dargli una parvenza di forma e stretto tra due biade. che era forse la forma primitiva in cui il torrone veniva portato in tavola. Gli ambulanti passavano a ritirarlo nelle prime ore del mattino dalle fabbriche e lo portavano suI mercato. Bisognava anche venderlo in fretta: i tempi di conservazione erano piuttosto brevi, ma il “ciballo” andava a ruba e nei momenti difficili fu proprio questa produzione povera a tenere a galla alcune industrie dolciarie anche famose della città che lo smerciavano sfuso, senza il loro marchio, quasi fosse una vergogna produrlo.

La procedura di preparazione del torrone è ben illustrata nelle ricette che abbiamo visto. Il Peri, nel suo dizionario, riporta il riferimento a un dolce economico di cui si sono perse le tracce, sottoprodotto della lavorazione del torrone e molto ricercato dai cremonesi dell'Ottocento: “quella parte del torrone che quando più quando meno abbrucciaticcia rimane nel fondo della caldaja, e ridotta in piccole schiacciate per lo più tonde, fra due cialde, vendesi a men prezzo che non il torrone proprio. Mal non parrebbe indicare la cosa che la dicesse Schiacciatina di Torrone”.

 

La ricetta: crema chantilly al torrone

La ricetta è di Maurizio Santin, il pasticcere nero, che nel 2013 la propose in un evento della Vergani durante la Festa del Torrone.

Ingredienti: 400 gr. di panna, 100 di mascarpone, 30 gr. Di zucchero semolato, 50 gr. Di pasta di torrone.

Procedimento: Miscellare tutti gli ingredienti e lasciar riposare in frigorifero almeno una notte prima di montare la chantilly.


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commenti


Patrizia Signorini

8 novembre 2021 20:24

Grazie. Bellissimo articolo