1 novembre 2024

La cottura slow della Trippa

OGGI TRIPPA.  Era un cartello affisso alle tante osterie di Cremona fino a qualche anno fa, personalmente è un cartello che potrei affiggere innanzi alla panza, con l'aggiunta di ieri e domani (mi metterò a dieta quando per abbottonare la camicia dovrò fare un passo avanti; per questo indosso solo magliette). 
 
Lilluccio Bartoli (che infierisce con la trippa anche sul web... daghè n'uciàada...)
 
Trippa come piatto povero, trippa per un apporto proteico a basso costo nei tempi dove il benessere trovava chiuse sbarrate le porte dei contadini e il più delle volte nemmeno bussava. Non avrebbero nemmeno saputo come accoglierlo e così si scevravano dal cruccio dei ricchi che è quello di perderlo.
Colgo l'occasione della celebrazione sulla trippa "svolgentesi" in riva al Po a Cremona -con assaggi e tasti di meraviglie- per seviziare i tasti (per una volta non dolenti tasti) del marchingegno elettronico informatico. Ho iniziato con "Colgo l'occasione..." e il saper cogliere, implica un certo discernimento. Si può cogliere di tutto, anche le palle al balzo, rendendo invero poco prestanti i marsupiali australiani.
 
Forse mancherò di tatto, ma non d'olfatto; la trippa rivela in maniera maschia la sua presenza. Scoprire la trippa -perché ormai s'è persa e abbisogna di un navigatore satellitare per trovarla- significa cogliere, tra effluvi e afrori splancnici (ostrega questa non m'aspettavo di saperla, ma la so ed è pertinente all'argomento viscere & affini) la grande nobiltà della povertà. Certe cose bisogna saperle cogliere: come si chiamano quelli che "cogliono"? Mi pongo una domanda del genere solo perché non posso dire mi plastilina una domanda del genere.
 
Il consumo di questa frattaglia -talmente considerato scarto da annoverarlo nel quinto quarto- era così in auge che, a Cremona, c'erano botteghe dedite solo allo spaccio di essa (l'ultima chiuse in Via Beltrami nel 1997) e le osterie che la servivano erano una trentina Alto Adipe. La povera trippa è talmente povera da avere pure poche calorie (meno della ricotta) ma l'opinione comune, data dall'assioma trippa = pancia*, la vuole nella categoria che bandisce i grassi e ai dettami della quale si adeguano frotte di... (meglio che non metta l'epiteto che sto pensando, così risparmio una querela, però ci starebbe bene consumatores dephicentis maximum) che diligentemente tolgono il grasso dal prosciutto e poi consumano patatine fritte con la maionese. Fossero coerenti, almeno dovrebbero prima strizzare le patatine stillanti grassi indecenti, fossero coerenti presterebbero attenzione (poi se la farebbero ridare) agli ingredienti dei wurstel di second'ordine, dove la voce trippini chissà cosa cela mai.
 
*Si scrive stomaco, ma si pronuncia pancia: infatti ho la pancia pronunciata.
 
Quando si tratta la trippa, la prima cosa da fare è andare sul pulito. Qualcosa di molto simile alla dichiarazione dei redditi: passa la lama dello stato, ad assottigliarne lo spessore, fino ad andare sul pulito. Trucioli di trippa da un lato, truci esattori dall'altro, con una sola differenza: nel primo caso l'operazione serviva a non sprecare nulla, nel secondo a sprecare tutto. Data la sua natura, per l'acquisto della trippa bisogna riporre parecchia fiducia in chi ha l'ingrato compito di pulirla: è possibile che qualcuno abbia familiarità con Cambronne*.
 
*Cambronne. Generale franzoso, schierato dalla parte di Bonaparte, famoso perché a Waterloo, alla richiesta di arrendersi, rispose tout-court: "Merde!" parola di cui, da allora, detiene il coproright.
Auspico che la scienza della scatologia, ad imperitura memoria, si adoperi perché Waterloo diventi Waterclosed.
 
C'era chi la metteva nei cesti depositandoli nei corsi d'acqua, affidandone alla corrente la bisogna, sfruttando poi il tempo risparmiato per sgranchirsi le braccia lavorando nei campi, all'epoca inquinati di miseria. Altri tempi, altri inquinamenti.
Ora, sbrigativamente, alla trippa si fa un bagnetto in gioiosi acidi sbiancanti, in attesa di farle altre abluzioni propedeutiche ad un altro bagnetto stavolta in compagnia di carota sedano e cipolla coi quali farà amicizia e si sentirà particolarmente a nostro agio, vegetariani* esclusi.
 
* Vegetariani. Ne esistono diversi modelli, tutti adorano gli animali: io ho una predilizione per quelli cotti. Da chi semplicemente si professa tale perchè non mangia carne e si infervora se vede una pelliccia indossata (ma non s'avvede delle proprie scarpe di cuoio) a chi è contro il maltrattamento degli animali e poi usa spray per deodorare le ascelle di mosche & zanzare (graziose creature che il buon Noè deve ancora spiegarci perché ne ha salvato una coppia) con bombolette riportanti dicitura "Li ammazza stecchiti".
 
Da chi coscienziosamente bandisce agnelli che inteneriscono il cuore (a me qualcos'altro distante dal medesimo una mezza spanna) e si pappano gamberi, scampi fritti che -secondo costoro- vengono salvati dalle acque per non farli annegare. Che Dio ce ne scampi e gamberi, i gamberi non hanno scampo. Non ci sono più le mezze porzioni!
Nella scala che scende al veganismo (i vegetariani-vegetaliani che si nutrono solo di alimenti che non abbiano avuto genitori, al massimo qualche pomodoro orfano) troviamo anche...
Animalisti: ritengono eccessivo quel che la natura dà in dotazione ai maschietti di simpatici micioni e scodinzolanti cagnolini. Una svolazzante sforbiciata e chi ama gli animali è felice; ai soggetti quadrupedi bipalla girano le palle (per terra, ma per una volta sola, due se le forbici non fanno centro) e possono ri-scondinzolare se la sfumatura non è stata eccessivamente alta. 
 
Facetia riempitiva; Hitler* era vegetariano, ripeto: ariano. *Ideatore di beauty farms per mantenersi magri, in una di esse -Auschwitz- gli ospiti, per protestare contro la rigidità dei regolamenti [e del clima] fecero lo sciopero della fame, più che a oltranza, a oltretomba.
Asceti: digiunisti osservanti. Come il cammello, riescono a lavorare una settimana senza bere e mangiare. Io riesco a bere e a mangiare una settimana, senza lavorare. Sono un manducatore osservante perché trovo più piacevole osservare il cibo che avere una vista panoramica sul digiuno. Sul fatto poi di osservare il lavoro, rimando al genio che ha detto: "Adoro il lavoro, starei ore a guardarlo."
 
Crudisti: ne fanno di cozze e di crude, immettono in circolo solo ortofrutticoli che non abbiano avuto alcun trattamento, nemmeno la cottura e che scafati ortolani si approvvigionano scegliendo tra le seconde scelte -quindi secondoscegliendo- per mostrare, ai puristi in questione, frutta leggermente difettata spacciandola per assolutamente naturale e toccata solo dal sole. Trovo comici i siparietti al supermercato, che vedono massaie indossare guanti asettici per toccare mele che han subìto trattamenti millanta. Lo fanno per non inquinare gli inquinanti.
 
Patatisti: cercatori del prezioso tubero che amano scovare personalmente detto ortaggio incaponendosi a volerlo trovare sotto le gonne. La solanacea dà assuefazione. C'è chi non si cura della cura e figura tra i benefattori dell'industria farmaceutica scegliendo strade diverse che portano tutte in Via Gra.
Personalmente ho conosciuto il vegetariano più coerente esistente al mondo: non giocava a scacchi per non mangiare il cavallo.
 
Se qualcuno è targato Cr, ricorderà la pletora di osterie con "Oggi trippa". Talune -"La luna"- chiusero i coperchi nel 1995, altre son diventate altro: banche (osteria Barborini di Via del sale) alloggi chic (la Bùnuméla di Via Bonomelli, la Taverna di Via Piccio, la Famiglia di Via Ala Ponzone) e mi fermo qui per la puntina d'ulcera che fa capolino ogni volta che tocco questi argomenti. E' la stessa ulcera che mi piglia quando nei menù scorgo raccapriccianti voci come piccola insaltina tiepida di vattelapesca o coniglio servito con le sue pesche glassate (che notoriamente il coniglio -schizzinoso com'è- glassa personalmente sfruttando il tempo che proverbialmente risparmia sulla copula).
 
Nelle osterie summenzionate venivano servite fumanti scodelle di trippa in brodo ammantate di grana di nostra signora frisona (una vera vacca). "Spurcacìin"* era famoso per la sua trippa col brodo d'oca (animale intelligentissimo che da palmipede, quando lo si fa patè, diventa spalmipede) e il grazioso soprannome, "Spurcacìin", lo doveva alla disinvoltura con la quale risparmiava sui detersivi, riciclando scodelle con la ragguardevole velocità che otteneva ri-riempiendole appena usate e tenendole a debita distanza dal lavello, in questo facilitando l'accrescimento di anticorpi di clienti sconosciuti tra loro, accomunandone le difese immunitarie.
 
*Spurcacìin. Aggettivo maschile. Letteralmente Sporcaccino. Diminutivo di spurcaciòon, in lingua -non salmistrata- Sporcaccione. Persona poco avezza alla pulizia. Individuo attratto assai dall'universo femminile col quale ama abbandonarsi ad ogni genere di nefandezze, senza rendersi conto che l'oggetto del desiderio (più propriamente una oggetta graziosamente a forma [t]romboidale) è più a danno chi ne fa uso che non di chi l'ha. Proverbi: "Tira pùsèe 'n pìil dè oggetta che èn càr de bòo" abbinabile circamenoquasi con "Era così dedita al meretricio d'avere un marciapiede in casa".
 
In altre città la trippa ha tenuto alto il lignaggio della povertà. Firenze ha i lampredottai (venditori di lampredotto, per i precisini l'abomaso) che ancora la vendono per strada, evidentemente la culla della nostra lingua ha saputo conservare meglio la tradizione.
Qui ci si perde in inflazionatissime birroteche, paninoteche, tramezzinoteche, teche away.
 
Non siamo più per i sapori decisi, l'industria ha bisogno di gusti medi per cavalcare un prodotto standard esente dall'inimbrigliabile morso delle stagioni e dall'approvvigionamento artigianale. L'industria deve trovare, subito, tutto, tanto, che costi poco e non aspetterà mai che la natura maturi i pomodori.
I pomodori maturi durano poco, hanno un sapore poco chimico e odorano di sole. Si fa molto prima a decerebrare le ultime cellule grigie non ancora in metastasi da reality show e convincere il consumatore che quel che fa bene a lui è quel che conviene all'azienda, quindi nel caso del pomodoro è molto meglio quello con gli occhi a mandorla, magari liofilizzato, così si risparmia pure con lo stoccaggio ed il trasporto, è sempre pronto e nemmeno spreca energia per il frigorifero (l'industria ha sempre a cuore la battaglia contro lo spreco: ha il cuore verde, lo $te$$o colore dei dollari).
 
La trippa (alias stomaco, anzi i diversi "stomaci" del quadrupede ruminante, depositi naturali di caglio) è il reparto maternità del formaggio, sezione ostetricia della sopravvivenza alimentare, è in fondo agli archetipi dell'uomo. Per non sprecare il latte, un tempo conservato in recipienti naturali come lo stomaco, l'homo sapiens aveva notato che la sua mutazione gli permetteva di durare nel tempo, sfruttando l'inacidimento naturale, conservandosi più a lungo (gli spagnoli chiamano la trippa caglio, e se la schiaffate sulle braci, una sapiente e accurata cottura saprà dipanare dalla trippa richiami di formaggio) come se il latte si trasformasse in aceto per poi autoconservarsi sottaceto.
Fate bollire una tazza di latte, aggiungete un cucchiaio d'aceto e vedrete scindere il latte in formaggio e latticello, operazione di una facilità estrema, tanto che l'industria, molto attenta al rapporto costi-benefici, se n'è appropriata e affinché, quel rapporto, si sbilanciasse più a favore dei benefici che dei costi, ha riscoperto la straordinaria salubrità e redditività dello yoghurt.
 
Quando il povero disgraziato aveva un secchio di latte che gli sarebbe andato a male, faceva il formaggio che, col tempo, gli avrebbe dato sostentamento; quando i disgraziati sono più d'uno e fanno una S.p.A non gliene frega niente -col tempo- d'avere sostentamento, vogliono veder il frutto del loro investimento subito e ni€nt' a£tro.ooo.ooo.
E allora, cosa è meglio di un litro di latte che dà -subito- un litro di yoghurt -allo stesso prezzo di un chilo di formaggio- con molto meno lavoro? Capiscano le mamme, che per il bene dei loro frugoli, comprando lo yoghurt, fanno il bene di frugoli cresciutelli e molto scafati. Con la scusa poi della linea, ti scremano pure il latte, ma basta -per non ingrassare- saper scegliere tra i formaggi. Ad esempio, se dell'Emmental si mangiano solo i buchi, nessuno ingrassa, se alla Parmalat si fanno i buchi, qualcuno ingrassa.
 
Rewind. Trippa. Una fumante scodella di trippa (una volta fumavano tutti nelle osterie, la nebbia era di casa e in casa) era pronta a tutte le ore sull'angolo delle stufe di una volta. Sull'angolo della stufa* perché era la cottura più dolce, più lenta; mai sentito parlare di stufato? Ora non c'è più tempo per queste lungaggini, strano che lo si trovi al volo se c'è d'andare in palestra, luogo di fatica*, come lo erano i campi che formavano più delle palestre.
*Stufa. Dal verbo stufare. Famosa frase pronunciata da Giovanna d'Arco durante un poco piacevole conciliabolo nella stanza delle torture: "Basta! Non ne psso più, sono stufa!" Essendo stufa la riempirono di legna e la fecero flambé.
*Fatica: Voce che nell'inventario delle mie capacità risulta assente.
 
La cottura slow permetteva ai sapori di compenetrarsi e fondersi in amalgame di cui solo l'oste conosceva i segreti (nel caso di Spurcacìin il suo impareggiabile tocco era di pubblico dominio) e una sua mezza scodella di trippa sanciva il contratto di compravendita delle vacche il giorno di mercato, dopo rituale tira e molla sul prezzo, sputazzata sulla mano e stretta conseguente a vidimarne la legittimità senza scartoffie notarili di sorta e assai più vincolanti delle medesime. Legalità di una volta di leggi non scritte ma osservate e rispettate, socchiudendo un occhio sul bastone malandrino che compratore e venditore usavano all'insaputa dell'altro, uno per sollevare di poco il ruminante e sgravare dall'eccessivo lavoro la pesa, l'altro per calcare la mano e ottenere l'effetto opposto.
 
Una sorta di cresta sul prezzo, politicamente scorretta che però richiama la trippa ad un comportamento politicamente corretterrimissimo per chi fa la fatica di controllare i bilanci dello stato; il ministro Sonnino, spulciando le spese del regno, alla voce "Trippa per gatti" aggiunse di suo pugno -previa espunzione dell'importo- questa corretterrimissima chiosa: "Se i gatti mangiano i topi, non c'è bisogno della trippa; se i gatti non mangiano i topi, non c'è bisogno dei gatti".
Lilluccio Bartoli


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