La cucina del riuso: le véerze màte, la rüsümàada, el fricandot, le croste di formaggio
Prosegue la ricerca di Agostino Melega sui piatti del riuso, la tradizione del cibo salvato. In questa puntata ci sarà di tutto un po'.
Qui di seguito indicheremo altri esempi della multiforme gestione della cucina del riuso, a partire dai prodotti dell’orto, come la verza e l’uva, per impattare poi la rüsümàada, oltre alle croste di formaggio e ad altre “invenzioni” della cucina popolare d’un tempo.
Mondeghèt con verza (involtini con foglie lessate di verza)
Durante la ricerca, ho saputo da Emanuela Arié degli involtini con foglie lessate di verza. Essi si preparavano "col riso avanzato e con la carne avanzata, insieme ad olio sale pepe, più un uovo (a volte anche con patate lessate schiacciate). La cottura in padella veniva eseguita con poco olio, accompagnata da una sfumatura di vino bianco. Col riso, si riutilizzava pure la salsiccia avanzata". Un nome particolare a questa pietanza è stata data a Cingia de’ Botti, definendola “mondeghèt con verza”, che presenta rispetto alla prima ricetta citata l’aggiunta di noce moscata e passata di pomodoro .
Le véerze màte (le verze matte), la véerza pòola e...dintorni
"Le foglie delle verze venivano scottate in acqua bollente, poi arrostite con óoli gròs, olio non raffinato, come quello di lino" . Dal canto suo Renato Bandera mi scrive:"Ricòordete de la véerza Pòola (ricordati della “verza Pola”), con le foglie cerose e più dure della stessa verza, che venivano tagliate finissime e insaporite con aceto, tanto aglio e poi passate in olio, cotte molto a lungo, a fuoco lento per cercare una morbidezza che altrimenti non avrebbero avuto". . Ezio Tira, a propria volta, mi segnala il piatto dei custù de érs e bròcoi, i gambi e la parte dura interna delle verze e dei broccoli:"tolta la parte fibrosa esterna, e tagliati a fettine i gambi e la parte dura interna delle verze e dei broccoli, essi venivano conditi o da soli o mischiati ad altre verdure". Stessa cosa viene annotata a Cingia de’ Botti con el crustòon de véerza, il torsolo della verza:"il gambo della verza veniva pulito, poi tagliato a pezzi e mangiato soprattutto a merenda". Era proprio uno spuntino povero, che ha forgiato il modo di dire:"A chi le fóje a chi i crustòon, a chi le foglie a chi i gambi", a chi tutto a chi niente.
La rüsümàada
Il Dizionario del dialetto cremonese attesta che il termine è da attribuire alle uova sbattute con zucchero. Per gli ospiti del Reparto Carelli del “Germani”, la rüsümàada consiste invece in "verdure ripiene (con l’avanzo delle verdure dell’orto: zucchine, melanzane, pomodoro) di pane ammollato con il latte, uovo, prezzemolo, aglio, sale e pepe". Succede che gli stessi nomi scivolino spesso via, nei dialetti così come in lingua, su riferimenti diversi.
El sfracandòt (il "frettoloso")
Lo sfracandòt, piatto di risulta in quel di Cingia de’ Botti, era un fricandòt a cui veniva aggiunta carne d’avanzo. Per la sua spiegazione bisogna allora partire dall’impasto base, el fricandòt come lo chiama Antonio Mori o el fricandò, che il Dizionario del dialetto cremonese attribuisce a due impasti: al ragù e alle uova strapazzate con pomodori e altro. In questo ‘altro’ si può ipotizzare l’addizione di carne d’avanzo, quella medesima carne che mi ha attestato lo stesso Mori. Ciò però viene escluso da quanto scrive Diva Negroni Gozzetti, la quale, attraverso la consulenza di mamma “Dede”, dice:"Il fricandò si preparava con cipolla leggermente soffritta, poi pomodori e sale. Dopo la cottura con la cipolla metti le uova, che rompi nel tegame. Attenzione alla cottura, il fricandò deve essere morbido". Che dire? Tutto questo, insieme alla carne avanzata, rientra nel ricordo dello sfracandòt, piatto avito, e fatto in fretta, di Cingia de’ Botti.
Al frìtu-frùtu (il fritto frutto)
La maestra Elide Polenghi Paternieri, di San Daniele Po, dice che attraverso gli avanzi della minestra o della polenta si creava un impasto ‘duretto’ con un po’ di farina, alto un dito, atto a preparare al frìtu-frùtu, il fritto-frutto. "Poi lo si passava nella padella di ferro e lo si faceva friggere con un poco di strutto. Quando da una parte si creava la crosticina, lo si girava e si passava dall’altra. Una volta cotto lo si metteva nella carta per togliere l’unto. Poi lo si zuccherava un po’. Era una vera goduria".
El tusél e li crùusti de furmac (strisce e croste di formaggio)
Ezio Tira annota fra i cibi d’avanzo la ghiottoneria de’l tusèl e le cröste rustìide. El tusèl era il nome dato alle strisce di formaggio ancora tenero che venivano arrostite, una volta essere state rifilàade, rifilate, ossia tolte dagli stampi dai quali fuoriuscivano. Mentre le cröste rustìide, le croste arrostite, erano "le croste di formaggio grana sottratte ai denti della grattugia, arrostite sulla griglia preventivamente messa sulle braci del camino e mangiate ancora bollenti".
Da parte sua, Antonio Mori ha ricordato li uféli de crùusti de furmàc, focacce di croste di formaggio. Mentre Giampietro Tenca ci ha spiegato la preparazione de li grósti rustìdi, le croste di formaggio abbrustolite:"Venivano prima accuratamente grattate con un coltello e poi messe ad abbrustolire sulla piastra della stufa. Quando si erano sufficientemente ammorbidite venivano tolte con una forchetta per non scottarsi e poi, prima che si raffreddassero, golosamente mangiate dai “grandi”. In alternativa, anche oggi, le croste del formaggio, possono essere un gradito ingrediente nei minestroni di verdura".
Minestrone di guerra
La poetessa Franca Piazzi Zelioli ha scritto che "in tempo di guerra la mamma metteva nel minestrone di verdura anche le bucce dei fagioli e i baccelli dei piselli: ben tritati con le forbici e ben lavati (non c’erano allora i frullatori) e con le foglie dei rapanelli faceva il risotto, in sostituzione degli spinaci".
Le ciàcere, le friade del papa
Su Folklore Cremasco, il libro di monsignor Piantelli, considerato in gergo, e con giusta ragione, “la Bibbia” da quanti si avvicinano agli studi di antropologia, folklore e dialetto nella terra dell’antica Insula Fulcheria, abbiamo letto altri due piatti rientranti nell’oggetto della nostra ricerca: le ciácere, le bucce di rape fritte; così come abbiamo letto delle friade dal Papa, ossia di un piatto preparato con la pelle di pollo lessato (92).
Nella foto i salumieri di Gian Butturini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti