14 marzo 2022

La Patùna e in piazza Cavour profumo di marroni. Le gite in Vernasca

Della patùna ci siamo già occupati lo scorso novembre. Giorgio Maggi ha voluto aggiungere altre notizie su marroni e castagne, rievocando le spedizioni in Vernasca e quella piazza (oggi Stradivari, un tempo Cavour) dove il profumo di caldarroste riempiva l'aria nella stagione fredda. 

Il prefisso patho- si può far derivare da páthos “sofferenza” che è anche “affezione”. Secondo Brunetto Latini (1294) affezione è ‘moto, disposizione dell'animo’ verso la sofferenza ma anche l’affetto. Si può provare affetto e contemporaneamente dolore dai morsi della fame osservando una enorme fumante torta di castagne?
Pattona o Torta o Pane fatto di farina di castagne “ è detta altrimenti Polenda” secondo il Vocabolario della Lingua Italiana dell’Accademia della Crusca. “Poi per letizia di cavalieri e dame, regalò di confetti e di pattona” (Molm.I.81)
Castagnaccio è chiamata dal Burchiello(1449), “schiacciata di farina di castagne al forno, spesso con zibibbo, pinoli ecc” . Il termine castagnaccio, dolce plebeo, assumeva la denominazione ( meno volgare secondo l’Artusi, ) di Migliaccio fatto con farina di castagne setacciata, ridotta a caldo con acqua a farinata ed arricchita, a seconda del censo del cliente, con pinoli, uva passa...

Il composto va cotto in forno in una teglia quadrata. Il dolce tuttora quasi introvabile (nei supermercati si trova un castagnaccio assolutamente ... immangiabile) era rigorosamente venduto per le strade o dal fruttivendolo. Il Brustolon e il Cireneo sono gli ultimi cultori della torta cremonese di castagne, l’uno aveva banco in centro a Cremona nei pressi dell’edicola della Piniin. L’agostiniano Marco de Fortis, in un documento olografo, nel quale cede alcuni suoi possedimenti in Castagnino, piccolo villaggio appena fuori Due Miglia, sulla strada per Bergamo, osserva che:
il gran bosco de’ Castagnino ora se chiama sicco perché per malattia rubra de’ corteccia s’è siccato, i marroni più boni se trovano in sul piacentino nella Vernasca ove l’aria bona de collina preserva il cancro dello frutto
” La preparazione della Patùna cremonese, versione povera del generico castagnaccio o baldino , differisce da quest'ultimo per la mancanza di ingredienti come miele, uvetta, pinoli, e noci. La ricetta più conosciuta vuole 1/2 kg di farina di castagne setacciata; 1 l di latte aggiunto a filo, vanillina, zucchero. Fatto l'impasto si inforna a 180°C per mezz’ora. La preparazione più povera consiste nel mescolare farina di castagne ad acqua zuccherata. Si cuoce in forno in teglia imburrata. La fantasia dei cremonesi elabora delicate piccole varianti.

Gli ingredienti della “patùna” pura e semplice sono pochi: farina di castagne, acqua, olio, zucchero. In una zuppiera si mette la farina e a poco a poco si versa l'acqua finché si avrà un composto piuttosto liquido, quindi si aggiungono un paio di cucchiai di zucchero, si versa in una teglia unta d'olio e un po' di olio si mette sulla superficie che non deve essere molto alta e si fa cuocere nel forno caldo. Quando avrà fatto una crosticina “screpolata” è cotta.

Altra ricetta. Ingredienti: un kg di farina di castagne, una tazza di latte, un cucchiaio di cacao, due cucchiai di zucchero, una presa di sale, un cucchiaino di lievito, olio quanto basta. Il procedimento è uguale al precedente. ()

Come dice Umberto Sterzati nel ritornello delle sue stornellate cremonesi (sue parole e musica) : "Óo Cremùna, Cremùna, Cremùna, la cità del gràan Turàs, ‘ndùa in stràada se vèend la patùna cun le véerše, ‘l turòon e i spinàs". Dunque Cremona e patùna è un binomio inscindibile.

FESTE politiche, religiose, turistiche, ...prurigininose
Fruttidoro
(francese:fructidor) nel calendario rivoluzionario francese era il terzo dei mois d'été (mesi d'estate) corrispondente il dodicesimo mese e si accordava, a seconda dell'anno, al periodo tra il 18/19 agosto e il 16/17 settembre nel calendario gregoriano; il 29° giorno del fruttidoro era dedicato ai Marroni. Fruttidoro nasce, nel lessico rivoluzionario francese del 1793, da una sintesi poetica in cui "i frutti che il sole dora maturano da agosto a settembre", e in cui avviene la raccolta.
San Martino
cade l'11 novembre, giorno in cui nella pianura i contadini facevano trasloco e la festa del raccolto si celebrava con il primo consumo di castagne raccolte a settembre e conservate nella “ricciaia” o nel “sabbione”. I lavori dei campi erano finiti, il raccolto venduto e, dopo i primi giorni freddissimi di Ognissanti e dei morti, la stagione solitamente diventava più clemente per qualche giorno durante la cosiddetta estate di San Martino. Spesso il consumo del generoso frutto per semplice nutrimento si trasformava in “ straniezza” con alchimie raccontate da Vincenzo Tanara che immagina lavorazioni con sale pepe, zucchero,succo di frutta, parmigiano che accompagnerebbero la castagna nella preparazione di frittelle e ravioli ma anche per elaborare ripieni e in questo caso l'oca ne era protagonista. Un semplice dolce nasceva dalla lavorazione di pasta di castagne cotte a bagno per una buona mezz'ora: l'abile gourmet (nel mio caso la nonna Angiolina) elaborava con zucchero e vaniglia forme a cuore che a raffreddamento ottenuto immergeva in cioccolato fuso e serviva a freddo con tanta panna montata.
Cremonesi in Vernasca
Alla fine di ottobre in Vernasca, comune piacentino feudo e contea medioevale dei Visconti, si festeggia la castagna con una importante sagra: molti cremonesi d'antan, pochi, tra chi ancora è amante delle tradizioni, raggiungevano la località e spesso si fermavano lungo la strada per approfittare dell'abbondanza del raccolto del generoso frutto. Potevi trovare verdasse o pelose, sirie, pomerigge, selvatiche, rubiette, carroni rossi, neri e marroni, murisione, pugnanti, le piemontesi Sarvai d'Oca, Sarvai di Gurg, ma soprattutto bracalle, le protagoniste della festa.

PROFUMO DI MARRONI

L'attuale Piazza Stradivari l'antica "Platea Capitanei" tra il XIV e il XVI secolo ospitava la torre e l'edificio del Capitano del Popolo. Venne poi chiamata "Platea Parva" da Antonio Campi e poi nell'ottocento “piàssa pìcula” per differenziarla dalla Piazza maggiore" o Platea Maior", la piazza del Comune. Un modernismo per alcuni insolente volle la piazza, in cui ancora svetta la “Torre del Capitano” decorata dalla facciata del palazzo della Camera di Commercio con marmi colorati come la bandiera bianca rossa e verde che raddoppiava il suo splendore con l'immarcescibile Palazzo dell'Adriatica. Un eyesore (un pugno nell'occhio) che si trasmise dall'epoca dei fasci alla libera epoca del boom con la costruzione della Banca d'Italia, Casa di Bianco e Sovrana, giardinetto stile condominiale. Metaforici mostruosi Baobab che il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry immaginò a difesa di una rosa, senza profumo forse per timidezza, che sarebbe appassita sopraffatta da scelte soprattutto solo umane.

Nessuno venne in soccorso alla Piazza, si tentò un restyling favorendo la nidificazione di storni incontinenti, una “tettoia” costosissima ma assolutamente improbabile, abbellimenti con statue riciclate come un timido Monteverdi e a loro volta sostituite da uno Stradivari improbabile a detta di alcuni.

Chi cremonese arriva in Piazza, dopo essersene allontanato anni fa, non può non ricercare con occhio smarrito il luogo che fu per anni il principale e pur inconfessabile nodo d'incontri cittadini, uovo alchemico direbbe sottovoce il Trimegisto. Al centro della Piazza l'Edicola della Pinìin e della Cia e poi della Anna e della Carlìin si mostrava come luogo laico d'incontri culturali e paesani: il Corriere s'integrava al Corrierino, La Provincia di Fiorino Soldi che sognava il grande fiume, le raffinate intuizioni dialettali di Dacquati, sogni musicali di un giovane Gerelli affascinato dai misteri del concertare barocco, le riviste Grand'Hotel e Bolero Film macchine di illusioni per protagonisti convinti del Boom italico...
Al profumo Saturnino di stampa si mescolavano spesso i gorgheggi intonati di un eclettico Campanini, macellaio e tenore per solo amor dell'arte e il forte sentore di caldarroste, ciouccaroi e patuna offerte dal Cireneo, venditore di strada e forse ultimo lettore del Liber de ferculis di Giambonino da Cremona e delle sue ballottae: polpette di castagne o narrazioni ammantate solo di verosimiglianti verità?
Pare banale ora la chiosa ma va egualmente espressa: l'umile castagna nel suo baccello di spine sembra metafora di storie non raccontate, di sensi inespressi, di nostrane sintesi costrette da aromi esalati da inesauribili ricordi.

 

Giorgio Maggi


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