7 settembre 2024

Na ròba cremunesissima: la mustàarda che te fàa vegner la sanàavra

Dal Direttore ho avuto il compito di scrivere un articolo (è ovvio che "un" sia un articolo) ed io lo faccio sulla mostarda, tòh ciàpa! Qualsiasi occasione che mi permetta di non lavorare, viene accolta a braccia aperte, data la mia naturale inclinazione nel preferire, al lavoro, il tempo libero e ancor di più la crapula.
 
Fàa vegner la sanàavra, letteralmente fa venire la senape, ma l'accezione è più complessa, ovvero: fa salire al naso quel pizzicorino quasi da starnutire e contemporaneamente dà la stura alle lacrime, cosa abitualmente riservata alla ricezione delle raccomandate di Equitalia.
È l'effetto della mostarda vera, quella che spettina le papille gustative arruffandole.
La cosa è dovuta alla branca buccale del trigemino, collegato al ganglio di Gasser, che di professione smista ed elargisce lacrime e sensazioni forti, come se la mostarda fosse imparentata col peperoncino e con esso gareggiasse a chi fa più punti coi gradi Scoville, l'unità di misura della peperoncinitudine e del piccantismo.
 
Prima che il Direttore mi tiri le orecchie: come si fa? È una macedonia dei più disparati frutti (o verdure, un tempo Saronni, gastronomo/gastrosofo, a bottega, ne teneva un mastello, 'na siòola) della quale, per tre giorni, si fa bollire il succo. Il terzo giorno (giorno abitualmente delegato alla resurrezione) si fa un bagnetto caldo alla frutta nella Jacuzzi del succo in ebollizione. Raffreddata, si aggiungono le gocce di olio essenziale di senape a sentimento. Empiricamente 5 gocce per chilo per ogni mese che si pensa di conservarla, ergo 6 mesi = 30 gocce. Optare, dallo speziale, per la senape del Dr. Giorgini, la migliore. Ne bastano tre gocce sul tappetino dell'auto, come antifurto. Una volta ne cadde un flacone ad Hiroshima...
 
Mostarda, da mustum ardens, ovvero mosto ardente.Traduzione: in epoche dove lo "zucaro" era un insulto alla miseria e la sua disponibilità era segno di ricchezza e potere, per via che il procurarselo necessitava di "buona borsa et valorosi destrieri" i poveri cristi avevano una sola possibilità per accedere al diabete, malattia ad uso esclusivo dei ricchi: il mosto dell'uva, dato che il solo altro dolcificante era il miele (la miele, sì femminile, in dialetto cremonese) stranamente latitante dalle dispense del volgo che talvolta non aveva i soldi per permettersi nemmeno l'alito caldo. 
 
Giusto per capire i ricchi: se ti servo un banchetto con lingue di pappagallo farcite e zucaro sopra, vuol dire che ho così tante palanche che posso comprare tutto. E questo succedeva molto tempo prima che, per tale genere di esibizione di potere, occorresse un intero parlamento asservito ai propri voleri e pronto a legiferare ogni genere di provvedimento salvacucurbitacee.
Dall'incontro del solo dolce disponibile -il mosto- come cavolo si arriva al mustum ardens? Col cavolo!, essendo la senape una brassicacea, ovvero della famiglia dei cavoli, i diretti concorrenti delle cicogne. Quest'ultime, sono notevolmente avvantaggiate, dato che le loro consegne non prevedono nascituri incavolati, almeno fino a quando il governo non metterà mano alle pensioni e i frugoli li consegnerà direttamente Amazon.
 
Da qui, scaturirà la par condicio, dato che, entrambi i sistemi di nascita, avranno neonati già dotati di deficit finanziario e vorticoso giramento di zebedei in giostra, subito dopo il primo vagito. Cavoli loro, un'altra volta imparano!, (e questa è una frase fatta) mentre non si può dire - - - - - - - - - - - - - - - (e questa è una frase da fare). 
 
Unendo in matrimonio il mosto e la senape (repeat: sanàavra, in dialetto, e per effetto traslato, si chiama sanàavra quel pizzicore che stura le narici e svina le lacrime come abitualmente capita quando si va dal commercialista) è venuta alla luce la mostarda; sostituendo il succo d'uva con la frutta, s'è avuto il primum movens della mostarda di frutta, che, dapprima con frutti belli, interi, canditi e colorati è finita sulle solite tavole dei ricchi, poi, con frutta di recupero, non giunta a maturazione (o bacata, come la testa di chi spia -dalla serratura del televisore- il Grande Fratello) è approdata alle mense plebee, dato che altro non approdava, in quanto l'unico mare disponibile era il mare di guai. 
Quindi la mostrada extra lusso prendeva la via delle tavole extra lusso, partendo da Cremona per un tour europeo, ad opera di commercianti che, dal 1200, l'approdarono al lago di Costanza e, in seguito, al seguito degli Affaitati che brillavano in affari brillanti, dato che trattavano diamanti nelle Fiandre, dal che si evince, che quelle tavole extra lusso, avevano le tovaglie di Fiandra. 
 
La mostarda di Cremona non ha ancora smesso il suo peregrinare e perdendo le varie frutta (sì, è corretto!) accontentandosi delle mele, è arrivata a Mantova, dove un Gonzaga birbantello infilzò qualche Bonacolsi per stornarne il potere pro domo sua. Fu una canagliata che permise ai Gonzaga di stare in sella parecchio dopo il disarcionamento (adesso si chiamerebbe golpe) della concorrenza. Questo accadeva molto prima che gli U.S.A coniassero -solo per gli altri- il termine di stato canaglia. 
Se andate a Palazzo Ducale, date un'occhiata alla Torre della gabbia dove un tempo veniva rinchiuso a morire di fame il condannato di turno: basta poca fantasia, sostituite la gabbia con gli stipendi che girano oggi ed otterrete lo stesso effetto. 
 
Una bella famigliola, i Gonzaga, e la mia simpatia va tutta a Federico, conquistatore di pianure e monti, soprattutto di Venere, come quello scalato raggiungendo la vetta della Boschetti, la licenziosa Brognina (edulcorandone il soprannome si potrebbe tradurre in Susyna) e che, a Palazzo Te, mise il suo motto accanto al ramarro effigiato sulla parete "Quel che a lui manca è il mio tormento". Spiegazione velocissima: le conoscenze dell'epoca stabilivano che il ramarro non andasse mai in calore e che la copula lo sfastidiasse. 
Federico Gonzaga cosa direbbe se ci fosse ora? Per prima cosa: "Madonna, ma quanti anni ho?!", poi si domanderebbe se il viagra è un farmaco che va per la maggiore o per si bemolle. 
 
Una volta, presenziai, nell'atrio degli arcieri a Mantova, insolitamente aperto per una operazione cultural-comm&rcia£€-mostardistica e capii che andando indietro nel tempo si sarebbe trovata la strada per il futuro. 
Si è dovuto far retromarcia per recuperare la mostarda e così si è preso lo slancio per riproporla, con desueto accostamento ai formaggi, visto che ha sempre ricoperto il ruolo di paraninfo nelle brumose giornate dedicate al bollito. 
I mantovani poi, sono andati così indietro, fino ad arrivare a farla solo di mele. Con un piccolo sforzo, se fossero andati ancora più indietro fino a intercettare Eva... 
Ah!, se Adamo avesse mangiato la foglia! 
 
Poche le persone presenti a quel convegno e stranamente ancor meno (questioni di posti) durante l'attività manducatoria (a Montecitorio succede spesso il contrario). Presenti, in forze qualificate, tutti i difensori dei colori grigiorossi, esaurienti le dissertazioni sulla mostarda e qui la Bertinelli Spotti, giocando in trasferta, ha segnato un gol. 
La partita è stata più gradevole nel secondo tempo, sotto lo stand della degustazione, dove, tra i vari abbinamenti, brillava un pannerone con mostarda di marroni di Leccornie e, in un'azione partita da centro campo cremonese, un dribbling Salva cremasco e mostarda di fichi Luccini, ha sollevato una hola delle papille gustative, alzatesi in piedi all'unisono decretandone il successo. Azione da rivedere al ralenty. 
 
Gli intervenuti e portatori sani delle gnosi della mostarda, una piccola curiosità non sanno: fino a qualche anno fa la mostarda circolante era solo industriale, faceva la sua apparizione in poche fortunate case e aveva il suo ruolo limitato nel tempo (cosa che non riguarda i politici, ben attaccati al loro scranno, illimitato nel tempo). 
Si iniziò a servirla, rigorosamente home-made, durante la festa della Senigola, creò dipendenza in alcune "bucàse sladinàade" (traduzione: boccucce fameliche aduse ad ogni genere di stravizi) e gli assuefatti arrivarono ad elemosinarne qualche dose favorendone al contempo la divulgazione. Fu così che prima all'Umbrelèer di Cicognolo, poi all'Alba, alla Sosta, All'Italia e al Caminetto, quella mostarda e quella ricetta, prese piede facilmente, dato che, fatta in casa, risultava gradita ai più. Quasi sempre le cose fatte in casa hanno maggior riscontro e quando si fanno in famiglia, tra fratelli (d'Italia) talvolta, si ottengono risultati contrastanti. 
 
La colpa del riportare in auge la mostarda fatta in casa, è imputabile allo scrivente che è ben felice di vederla in giro sulle buone tavole, soprattutto dopo che Luccini dell'Umbrelèer -visto il ripetersi della questua di alcuni barattoli da parte di accaniti e assuefatti mostardipendenti- ha deciso di metterla in produzione e infatti, la sua mostarda, partita da me, è arrivata a Mantova per essere celebrata -unitamente ad altre quattro, Fieschi, Leccornie, Vergani, Sperlari e ricevere l'imprimatur del marchio di Mostarda Lombarda, con la non segreta speranza di venderne una cifra, due meglio, che poi è la vera ragione di tutto questo fervore cultural-comm&rcia£€. Mostrare la mercanzia per attrarre compratori, si è sempre fatto: questioni di marketing, di marchetting.
 
Non un sempliciotto in materia pappatoria

 

Lilluccio Bartoli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Lilluccio Bartoli

7 settembre 2024 07:29

Intendesi bollire tre giorni, non bollire per tre giorni, ma durante tre giorni per circamenoquasilmente un'ora al giorno, alfine di evitare la stessa fine di Giovanna d'Arco, che sottoposta a tortura, non potendone più, disse: basta, sono stufa! Essendo stufa, la riempirono di legna e la fecero flambè.

Lilluccio Bartoli

7 settembre 2024 08:40

E, da fotografo, di messa a fuoco, ne so qualcosa.