Tutti accostano lo Zafferano al risotto alla milanese ma pochi ricordano che Cremona fu la capitale dello zafferano (soprattutto nel casalasco) e sotto il Torrazzo vi fu il maggior centro di scambio dello zafferano abruzzese e lo zafferanone (cartamo) padano tra nord e sud d'Europa. Probabilmente in origine proveniva dalla Persia. E anche il termine zafferano deriva dal persiano. In dialetto cremonese si dice Zafraan. Così descrive nel suo vecchio vocabolario cremonese-italiano Angelo Peri (1847) lo zafferano. "Zafraan: è il nome con cui si chiama la polvere colorante e molto odorosa che danno i dissecati stigmi, ossia ingrossamenti del pistillo del fiore dello Zafferano o croco; e usasi questa polvere a dare odore, e un certo colore tra giallo e rosso (croceo) ai formaggi, a certe vivande ecc". Anche nel dialetto casalasco si dice "safràn" così come in tedesco. A Cremona dunque veniva comunue usato per i cibi (Peri cita il formaggio) ma anche come colorante per i fustagni, i tessuti ma pure in chimica e in farmacia (come scrive Giorgio Maggi ipotizzando che ci sia lo zafferano persino dietro la morte di San Geroldo avvenuta fuori porta Mosa). Lo zafferano è considerata una delle spezie più care tanto è vero che in zona Casalbuttano un agricoltore ha ripreso la sua coltivazione. Ma ecco il racconto di Fabrizio Loffi su cosa rappresentava lo zafferano per Cremona.
ZAFFERANO, IL VERO ORO GIALLO CREMONESE
Il vero oro giallo cremonese è stato lo zafferano che, fra il XV ed il XVI secolo, diede luogo ad un traffico commerciale paragonabile solo a quello del fustagno. Un prodotto richiestissimo, soprattutto dalla Germania, che veniva contrattato dai mercanti cremonesi alle fiere di Bolzano od anche procurato dagli stessi tedeschi direttamente sul posto, nel maggior centro di produzione locale, Casalmaggiore. Ma non solo i tedeschi erano clienti affezionati. Tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento il prodotto veniva messo in vendita anche in Sicilia e Calabria (un po' come vendere gelato al polo Nord), alle fiere di Ginevra e di Lione, a Parigi, Bruges e Londra, fino ad Alessandra d'Egitto dove veniva scambiato con pepe e spezie, a Creta e Corfù. E' proprio Hans Paumgartner il giovane, un mercante di Augusta, che ci informa in un manoscritto di come il doschga (come era conosciuto in Germania lo zafferano) venisse esportato in quantità di 35, 40 quintali all'anno. Il traffico di zafferano è puntualmente descritto in un manuale di mercatura di Bartolomeno Paxi, la Tariffa de pexi e mesure, pubblicato a Venezia nel 1503, che fornisce anche il cambio con la moneta cremonese: “Perfina adesso havemo narrato de molte et diverse mercadantie le quale fano per molti logi et parte del mondo; hora trataremo della mecadantia del zafran perché è molto utile et dimandado in ogni parte. Trataremo anchora per quelli luoghi li quali più bisogna et de quanti luoghi esso zafran se traze. E prima. Se traze da l'Aquila et da Sermona vicina a l'Aquila et è bono et fassene assai. E se traze anchora da Fabrian de la Marcha e del conta' de Fiorenza et questo è quasi il meglior de tuto l'altro zafran. Trazesse anchora de su il contado de Cremona et de alchuni altri loghi de Lombardia et della Puia de terrra de Barri et questo de la Puia è de mancho valor de l'altro. Trazesse zafran de terra de Otrento et de Maiolicha ed etiam de Catalogna zoè de Valenza et d'alchuni altri loghi circostanti. Havemo narrato per quanti luoghi se traze il dito zafran. Sdesso trataremo dove al bisogna et per quali luoghi è necessario essere menado. E prima. Il zafran fa per la fiera de Zanevra et per la fiera de Lione, per Paris, per Vignon, per Bruza de Fiandra, per Anversa et per Londra d'Ingilterra et per tutta Bergogna et per molti altri loghi et terre de Ponente; è necessario ancora il dito zafran per l'Alimagna alta, per tuta l'Ongaria et per la parte de Levante, per lachuni loghi e terre de Dalmatia, per Cicilia et se vende bene in Calabria quando la Puia et terra de Otrento non gli n'ha; per Corfù et per Candia er se vende bene per Alixandra et etiam per Cypri”.
Secondo Giovanni Romani, (Storia di Casalmaggiore, 1828) la produzione di zafferano nel casalasco si sarebbe ridimensionata drasticamente nel 1427: “Vuolsi che sotto quest'epoca i coltivatori del nostro territorio abbandonassero le piantaggioni del zafferano, il quale genere veniva dai veneti, che lo tiravano dal levante, spacciato ad un prezzo assai minore di quello ch'erano soliti i casalaschi di trarre dal proprio; e vuolsi altresì non senza probabilità che si estendesse in allora presso di noi la coltivazione delle viti, destinando per la medesima molte di quelle campagne, che per l'addietro erano impiegate per la piantagione dello zafferano; e ciò pel motivo altresì che i vini casalaschi si smerciavano con molto vantaggio a Venezia, ove i barcaroli conducendoli colle proprie navi, ricaricavanle poscia con derrate del levante commesse da questi o dai vicini negozianti”. In realtà è proprio una lettera da Venezia del 27 febbraio 1426 ad un certo Matteo Lupi, abitante a Casalmaggiore, relativa ad una partita qui acquistata, che ci informa di quanto fosse fiorente il commercio dello zafferano nel XV secolo. Nel 1812 Antonio Barili (Notizie storico-patrie di Casalmaggiore) ricorda che nel comune di Villanova vi erano ancora alcuni campi chiamati “gialdine” dove si coltivava zafferano
Ancora nel 1477 il commercio dello zafferano era esercitato dai mercanti ebrei, anche se vi era stata un'iniziale opposizione da parte del Comune data dal timore della concorrenza, contraria agli interessi cittadini. Addirittura qualche anno prima, nel 1456, gli ebrei erano stati cacciati dalla cittadina per aver adulterato lo zafferano che vendevano in piazza. In effetti verso la fine del XV secolo la coltivazione dello zafferano era ancora una delle produzioni tipiche del territorio. Riferisce ancora il Romani (Origine e stato corografico di Casalmaggiore e sue ville, 1828): “Difatto in que' tempi rimoti il territorio Casalasco era posto parte a praterie, parte a semine di grani, canape, gualdo e zafferano, che esitavasì ai forastieri come già si disse. Noi abbiamo potuto verificare, coll'ispezione dei libri economici di questo conv. di S. Francesco dall'anno 1480 al 1496 che tali erano in allora i principali prodotti del nostro territorio”.
Fabrizio Loffi
IL RISOTTO ALLA MILANESE
E' un piatto della antica tradizione culinaria milanese. Lo zafferano dona al risotto il gusto e il suo caratteristico colore giallo. La tradizione vuole sia servito con midollo o con l'osso buco. Il midollo serve per renderlo più cremoso. Ne esistono diverse varianti ma è bene attenersi a quanto depositato nel Comune di Milano come prodotto De.Co (Denominazione Comunale) e riproposta durante l'Expo nel Salone delle Spezie nel 2015. "Il riso, importato in Europa dai Saraceni, compare in Italia nel XIII secolo e viene coltivato inizialmente al Sud. Con i contatti tra le famiglie degli Aragonesi e degli Sforza, si espande nella Pianura Padana grazie alle vaste distese dei suoi adatti terreni acquitrinosi ".
LA RICETTA DE.CO. depositata al Comune di Milano
Ingredienti: per 6 persone
30 g di midollo di manzo o di bue tritato
2-3 l di brodo bollente ristretto: non deve essere “di dado”
Due cucchiai di grasso d’arrosto di manzo chiaro e scuro (se manca aumentare il midollo fino a 60 g)
Una piccola cipolla trattata finemente
Un ciuffo di pistilli di zafferano o una bustina di zafferano
Sale
Abbondante formaggio grana grattugiato
50 g di burro
LA PREPARAZIONE
Mettere in una casseruola il midollo, il burro, il grasso d’arrosto e la cipolla, cuocere a fiamma bassa finché la cipolla non avrà preso un colore dorato. Aggiungere il riso e rimescolarlo bene perché possa assorbire il condimento. A questo punto alzare la fiamma e iniziare a versare sul riso il brodo bollente a mestoli, continuando a rimestare regolarmente con un cucchiaio di legno. Man mano che il brodo evapora e viene assorbito, continuare a cuocere sempre a fuoco forte aggiungendo man mano altro brodo a mestolate fino a cottura ultimata, facendo attenzione che il riso resti al dente (cottura da 14 a 18 minuti approssimativamente, a seconda della qualità di riso utilizzato). Arrivati a due terzi di cottura, aggiungere i pistilli di zafferano preventivamente sciolti nel brodo: se però si usa zafferano in polvere, è necessario aggiungerlo a fine cottura per non perderne il profumo. A cottura ultimata aggiungere il burro e il grana e lasciar mantecare per qualche minuto. Aggiustare di sale. Il risotto deve essere piuttosto liquido (“all’onda”), con i chicchi ben divisi, ma legati fra loro da un insieme cremoso. Importante è non aggiungere mai del vino, che ucciderebbe il profumo dello zafferano. Non cuocere più di sette/otto porzioni per volta.
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