4 luglio 2022

Quelle estati nelle vecchie osterie tra "conse", "grugnos", merluzzo, "ambulina e tencheli". E la balera

Ma come si passavano le calde estati nelle vecchie osterie di Cremona? Sono gli appunti dell'architetto Gino Priori a farci ancora una volta da guida in quel mondo perduto.  Nelle osterie che erano frequentate specialmente a mezzogiorno da muratori, manovali, avventizi di fabbrica o di servizi, si preparava sempre qualcosa da mangiare. In genere i piatti, sempre poveri, variavano con il variare delle stagioni. In estate erano 'conse' superbe, affidate alla fantasia e alla disponibilità momentanee della casa, oppure 'tajeer" colmi di uova sode dure come palle di schioppo, e montagne di insalata o 'grugnos' con 'le spighe' d'aglio. E poi il formaggio che non mancava mai tutto l'anno: il cacio piccante (o "cagnòon") in genere grana alterato, la "tara" da bere con il bianchino. Chi non ricorda l'osteria di Cinto in via Bordigallo con il merluzzo al mercoledì e sabato, le crocchette di patate con il frizzantino?

D'estate erano molto ricercate le osterie con la pergola e il gioco delle bocce. Erano frequentatissime le osterie di Porta Mosa e di "strada Canòon". Nella stagione calda c'era il clan dei giocatori di bocce che si spostava da un'osteria all'altra per tornei interminabili seguiti dai sostenitori e dai "siuri", i segnapunti. Anche d'estate si beveva vino fresco di cantina, sia bianco che rosso. Il massimo della variazione era il Sinalco, una bibita dolciastra di cui si è persa memoria o "il misto" con vino e gassosa e con uno spruzzo di selz da quei sifoni verdastri che di tanto in tanto compaiono sui mercatini d'antiquariato.

D'estate in certe osterie di periferia come la "Busa" di via Mantova o alle "Sabbie" di via Bergamo, si ballava in balere, quelle vere, con il pavimento di legno a spicchi, e con il tendone a cono. La figura tipica del padrone di balere era "Bigia" un uomo corpulento con voce baritonale che manovrava l'organo a molla e raccoglieva i ventini negli intervalli del ballo, e se gli schiacciavi l'occhio - senza farti vedere dalla dama - capiva tutto e ti saltava nella raccolta. Erano quelle balere, a differenza delle balere d'oggi, locali sani, dove al massimo, dopo, ci si grattava un po' per via di qualche "pulega" vagante, fra odori di cipria surriscaldata e di belletto che col sudore creavano un particolare effluvio a fondo erotico, ma alla buona, senza malizia. Il bagno, allora, era cosa esclusiva da signori.

Uno dei luoghi tipici dell'estate cremonese in osteria era quella detta "dei barboni" in via Manini. Era condotta da una figura gioviale di "ustera" di una volta: gentile, la parola sciola a rispondere al complimento o alla facezia un po' pesante. Pronta a prevenire la richiesta di un cliente, svelta nel servire e nel fare il conto, o a tirar fuori al momento giusto il piatto di pesce gatto o "ambulina e tencheli", la frittata, le polpette e a trasformare il boccone in piedi con il vino bianco, in allegra tavolata con piatti, posate e "mantini". 

Vi si incontravano strani tipi che sembravano usciti dai libri di Danilo Montaldi (quello di "Autobiografie della leggera"). Fino a qualche anno fa non mancavano anche i frequentatori del vicino dormitorio pubblico, vecchi uomini fieri e indipendenti, che con una scatoletta di tonno in due riuscivano a mangiare tre o quattro "panetti" bagnati da diversi "quinti" sempre offerti da qualcuno senza farsi vedere.  Pagavano loro il primo e così andavano avanti come fosse sempre il primo, con estrema dignità. Poi qualcuno cominciava a raccontare e allora intorno si stringeva il gruppo di ascoltatori attenti. Le rievocazioni diventavano precise e colorite da una confusa coscienza sociale che portava ad esaltare la figura del violento o del ladro di galline e a condannare Marziano e i suoi questurotti.

Le foto sono di Ezio Quiresi: avventori in osteria, la balera alla Busa e l'ingresso della Taverna


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