Turòon & Salàm. Un’abbinata di successo: strumento della ‘diplomazia’ storica cremonese
Sul piano dell’immaginario turistico, un forte richiamo verso la città di Cremona, è stato dato nel recente passato da tre feste che hanno caratterizzato la dimensione della storia gastronomica e produttiva locale: la Féesta de la Mustàarda, ‘La Festa della Mostarda’, la Féesta de’l Salàm, ‘La Festa del Salame’, e la Féesta de’l Turòon, ‘La Festa del Torrone’.
Tutti e tre i momenti di convocazione collettiva sono stati individuati come feste ‘separate’, organizzate all’insegna del proprio ‘totem’, finalizzate a rendere visibili ed appetibili, l’una, la salsa sopraffina di frutta candita, l’altra l’insaccato d’eccellenza e, la terza, il dolce mandorlato per antonomasia.
Questa ‘separatezza’ però ritrova l’unione sotto le feste di Natale, quando la mostarda, il salame ed il torrone s’acquistano e si regalano spesso insieme, inseriti nei classici pacchi dono. Tant’è che il loro abbinamento offre alla confezione una cifra d’impareggiabile bontà. Ed è garantito che il pacco, quando arriva a destinazione, annunci d’incanto il trionfo dei sapori di Cremona.
Ora, senza nulla togliere alla mostarda, l’effetto straordinario sulle papille gustative del salame e del torrone portò a vedere, nell’uso abbinato di questi due alimenti di pregio, lo strumento per la riuscita di trattative politico-diplomatiche di alto livello. Ed è proprio a questo che intendiamo parlare.
Si narra, infatti, che i maggiorenti di Cremona, del 1556, si decisero a predisporre una grossa partita di salame e torrone abbinati, destinata a bagnàa la màan e la lèengua, ‘a bagnare la mano e la lingua’ del Senato di Milano. Qui, infatti, ci si stava attardando oltre misura a legittimare una disposizione a favore della città del Torrazzo.
In chiave di captatio benevolentiae (per cercare d’ottenere la benevolenza del potere dell’epoca), fu deciso allora di spedire verso la capitale meneghina ben 314 scatole de torrono (torrone), accompagnate da 49 ceppi de salame, e contornate da vasetti de cotognata et cervellato.
“L’effetto fu magico”, scrive G. Carlo M. Duranti sul libro Una civiltà di porci, uscito nel 1985 per le edizioni degli Amici della Cucina Cremonese. La pratica in questione, che si era da parecchio tempo infognata, fu infatti subito ‘liberata’ ed ‘evasa’. Stessa cosa, e per le identiche ragioni, avvenne pure nel 1568, quando si ricominciarono ad inviare a Milano abbondanti porzioni di salame e torrone nostrani. E per non correre più il rischio di cadere nelle ragnatele della burocrazia statale, da quell’anno diventò regolare e permanente l’invio al Senato dei saporiti ‘doni cremonesi d’eccellenza’.
L’operazione si meritò pure una dedica ufficiale vergata sugli Annali “Perché altrimenti non si può avere buona cera né expedizione alcuna cum quelli occorre negotiare (…)”. E così si procedette a trattare la spedizione dei migliori prodotti locali alla ‘Magnifica’ città di Milano.
L’anno seguente, lo stesso ‘oratore’, vale a dire il funzionario che viveva nella capitale meneghina dello Stato per tutelare gli interessi di Cremona, scriveva ai capi del nostro distretto:
“Se aproxima il tempo di mandar la solita recognizione di Salame e Torone a questi illustrissimi et magnifici Signori, però mi è parso racordarlo alla S.V. acciò possano far la posizione tanto a tempo che si fossi qua avanti Natale, acciò che nelle feste si possi destribuir, perché gli è assai grato e accetto che non dopo le feste, mandandosene ancor maggior quantità desto anno passato come saria de scatole cinquanta de più et pesi 10 de salato, perché lo anno passato non si posse suplir a tutti et hora son giunti novi officiali de più”.
A commento dell’importanza del dono dei prodotti locali, Duranti, nel suo libro, riprende pure una conclusione di Ugo Gualazzini, riguardante la parabola discendente della promozione del salame verso i mercati esterni. “È stato solo durante il pericoloso decadere delle industrie locali intorno al XVII e XVIII secolo, che anche quella del salumificio venne riducendosi notevolmente ai soli bisogni casalinghi, e non si curò più l’esportazione. Infatti, si ha ragione di credere che l’invio gratuito fuori città dei prodotti nostri non solo servisse quale … lubrificante alle pratiche ingranate, ma anche come un mezzo per far conoscere la bontà della produzione locale e, in tal modo, introdurla sui mercati forestieri”.
Con questa storia alle spalle, con la forza di tali stelle comete commerciali per indirizzare gente e consumi verso la città di Cremona, quella separatezza fra salame e torrone è stata ricomposta in un’unica strategia promozionale in tempi ravvicinati, degna di essere chiamata nell’insieme ciclo della “Grande Fiera del dono” o ciclo della “Grande Festa del Gusto”.
Con questa logica, il patto d’alleanza fra il salame e il torrone potrebbe essere poi interpretato in futuro pure in chiave artistica, con una grande manifestazione teatrale in Piazza Grande, nella quale far diventare protagoniste due nuove maschere locali: Salàm e Turòon, a guisa degli artisti della Commedia dell’Arte. Maschere sostenute, ovviamente, da na bèla urchéestra de Viuléen, da una bella orchestra di Violini.
La messa in scena potrebbe avvenire per Carnevale o per Mezzaquaresima, col recupero del Segavecchia di medioevale memoria, ovvero della vecchia segata ricolma di torroncini e salamini, com’è avveniva fino a tutto il 1600 davanti alla Chiesa gotica di San Domenico, nell’attuale piazza Roma.
Al centro dello spettacolo si potrebbe allestire il Contrasto e la pace fra i due soggetti gastronomici, seguita dalla vendita a buon mercato di confezioni de salàm e turòon. Magari avvolti in cartoncini a forma di Torrazzo o del Battistero (che ha tutte le fattezze dell’abbondanza augurale studiata da Piero Camporesi a proposito dei panettoni).
Desideriamo precisare che Salàm e Turòon sono due personaggi di fantasia che parlano tutte le lingue. Ogni lingua, infatti, li vuole assaggiare e loro si fanno capire da tutti. Sono buoni in tutti i sensi. C’è da dire che Turòon è un tipo quadrato, un magrone rigido, oseremmo dire segaligno, nervàgn, nel suo costume a chiazze di mandorla. La sua apparente solidità nasconde però un animo di raffinata dolcezza, oseremmo dire addirittura ‘friabile’.
Anche Salàm è robusto, ma è più rotondo del primo, più morbido, più abbordabile e alla mano col suo socievole carattere, forgiato dalle origini campagnole di famiglia. Turòon, da parte sua, sente di rappresentare l’aristocrazia della fabbrica e di essere figlio esclusivo della città. Certo non si dà delle arie, non fa ‘il profumato’, ma qualche volta gli scappa di dire a Salàm: “Ma fàa mìia el paizàan…”. Non fare ‘quello che vien dal contado…’. Ciò che invece li unisce, in modo netto, è la passione per il dialetto.
Infatti quando i due personaggi sono da soli, a tu per tu, non parlano altro che il cremonese, urbano e rustico. E sono sempre grati e riconoscenti - questo fa certo loro onore - nei confronti di quei poeti locali che hanno saputo tenere alta la fama gastronomica dei nostri prodotti. E, nei momenti più impensati, essi si mettono a recitare le composizioni scritte da quelli.
Va aggiunto che Turòon, quando parte, non lo ferma più nessuno, non lasciando molto spazio a Salàm. Egli, infatti, abbina ad una bontà indiscussa anche una certa durezza di carattere. Tant’è vero che quando Salàm si azzarda a dirgli: “Fèet el mèena turòon? (Fai il parolaio incontenibile?)”, quello gli scarica addosso tutta una serie di ambigui riferimenti alla sua origine ‘maialesca’, con tanto di riferimenti precisi al nimàal. Ed essendo poliglotta, Turòon gli spara pure contro altri termini nei vari dialetti padani, che evocano la paternità di Salàm: ròi, maièl, pòrch, porsél, pursé, purzèl, gogìn, gugiòl, sì, hì, ninàt, ninéin, busgàt.
L’altro non si scompone. Anzi si diverte. Turòon allora insiste, recitandogli magari d’acchito una poesia di Dante Mainardi dal titolo Quàant se màsa el ròi, ‘Quando si uccide il maiale’. E certo sbaglia nel pensare di turbare la paciosa tranquillità di Salàm, il quale invece ha la piena consapevolezza di essere venuto al mondo attraverso ‘il grande sacrificio delle origini’. E non gli dispiace proprio di ascoltare la declamazione di quei versi nel dialetto di san Bassano. Certo, si rattrista nei passaggi più cruenti, ma si consola pensando di essere stato poi confezionato così bene, ma cuzé bèen, a vantaggio di tutti i buongustai.
A questo punto, Turòon dice all’altro: “Gh’èet sentìit? Hai sentito? Te séet in bèla cumpagnìa cun la panséta e ‘l cudeghìin... Sei in bella compagnia con la pancetta e il cotechino…”.
Provvisto di una proverbiale tranquillità, Salàm si limita allora a rispondergli: “Vàarda che gh’è bòon àan la mustàarda e pò àan la patùna, e pò àan el furmàc de cà nòostra! (Guarda che sono buoni anche la mostarda e il castagnaccio, e poi anche il formaggio di casa nostra!)”. Come per dire: “Turòon anche tu non sei ‘l’unico’. Non sei l’eccellenza solitaria del Cremonese”.
Avviene sempre, allora, che Turòon si accorga di aver esagerato e chieda scusa all’amico-rivale, dicendogli: “Adès tàaši… Pàarla té. Adesso taccio... Parla tu…”.
Salàm non se lo fa certo ripetere due volte. E parla e parla e dice: ”Càar el me Turòon, àanca mé sùunti pràan bòon, fàaten na rešòon!... (Caro il mio Torrone, anch’io sono molto buono, fattene una ragione!)”. E la mostarda? È logico ed opportuno che si debba disegnare una parte di rilievo anche per lei. Tempo al tempo.
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