Padre Maccalli racconta in un documentario il suo rapimento lungo due anni in Niger
In vista della Giornata dei missionari martiri del 24 marzo, la Fondazione Missio, con Luci nel mondo, ha prodotto un lungo documentario con una serie di interviste a padre Maccalli, ostaggio di terroristi per due anni in Niger.
Il quotidiano AgenSir ha riportato in un articolo l’intervista fatta a padre Maccalli per il documentario.
“Ho gridato a Dio: perché mi hai abbandonato?”. Padre Pierluigi Maccalli è stato per due anni prigioniero di estremisti islamici nel Sahel, dal 17 settembre 2018 all’8 ottobre 2020. Il suo rapimento ha segnato il mondo missionario legato alla Società missioni africane, l’istituto al quale appartiene. Intervistato in vista della Giornata missionari martiri del 24 marzo da Noticum e dalla redazione della Fondazione Missio (in collaborazione con “Luci nel mondo”), racconta un’esperienza dura, a tratti drammatica. “Ti rendi conto che l’unica cosa è resistere per esistere”. E confida: “scopri che l’essenziale è lo shalom, l’armonia tra i popoli… il vangelo, la fede nuda… La missione è incontrare l’uomo, vivere la fraternità”. Testimone di una “Chiesa delle periferie”, padre Maccalli spiega le diverse fasi del rapimento, il rapporto istaurato con i carcerieri, le speranze per il futuro.
Una svolta negativa. Ma il rapimento del missionario in Niger “ha segnato anche una svolta per la presenza cristiana. Fino a tre anni fa i missionari della Sma – spiega Paolo Annechini, il giornalista che ha raccolto la testimonianza di Maccalli e di alcuni altri missionari con lui presenti nel Paese africano e incontrati in Italia – potevano celebrare ed esercitare tranquillamente la loro opera di evangelizzazione. Adesso in quelle zone non è più possibile fare nulla e la presenza cristiana è stata azzerata: i missionari sono stati costretti a lasciare, la gente non può radunarsi in chiesa nemmeno per una semplice preghiera”.
“Non so se avrei retto…”. Nel docufilm qui riprodotto appaiono i missionari Pierluigi Maccalli, Carlos Bazzara, Vito Girotto, Davide Camorani. Padre Vito Girotto nel video racconta gli istanti del rapimento di Maccalli: “subito non capivamo, pensavamo che i banditi avessero portato con loro padre Gigi per coprirsi la fuga e poi lasciarlo dopo pochi chilometri, ma non è andata così! Se fosse capitato a me… non so… non so se umanamente avrei retto. Immediatamente la polizia ci ha evacuato dalle missioni scortandoci tutti a Niamey”. “Alla luce di questi fatti – continua Girotto – una riflessione mi viene naturale: la Chiesa parla a partire dalla sua povertà. Il Niger è un Paese che richiede un grande sforzo per spogliarsi di se stessi e riduce sovente la nostra attività a una semplice presenza. E questo rappresenta una chance, un dono di Dio. In Niger diventiamo piccoli, siamo piccoli”.
Conversione permanente. “Essere presenti nel Sahel”, dice padre Davide Camorani, “ci spinge a cercare concretamente una conversione missionaria permanente, personale e comunitaria, per crescere nella gratuità della missione di Dio. La missione nel Niger è la missione di un Dio nomade che ci chiama a una missione nomade che non ci permette d’installarci”. La presenza in Niger, osserva invece padre Carlos Bazzara, “chiede una presenza più contemplativa, preoccupata di ridurre al minimo le strutture, una presenza che abbia il coraggio di rischiare e incarnare il sogno storico del Nazareno partendo dai nostri limiti e vulnerabilità. E in quanto presenza povera, diventa permeabile al dialogo sincero, profondo e vero col mondo musulmano.
Se non siamo uomini di preghiera e di cuore contemplativo, il ‘fare’ diventa allora la scappatoia per non rischiare niente”. “La Chiesa del futuro in Africa”, riprende padre Girotto, “deve essere una Chiesa cosciente della sua piccolezza, che non abbia paura di essere piccola e con mezzi poveri, e che abbia il coraggio di rischiare e d’incarnare il sogno che lo Spirito ha soffiato nella sua anima”.
Tutti gli altri ostaggi. Padre Maccalli conclude la sua intervista ricordando gli ostaggi: “ci sono ancora 7 ostaggi nel Sahel tra Mali, Burkina Faso e Niger: Iulian Ghergut, rumeno, ostaggio da quasi 6 anni; suor Gloria Cecilia Narvaez Agoti, colombiana, che ha grossi problemi di salute mentale ed è ostaggio da 5 anni; il medico Arthur Kenneth Elliott, australiano di 84 anni e Jeffrey Woodke, americano, entrambi ostaggi da 4 anni; Jörg Lange, tedesco, Christo Bothma, sudafricano, ostaggi da 2 anni. E infine don Joel Yougbaré del Burkina Faso di cui non si hanno notizie da un anno e mezzo. Mi sento di dire: ‘Signore vieni presto in loro aiuto e in aiuto delle loro famiglie’”.
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