27 maggio 2022

Verdi e Cremona, quella libreria di Aristide Cavalli. Commosso dal quadro della Visitazione del Sojaro

La notizia della Villa Verdi a Sant'Agata di Villanova d'Arda (leggi l'articolo) ha riacceso l'attenzione sulle frequentazioni cremonesi del grande maestro. Fabrizio Loffi le ripercorre per noi.

Per lui Cremona era essenzialmente la città degli affari. Quando vi arrivava dalla sua villa di Sant’Agata nei giorni di mercato, dopo aver percorso il viale, fermava il suo calesse sul piazzale di porta Po, faceva un giro tra i mediatori, apriva i cartocci con il granoturco e il frumento, e ne esaminava il contenuto osservandolo e toccandolo; dava giudizi, faceva acquisti o provvedeva a vendite.

Per il maestro Giuseppe Verdi il “maggengo” cremonese era il migliore in assoluto, ma della nostra città apprezzava anche le più rinomate prelibatezze, dal “pane portento” alle tradizionali specialità quali torrone e mostarda, che acquistava nel negozio Curtarelli in via Solferino, poi diventato il negozio Sperlari, per mandarle in regalo agli amici più cari, dall’editore Ricordi ad Arrigo Boito alla contessa Maffei. Ma erano soprattutto i marubini che gli preparava la cognata Barberina Strepponi a destare la sua ammirazione. Barberina era la sorella della seconda moglie Giuseppina ed abitava in via Cavour, dove ora è la Galleria XXV Aprile. Le sue finestre davano verso la strada, in corrispondenza della sede della Camera di Commercio, sita dove ora è il negozio di Zara. Ugo Gualazzini ricorda di aver saputo dal segretario generale camerale Guido Tomè “che la presenza di Verdi in casa della cognata suscitava la più viva curiosità in tutti loro. Essi adocchiavano dietro le imposte per cercare di scorgere il Maestro in atteggiamenti squisitamente familiari. D’estate usava togliersi la giacca e anche il collo duro, per cui il vedere Verdi in libertà sembrava addirittura un fatto eccezionale”.

Alla cognata Verdi scrisse la sua ultima lettera conosciuta, datata 18 gennaio 1901. Descrive la sua salute buona, nonostante sia costretto su una sedia: “ma ho paura del freddo!!” ripete più volte. “Speriamo che le belle giornate come questa d’oggi continuino. Io col cuore ti stringo le mani”. Giuseppe Verdi morirà otto giorni dopo.

In città il maestro frequentava anche il sarto Cantoni, l’avvocato Amilcare Martinelli, che era il suo legale per seguire gli affari, Ettore Sacchi, con cui collaborò perchè venisse costruito il ponte in ferro sul Po e venisse realizzata la ferrovia Cremona-Fidenza. Nella nostra città Verdi era di casa. Moltissimi lo conoscevano. Egli era affabile con tutti, bastava non parlargli di musica, di teatro, di successi artistici, di critici musicali.

A questo proposito Ugo Gualazzini ricorda ancora un episodio riferitogli dal nonno paterno: “Un giorno a Montecatini, entrato nella sala da pranzo di un albergo ove si trovava Verdi con la Strepponi, la Stolz e Tamagno, fu invitato dal Maestro a sedersi nel tavolo vicino al suo con la precisa giustificazione che avrebbe finalmente visto a quel posto una faccia nota di persona che non lo avrebbe disturbato per chiedergli autografi o per intrecciare discorsi generici e vani”.

Quando non si recava dalla cognata, Verdi preferiva alloggiare all’albergo del Cappello, che si trovava in via Giudecca, divenuta ora via Verdi, di fronte a via Boldori. Era uno dei più antichi e prestigiosi, meta, tra gli altri, dell’imperatore Leopoldo II nel giugno del 1791, di Carlo III duca di Parma e della Regina di Sardegna, che vi soggiornò nel febbraio del 1853 proveniente da Mantova. Il proprietario dell’albergo, un certo Tentolini, era felicissimo di avere un ospite di eccezione come Giuseppe Verdi, e ne sfruttava la fama mettendo un sovrapprezzo alla camera del “maester”, sovrapprezzo che veniva pagato dagli ingenui, che credevano di alloggiare nella stanza dove la notte prima aveva riposato l’autore della Traviata, con vera soddisfazione. E in città non si sprecavano le battute sul moltiplicarsi delle camere verdiane nell’albergo del Cappello, dato che il proprietario si prodigava nell’informare tutti i clienti su dove avevano dormito.

Un curioso incontro nell’autunno del 1885 con il maestro a Cremona è contenuto in “Verdi, interviste e incontri” (Parma 2000) a cura di Marcello Conati: “Passeggiavamo insieme, una sera, sul corso Campi - racconta un anonimo sotto lo pseudonimo Edipi - allorchè vedemmo il maestro Giuseppe Verdi, fermo davanti la vetrina di un libraio e negoziante di musica. Era vestito di grigio scuro, con giacchetta abbondante, con cappello a cencio, pure bigio, cravatta nera a fiocco che svolazzava, e teneva le mani dietro la schiena, e nelle mani…un popone grossissimo”. La libreria davanti alla quale sostava il maestro era quella aperta da Aristide Cavalli nel 1880 nei pressi del teatro Ricci, specializzata nella vendita di spartiti ed articoli musicali e punto di ritrovo di intellettuali, musicisti e cantanti. Uno dei più affezionati clienti era appunto Giuseppe Verdi ma vi si potevano incontrare anche alcuni celebri scrittori e poeti come il nostro Giovanni Lonati. 

Sempre Ugo Gualazzini riferisce un altro episodio raccontato dal nonno che dimostra quanto il maestro fosse legato alla città: “Un giorno il Maestro dalla piazza Cavour si era portato sotto i portici del Palazzo comunale, e, affacciatosi sulla Piazza del Duomo, si fermò, alzò la testa che di solito portava ciondoloni, tirò indietro il cappello a larghe falde e si lasciò scappare un «ah!» di ammirazione rivedendo, per l’ennesima volta, la facciata della nostra cattedrale”.

Che Verdi fosse estimatore delle opere d’arte cremonesi è noto dalla sua abitudine di recarsi nella chiesa di Sant’Agostino per ammirare la pala del Perugino, ma sempre Gualazzini racconta che un’altra pala, e non delle migliori, destava la sua ammirazione: “Attraverso la testimonianza di Vittorio Grandi, che a sua volta la ebbe da Alessandro Landriani, uno dei pittori più noti dell’Ottocento cremonese, sappiamo che Verdi andava anche in cattedrale e si soffermava, chissà perché, di fronte all’altare della Visitazione, ove è una pala di Gervasio Gatti, detto il Soiaro, che raffigura la scena dell’incontro di S. Elisabetta con la Vergine. Ora, se da un punto di vista estetico è comprensibile come il Verdi trasalisse nel vedere l’armoniosa facciata della nostra cattedrale, o sentisse la serena e intima bellezza del quadro del Perugino, non è altrettanto spiegabile come di fronte a un’opera pittorica di modeste qualità, quale la Visitazione di Gervasio Gatti, in cui gli elementi retorici sovrabbondano e la maniera sembra essere fine a se stessa, abbia potuto ugualmente ritrovare elementi di intimo compiacimento tali, forse, da giustificare in lui richiami di più lontane esigenze creatrici”.

Fabrizio Loffi


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Giorgio

27 maggio 2022 13:40

Grazie Fabrizio!