Bartimeo, uomo provato ma non schiacciato dalla vita
Bartimeo è un uomo provato, ma non schiacciato dalla vita, è prostrato dalla sua cecità, ma non così tanto da lasciarsi soffocare dalla disperazione; egli ha abbondato tante speranze, ma non quella di poter scorgere la luce del sole, i colori della natura, il sorriso di una donna. Quando percepisce che quel Rabbi così tanto celebrato sta passando accanto a lui, inizia a gridare tutta la sua voglia di riscatto!
È strana la sofferenza umana: a qualcuno addolcisce il cuore, scardina i sistemi di difesa, fa cadere maschere e apparenze, apre l’anima alla contemplazione delle cose più piccole e insignificanti, ridimensione la vergogna e il rispetto umano, spalanca alla compassione, induce al cambiamento. Ci sono genitori che dopo aver perso i figli in tenera età dedicano l’intera loro esistenza a sollevare il dolore di tanti essere umani fragili e indifesi: quell’amore che doveva essere riservato al loro piccolo è diventato patrimonio del mondo. La sofferenza li ha condotti alla rivoluzione, alla redenzione. Ne è un esempio meraviglioso Adriana e Carlo Conti che con la loro associazione – la “Giorgio Conti” – dedicata al loro tenero figliolo morto giovanissimo, da anni offrono speranza e sostegno a tanti bambini ammalati e alle loro famiglie.
Viceversa ad altri la sofferenza incattivisce il cuore; rende cinici e rancorosi ed immobilizza la volontà; l’odio diventa una specie di via di ribellione e l’amore un dispetto; Dio viene considerato l’acerrimo nemico sul quale vomitare tutto il proprio livore: “Perché se ci ama può permettere che peniamo così tanto?”. In questo caso la sofferenza è già l’anticamera della morte.
Bartimeo vive il suo carico di dolore, ma non si lascia pietrificare da esso, nel suo animo cova ancora un barlume di speranza: qualcosa, tutto può cambiare! Egli non solo è un povero costretto a mendicare, ma, come tutti i “disabili” del tempo è un emarginato dalla società: per i pii ebrei, infatti, le menomazioni fisiche o le malattie erano considerate le giuste punizioni per i peccati commessi dalla persona stessa o addirittura dai propri genitori. Bartimeo vive una doppia ingiustizia: l’indigenza e l’esclusione.
Marco con questo ultimo miracolo che introduce al segmento finale del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, mira a tratteggiare quella che è la dinamica della fede: è l’ultima lezione che impartisce ai suoi lettori prima di introdurli al racconto impietoso della passione e morte del Maestro.
La fede, anzitutto, germoglia nel cuore dell’uomo che è ben consapevole della propria fragilità e finitudine, che è conscio di non avere in sé stesso le forze per interpretare la vita, per affrontare le prove e le pene che l’affliggono, per conoscere sé stesso e ciò che lo circonda. I poveri in spirito divenuti tali per scelta o per le vicissitudini della vita – è il caso di Bartimeo – hanno una corsia preferenziale per riconoscere Gesù che passa di fronte a loro. L’orgoglioso, l’arrogante, il gaudente, il narcisista sono talmente occupati a preoccuparsi di sé stessi e bearsi dei propri traguardi da non sentire l’esigenza di consegnarsi a qualcuno di più grande: loro, di forze, ne hanno tante!
Bartimeo manifesta questo suo inizio di fede con una professione pubblica che è una dichiarazione della propria piccolezza: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Il cieco ha intuito che Gesù è il Messia, l’inviato di Dio e si accosta con umiltà, invocando solo un briciolo di attenzione: basta solo una sola parola, un suo gesto e lui riavrà la vista. E nonostante le persone attorno lo rimproverino egli continua a gridare la sua speranza: la fede, quella vera, non prova vergogna, rispetto umano; quando una persona incontra realmente Cristo e si lascia afferrare da Lui, ella non permette al giudizio, al biasimo o al dileggio degli altri di atterrirla o frenarla. Anzi, la fede si fortifica proprio nei momenti di opposizione e di persecuzione. I veri ciechi sono proprio quelli che pretendono che Bartimeo taccia: resti ai bordi della strada e non si permetta più di disturbare Gesù!
Di fronte al grido accorato del cieco, il Maestro di Nazareth non resta insensibile e lo fa chiamare attraverso i suoi discepoli; il povero uomo non si lascia scappare l’opportunità e, con entusiasmo e prontezza, getta via quel mantello che rappresenta le sue sicurezze, la sua vita passata e poi si alza in piedi e va da Gesù. L’incontro con Dio innesca sempre una rinascita, una risurrezione – “balzò in piedi” – e spinge al movimento, al cammino – “venne da Gesù”.
Cristo concede la vista a Bartimeo perché questi è già capace di vedere molto in profondità la realtà, assai di più di quelli che gli stanno intorno. E ciò che il Maestro gli offre è infinitamente più grande della guarigione degli occhi: Egli gli dona la salvezza, cioè una vita pienamente realizzata, una felicità che non si nutre di conquiste e traguardi umani, la possibilità di gustare sempre e pienamente la misericordia di Dio. Bartimeo invoca la guarigione e ottiene la salvezza!
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commenti
Alberto
1 novembre 2024 23:10
Caro Don, io sono provato e schiacciato dalla vita pur non essendo cieco.
Fai tu una preghiera per me... Grazie