31 dicembre 2025

120 anni fa, perfino i bresciani per un grande pranzo in onore di un parlamentare esaltavano il "cotichino di Cremona"

Nel cenone di Capodanno o a pranzo per il primo giorno dell'anno non può mancare un cotechino. Angelo Locatelli, ricercatore e giornalista cremonese, ha scoperto con un articolo su "La Cronaca" del 2010 che perfino i vicini bresciani già 120 anni fa, quando volevano fare bella figura nei pranzi importanti, sceglievano "il cotichino cremonese".

All’interno della struttura museale “Memoria Storica Verolese”, posta nel territorio comunale di Verolavecchia al confine con Verolanuova nella Bassa Bresciana, si trova affisso su una parete, in una semplice cornice, un menù d’inizio ‘900 che ricorda una festa con “Banchetto” in onore del deputato bresciano comm. Carlo Gorio. Il “Menu” a stampa è stato donato al museo da Tino Cremaschini, collezionista di Verolanuova. Datato 8 gennaio 1905 e decorato con un delicato motivo
floreale a colori, sullo stesso risulta una portata illuminante per la storia della gastronomia cremonese: il “Cotichino di Cremona”.

Si tratta dell’unico piatto “caratterizzato” tra le varie vivande di quel giorno tramandato fino a noi. Risulta interessante l’accostamento dei cibi dell’epoca: una traccia storica di oltre un secolo fa per l’abbinamento di cibi che affondava le proprie radici più indietro nel tempo. La lista delle vivande, ricchissima per l’epoca, ini-ziava con una “Pastina in consommé” cui faceva seguito il “Fritto secco”. Il piatto forte, come secondo, era il “Cotichino di Cremona” accompagnato da contorni di “Crauti- Spinaci”. Altro secondo, in successione, era la “Faraona allo spiedo” con contorno d’ “Insalata”. Da ricordare che in quel periodo le patate, nella cucina

lombarda, non avevano la stessa diffusione di adesso. Vennero poi serviti: “Dolce- Zuppa inglese”, “Frutta-Formaggio”, “Caffè- Cognac”. Due i tipi di vini, ambedue rossi e di grande qualità: Il Chianti e il Barolo.

Il cotechino di Cremona doveva essere tenuto in una certa consi- derazione nei ristoranti lombardi di un secolo fa. L’insaccato vecchia maniera era quello tradizionale derivato dal maiale nero allevato in queste zone fino a pochi decenni orsono: anni ’30 e ’40 e dintorni. Altra qualità, altro cibo somministrato per la crescita del maiale, altro metodo di allevamento. In un menù risalente a più di un secolo fa veniva chiamato “Cotichino di Cremona” grazie alla zona di produzione e alle peculiarità di caratterizzazione organolettiche. All’inizio del ‘900, più precisamente in data 8 gennaio 1905, nell’Albergo Cannon d’Oro di Verolanuova, in provincia di Brescia, il cotechino figurava all’interno di un ricco menù in onore del deputato bresciano Carlo Gorio. Il personaggio politico, amico personale di Giuseppe Zanardelli, che rivestì pure i ruoli di ministro dell’agricoltura e di vicepresidente della Camera e che rimase in parlamento per ben dodici legislature. Stupisce la scelta del salume cremonese per onorare la presenza di un parlamentare bresciano, autore del recupero e del rilancio dell’economia agricola della propria provincia e presidente dei Comizi Agrari - l’associazione degli agricoltori di allora -, dell’Associazione zootecnica, della Scuola Agraria “Pastori” ed altro. Egli fu, tra l’altro, colui che propose l’incremento del patrimonio zootecnico tramite allevamenti selezionati derivanti da incroci di razze diverse, per rendere i soggetti più resistenti alle malattie ricorrenti, quali il carbonchio e l'afta epizootica. Un personaggio di spicco della politica italiana a tutto campo ma molto legato al bresciano. L’appartenenza territoriale del tempo era vissuta con una forma di pronunciato campanilismo e risulta abbastanza strano trovare il cotechino o meglio “Cotichino di Cremona”, come si legge sul menù, sulla tavola bresciana. Certo questa scelta fa comprendere quanto fosse apprezzato l’insaccato prodotto oltre il fiume Oglio zona che pure produceva il salume. Volendo fare una buona figura si andò sul sicuro preferendo l’insaccato del Torrazzo.

Il “cotichino”, nome italianissimo anche se in forma arcaica, deve la propria denominazione alla presenza delle cotiche, delle cotenne, cioè della pelle del maiale.

Quello bresciano, a differenza del cremonese, era macinato con grana medio-grossa e conteneva parti del cuore e delle cotiche spesso tagliati a dadini col coltello. Il “cotichino “ cremonese, invece, era generalmente tutto macinato con grana media e aveva bisogno di tempi di cottura leggermente inferiori che gli facevano conservare un gusto più pieno. La carne macinata veniva insaccata all’interno di budello animale o di vescica dello stesso. La pezzatura del salume, fabbricato quasi sempre in forma casalinga nonostante i divieti sanitari che venivano avanzati da varie amministrazioni, variava secondo il numero dei componenti della famiglia e, quindi, delle bocche da sfamare. Anche quelli in vendita nelle macellerie seguivano la stessa logica e osservavano pesi diversificati.

Un punto di forza dell’arte culinaria cremonese, quella del cotechino, su cui, probabilmente, varrebbe la pena di prestare la dovuta attenzione ai fini della tipicizzazione da parte di produttori e ristoratori.

Angelo Locatelli


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti