Quando in via Bergamo c'era "el dàsi" (la foto è di Notari del 1969)
Questa straordinaria fotografia è di Dino Notari, fotografo cremonese de "Il Giorno". Mostra la baracca del Dazio di via Bergamo. E' stata scattata il 12 settembre 1969 all'ingresso in città, più o meno all'altezza dell'attuale sovrappasso della tangenziale. Poco dopo, tutte le baracche del "dàsi" vennero tutte abbatturte (in via Mantova o in fondo al viale Po). Era quel che restava di quando si diceva a Cremona: "fòora de 'l dasi" che significava fuori dalla porta della città. Qui i vigili annonari avevano l'incarico di far pagare il dazio, cioè le imposte di consumo. L'imposta di consumo era un tributo comunale introdotto in Italia dal R.D. 14 settembre 1931, n.1175, al posto dei dazi di consumo, e successivamente abrogato con la riforma tributaria del 1974. L'imposta aveva come oggetto la riscossione, da parte dei comuni, di imposte di consumo riguardanti i seguenti generi: bevande vinose ed alcoliche, carni, pesci, dolciumi e cioccolato, formaggi e latticini, profumerie e saponi fini, gas, energia elettrica, materiali per costruzioni edilizie, mobili e pelliccerie. Ai fini dell'applicazione dell'imposta, i comuni erano suddivisi in nove categorie demografiche con diverse aliquote d'imposte. E toccava proprio ai Vigili Annonari farle rispettare tra i malumori dei trasportatori. Spesso i Vigili erano costretti a dare multe a chi cercava di evadere con mille scuse. Da qui il detto cremonese: "fàala da lùch per pagà mìia 'l dàsi", cioè fingersi sciocco per cavarsi d'impiccio. Il bar ancora esistente all'inizio di via Bergamo verso l'esterno della città, per i cremonesi era "l'ustarìa de 'l dàsi"
Il dazio era stato rimesso dal Podestà agli inizi degli anni Trenta dopo l'abolizione avvenuta ad inizio del Novecento quando vennero abbattute le bellissime antiche porte d'accesso alla città, come ha ricordato Fabrizio Loffi su "Cremonasera". (m.s.)
"La morte della città medievale fu definitivamente decretata il 1 luglio 1908, quando entrò in vigore la riforme tributaria che, prevedendo la soppressione del regime di dazio chiuso, rendeva possibile l’abbattimento delle barriere daziarie e di conseguenze delle mura, edificate otto secoli prima, agli albori della civiltà comunale. La decisione di abbattere le mura e di conseguenza di eliminare il corpo delle guardie del dazio, venne al termine di lunghe e dibattute sedute del consiglio comunale e grazie alle vibranti arringhe dell’avvocato Luigi Marenghi, allora assessore alle finanze. Fu quasi drammatica quella del 10 gennaio 1908 quando l’assessore trovò dalla sua parte il sindaco Dario Ferrari e la maggioranza del consiglio, ma dovette fronteggiare l’agguerrita minoranza capeggiata dall’ingegnere Fortunato Fontana, sostenuta dalla parte conservatrice. L’avvocato Marenghi dimostra come dall’abolizione del "dazio murato" sarebbero derivati numerosi vantaggi: un alleggerimento effettivo del peso tributario imposto ai cittadini per il risparmio di una grossa somma nelle riscossioni. La diminuzione del carico dei consumi in misura assai sensibile e quindi sulle classi meno agiate con più equo e razionale riparto delle imposte comunali. Inoltre il pareggiamento del sistema tributario della città rispetto ai sobborghi in quanto mentre si calcolava che ogni cittadino pagasse dentro le mura circa 28,60 lire, fuori ne pagava circa 13,80. Ne sarebbe derivato anche un grande sollievo per i cittadini non più costretti a subire alle barriere il grave disagio della libertà e dignità di ciascuno con perquisizioni continue che accompagnavano questa forma di tassazione. Poche furono le obiezioni. La prima che, trasformandosi il comune chiuso in comune aperto, il dazio sul vino, che era uno dei cespiti più importanti, dovendosi esigere sulla minuta vendita, avrebbe maggiormente gravato sulle classi più povere, potendo le classi ricche approvvigionarsi all’ingrosso, e per questo si suggerì la costituzione di cooperative di consumo. La seconda che si sarebbe dovuto alzare la tassa di famiglia, quella sugli esercizi, quella sulla sovrimposta fondiaria, ma del resto il continuo aggravarsi del dazio lo aveva reso così impopolare che non vi era forse nulla di più accetto e popolare per i cittadini che discutere della sua abolizione. A partire dal 1908 quindi il dazio sul vino (in città ne venivano introdotti circa 54.000 ettolitri) cominciò ad essere riscosso per abbonamento, in via normale, sulla vendita al minuto. Lo stesso valeva per l’alcool mentre per le carni si poneva solo un problema relativo ad un controllo di ordine igienico su quelle introdotte dagli esercenti forestieri. Si sarebbe dunque dovuto istituire un servizio di inquisizione sulle carni che comunque sarebbe stato un vantaggio per la popolazione che del resto già si esercitava in tutti i comuni italiani che già erano a regime di dazio aperto. Il dazio sull’energia elettrica, che dava comunque un gettito minimo, rispetto ad esempio al vino, non poneva problemi neppure aumentando il prezzo che sarebbe stato pagato dai consumatori".
"Il Comune aveva istituito il dazio già nel 1864 creando un corpo militarizzato costituito da 20 impiegati, 44 agenti ed un comandante. Avevano la loro caserma in via Volturno, allora chiamata "pisacan", ed una loro divisa in panno nero con mostrine verdi. Sottostavano ad un rigido regolamento: non potevano sposarsi, ad esempio, se non quando avessero raggiunto un determinato grado o anzianità di servizio potendo così garantire il sostentamento della famiglia e solo con il permesso del sindaco. Il loro compito non era del tutto facile: vigilare giorno e notte lungo le mura e all’interno della città perchè nulla vi entrasse di quanto era soggetto a dazio senza che fosse pagata la relativa imposta. Era una interminabile partita che si giocava d’astuzia e furbizia da una parte come dall’altra perchè la soddisfazione di spuntarla e di farla in barba agli agenti era spesso ben superiore alla modica cifra che da questi era richiesta. Così si ricorreva ai trucchi e alle trovate più ingegnose pur di riuscire ad entrare con un fagotto clandestino, un pezzo di carne, un salame o un litro di vino nascosti sotto le ampie sottane o celati da un pesante tabarro. Le guardie montavano di servizio alle 18 di ogni giorno e smontavano dopo 24 ore per un giorno intero di riposo. A quest’ora quattro drappelli costituiti ciascuno da cinque uomini e un graduato, tutti armati di moschetto, partivano dalla caserma per dirigersi verso ciascuna delle porte al cui servizio erano destinati: porta Venezia, porta San Luca, Porta Po e porta Mosa. Qui davano il cambio ai colleghi che erano montati il giorno precedente e che ora si concedevano il giorno intero di riposo.
Non era compito facile quello delle guardie, specie quando calavano le ombre e si chiudevano le porte della città. Le pattuglie percorrevano allora i bastioni: lunghi tratti che, nelle notti d’inverno, con la neve, la pioggia e più spesso la nebbia che sfumava i contorni e avvolgeva tutto nella più fitta e lattiginosa oscurità, dovevano sorvegliare affinchè i contrabbandieri non facessero passare le loro merci aldiqua delle mura con lanci precisi, sfruttando i punti deboli della cinta e conoscendo l’orario dei passaggi dei dazieri, a chi, di soppiatto, li attendeva all’interno. Erano abbastanza lunghi i percorsi che le guardie dovevano compiere tra un garitta e l’altra e a dare un po’ di sollievo durante le gelide noti provvedevano alcuni bracieri di carbonella ardente che l’amministrazione faceva accendere quando il gelo era più intenso."
Quando il comune decise l’abbattimento dei dazi e delle mura ponendo in congedo sia le guardie che gli impiegati la città si trovò sollevata da quel balzello".
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commenti
Gianluigi Stagnati
14 marzo 2024 07:52
Bell'articolo!
In via Giuseppina, all'altezza delle scuole elementari, esisteva anche li la barriera daziaria.
Poi l'edificio divenne l'attuale ufficio postale e la pesa a ponte, che esisteva davanti, venne tolta e venne fatto il parcheggio che c'è a lato dell'attuale edicola.
Stefano
14 marzo 2024 10:04
Se non vado errato, esiste ancora una ricostruzione del vecchio dazio in via Bagnara. Articolo bellissimo.
claudio
14 marzo 2024 14:52
Mi permetto una piccola precisazione... Via San Rocco, sulla sinistra, uscendo dalla città, a fianco della cascina di proprietà Quaini, esiste ancora una costruzione adibita a suo tempo a barriera daziaria, poi divenuta abitazione civile
ennio serventi
14 marzo 2024 14:40
Se la memoria non è malandrina, in via san Rocco poco prima della cascina Carpanella e dirimpettaia del cippo che ricorda il partigiano Bruno Ghidetti, dietro una siepe che la nasconde, mascherata dal crescere di erbe rampicanti e da posticci vari, dovrebbe esserci ancora una delle casotte daziarie. Per quanto riguarda gli agenti del dazio nominati nel servizio, posso testimoniare che, accomunati alle guardie campestri, alle guardia caccia e pesca, non hanno mai riscosso le simpatie dei cremonesi, considerate negli anni fino all'aprile 1945, le estreme propaggini vessatorie e predatorie del regime fascista.
michele de crecchio
14 marzo 2024 18:19
Condivido le segnalazioni di Ennio, Claudio e Stefano. Nella lunga sequenza di case unifamiliari che sorgono lungo la strada che dalla periferia cittadina conduce al Bosco, dovrebbe esistere l'unica casetta daziaria ancora conservata, anche se da tempo utilizzata anch'essa come residenza. Piccina com'è, sfugge di solito all'attenzione degli automobilisti di passaggio, ma non a pedoni e ciclisti.