20 dicembre 2023

Le nenie di Natale nelle stalle. "El prezépi d’èerba tèpa"

 

Ecco un testo sule tradizioni del nostro Natale, pubblicato su "Cronaca" del 2009 scritto da Agostino Melega

La nenia di Natale: un legame fra generazioni

Abbiamo scelto fra la documentazione che stiamo raccogliendo da anni, un’altra nenia o sermone poetico in dialetto che veniva insegnato ai bambini nelle comunità rurali d’un tempo; una storia delicata nella quale si sgranavano, come nelle stazioni del rosario, le tappe della vita di Gesù.

E questo narrare, e questo porre di fronte l’esperienza dell’adulto agli occhi curiosi e agli orecchi attenti dei bambini avveniva soprattutto nel periodo natalizio, quando si sospen- deva il tempo della fatica per accogliere nei cuori le energie del ricordo e del ricominciamento, e si celebrava l’inizio della nuova era cristiana.

Il momento del raccoglimento famigliare avveniva accanto al fuoco del camino, o tra i fiati caldi e i muggiti cadenzati nella stalla del filòs.
Le prime tre strofe della nenia che riattualizzava la vita del Signore nel tempo dell’intimità profana, seguendo i ritmi della tradizione o per meglio dire di una partecipe liturgia rurale, dicevano:

Bambìin in dèla cona,
la lona,
el sùul,
che gh’àa creàat el moondo

‘l è stàt el nòst Signùur.

‘L àazen, el boo,

bambìin in dèla cona

la lona,
el sùul,
che gh’àa creàat

el moondo
‘l è stàt el nòst Signùur.

I santi trè Rè Màagi,

‘l àazen, el boo,
bambìin in dèla cona
la lona,
el sùul,
che gh’àa creàat el mondo ‘l è stàt el nòst Signùur. (...)

I protagonisti del presepio di ieri e di oggi

Le nenia in dialetto proposta è pure l’icona esemplificativa della scena classica del presepio: il bambino è l’astro dell’umanità da redimere che va a creare, con la luna ed il sole dipintigli accanto, una nuova costellazione astrale ed umana, rifugio di tutte le sensibilità religiose precristiane, accolte in una nuova, rivoluzionaria reinterpretazione nell’approccio alla vita e alla vsione di un mondo altro. Ma poi in quell’icona verbale, anziché Maria e Giuseppe, appaiono in primo piano l’asino e il bue, comprimari nel mondo rurale di tante fatiche. A rappresentare i due sposi, la madre e il padre putati- vo del Bambìin, come se la citazione palese fosse ininfluente, vi sono con tutta probabilità i narranti, i genitori dei putéi ai quali la nenia era rivolta ai fini di una ritmica catechesi familiare.

In questa pedagogia intrisa di sentimenti e di concretezza non mancavano i commenti necessari a trasformare l’aspetto poetico in orientamento di vita; una morale che ci viene così ricordata da Gino Olzi:

Se la màan picenìna de’l Bambìin
la ne metès in de la cràpa duura
l’idéa de fàaghe mìia a chèi àalter

quèl che dispiàas de fàa a nujàalter...!

Alùura sé, che bèla féesta...

en véer Nadàal...: vurìise bèen,

tegnìise su a caminàa de fiàanch,

dàase la màan e, inséma, ‘ndàa luntàan!

Di questa educazione attenta al bisogno degli altri ridonda pure la produzione poetica di Tina Ardigò, distillata e riassunta nella sua composizione Dicèember dove, dopo aver elencati gli elementi meteorologici e folkloristici che descrivono e caratterizzano il dicembre cremonese, rivolge in rapporto al Natale un pensiero accorato e di comprensione umana agli umili e ai sofferenti:

Sgalbàs de giàs
càamp de purpurìna
lona de véel
che sbarloma in de’l blo... sanàavra a ‘l nàas
puméli rùsi
de àaria sàana...
se respira frèt.
Udùur de Nadàal, butéeghi, stràadi, muimèent, s’ciarùur, dicèember‘l bèl!
Ma ist’àan ‘l è màagher: in quàai cà
gh’è vegnìit la fumàana!

Il Natale pedagogico che allarga i suoi effetti moltiplicatori, come un'onda di bene prodotta dal sasso del sentimento nello stagno della vita ordinaria è anche propria della Musa ispiratrice dei versi di Alfredo Carubelli, il quale invita i bambini arricchiti dalla fortuna di avere accanto i genitori - gli alter ego viventi di Maria e Giuseppe del presepio- di pensare a Natale, nella giornata sacra degli affetti, ai putéi abandunàat:

(...)

A chéi putéi che gh’àa la gràn fortuna

de vìighe ‘n càar pupà, ‘na màma bùna,

de dùuls e de beléen in abundàansa,

ghe céerchi la rinuncia e ‘l sacrifìsi de ufrìi, cun coor, vergota che ghe vàansa: en pàar de canunséen, en beléen véc,
do scàarpe urmàai scapàade de mizùura,

‘na camizìna smorta, en quàal curpèt,

‘na stèca de turòon, quàater biscòt,
‘na sciàalpa per la gùla, du berèt,

magàari en camizòt cun dèent el péel...

L’è ròba che, per toti ‘ste regàs,

l’è tà’me màna che vèen zo dal céel. (...)

El prezépi d’èerba tèpa

Un altro segno dell’intensità del valore dell’attesa del Natale in famiglia, in quel particolare rituale d’affetti e di complicità giocosa e poetica che è la preparazione del presepio, ci viene dato dalla testimonianza di Francesco Ariberti, di Pizzighettone, con una bella pagina scritta sul volumetto “Il bab- bo, il bimbo e la luna”. Qui Ariberti confida al lettore: “Il presepio è stato il mio mondo. Tutti gli anni prima di Natale, con il babbo e la mamma, andavo per i campi a raccogliere l’èerba tèpa, e già per me era una festa. L’aria era fredda e pungente, l’acqua del Serio era color piombo, le piante scheletri, la boschina muta, nessun uccello cantava. La mamma con molta abilità staccava con un coltellino l’èerba tèpa dai tronchi degli alberi, fino a riempire un cestino. Poi, dalle vecchie roveri, coglievamo l’edera e con il nostro piccolo raccolto, stretto da mani indolenzite dal freddo, si tornava a casa. Mamma poneva il muschio ad essiccare sul davanzale della finestra per alcuni giorni, finché all’antivigilia di Natale, si preparava il presepio. Io ero felice. La capanna era fatta con ceppi di legno nodoso del gelso; il pozzo, con i mattoni disegnati di rosso, era lungo la stradina, fatta di farina bianca, che congiungeva la capanna con il castello. Il castello troppo piccolo, per non confondersi con le casine di creta intorno, aveva davanti una piazzola fatta di sassolini bianchi e gialli. In mezzo al presepe uno specchio faceva da laghetto ed era unito alle sponde da un ponticello in sughero. Le montagne, ap- poggiate al muro della parete, erano scatole vecchie di scarpe ricoperte dall’èerba tèpa e dall’ edera raccolte. Le statuine di gesso, soprattutto pastori, guardavano verso la capanna, mentre gli animali si perdevano intorno a loro. Nella grotta si trovavano insieme la Madonna, san Giuseppe, il bue, l’asi- no, il Bambino e il pifferaio. Lì accanto, in atteggiamento d’incanto e di preghiera: il nanetto che suonava la fisarmonica, il porcaro col maiale, la rezidùura con le oche e le galline, la lavandaia e poi gli angeli e i tre Re Magi. Quel mondo in miniatura così grande ai miei occhi di bambino era illuminato solo dalla fioca luce di una candela che accendevo solo di sera. Non volevo consumarla: desideravo che durasse fino all’Epifania. Questo era il mio presepio: semplice, ma per me tanto bello. Con il mio presepio, io parlavo...

Agostino Melega


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