Quando si faceva porta a porta la questua della Stella
LA STELLA
Ivalda Stanga scrive sul libro Cùma l'éera na vòolta: «C'è chi si ricorda di gruppi di bambini, con il tabarro e una sciarpa, camminare in mezzo alla neve con una stella trasparente in cui c'era incollata un'immagine di un presepio. Giravano per il paese, si fermavano ad ogni casa per augurare col canto un buon Natale e ricevere in cambio una fetta di torta, un torrone, qualche caramella. La questua era detta appunto «la Stella» ossia «fare la Stella». I bambini cantavano:
Gesü bambén 'l è nàat,
'l è nàat a Betlèm,
'l è sùura en pòo de pàja
'l è sùura en pòo de fèen...
Gesù bambino è nato,
è nato a Betlemme,
è sopra ad un po' di paglia
è sopra ad un po' di fieno...
Qui siamo ad uno stadio di poesia e di teatro puri. È una vera dolcezza rimandare il pensiero a queste frotte di bambini in giro che bussavano alle porte, auguranti un futuro di serenità sotto il segno della Stella. Nel Soresinese a volte essi recitavano anche la seguente filastrocca:
San Francèsch el gh'éera en pùm,
Sant'Ambrös el la fa cöös,
la Madóna la l'à pelàat
el Bambén el là mangiàat.
San Francesco aveva una mela,/Sant'Ambrogio la fa cuocere/la Madonna l'ha sbucciata/il Bambino l'ha mangiata.
Anche nei borghi del Triveneto è attiva la tradizione animata da una comitiva formata da tre bimbi che inginocchiandosi davanti alle porte delle case incominciano a dire: "Noi siamo i tre Re- vegnudi tutti tre - vegnudi dall'Oriente per adorar Gesù..."
I bambini, infatti, non offrono doni come gli antichi Magi, ma solo la loro simpatia. Niente di più. Il corteo infantile della "Stella" privilegia la dimensione dell'affetto, e fa corrispondere all'oro, all'incenso e alla mirra offerti tanti anni fa a Gesù Bambino, il dono della relazione comunitaria, della gioia di stare insieme nel presepe protettivo dei borghi, in uno spazio di attenzione e di amorevole aiuto reciproco.
I bambini, dunque, ed anche i poveri dei secoli scorsi, fino a settanta, ottanta anni fa, nel loro muoversi dietro la «Stella»> andavano a riprodurre il percorso dei Re Magi, e trasformavano ogni casa del loro paese nella capanna del Vangelo.
I 'questuanti' bussavano ad ogni famiglia ed ogni famiglia veniva ad essere associata, sul piano simbolico, alla Sacra Famiglia di Betlemme. E le porte si aprivano liete nel vedere la stella di stagnola e di ricevere i messaggi augurali. Sullo sfondo vi era il riferimento al Vangelo, allorquando, tanti e tanti anni prima, i Re Magi nel vedere la Stella «provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Matteo, 2,10-2,11).
Nella tradizione popolare cremonese avveniva dunque una 'trasposizione di senso': all'apertura delle porte delle case, si attuava, infatti, una sorta un ribaltamento dei ruoli. A fare la parte dei Re Magi non erano più i bambini itineranti, ma gli adulti donanti. Questi non offrivano certo oro, incenso e mirra, ma qualche soldino, en pürtugal, un mandarino, o un pezzo di formaggio. Ed incartavano di teneri sentimenti quelle semplici manifestazioni di riconoscenza augurale. Poi la «Stella»> ripartiva ed anche i bambini riprendevano il cammino con i loro canti e le loro filastrocche, al fine di spandere tutt'attorno armonia e fiducia nel futuro.
Detto «gioco calendariale»> è presente ancora oggi in Lombardia, soprattutto nell'area della montagna bresciana, in Valtellina (vedi la foto) così come in Trentino-Alto Adige e in Friuli.
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