Una favola (vera) di Natale e il presepe perpetuo
Parte una nuova rubrica di Cremonasera: "Le nostre storie di Natale". Una serie di racconti, poesie, storie, leggende e tradizioni della nostra terra legate al tema del Natale che ci faranno compagnia fino al 6 di gennaio. Iniziamo con uno scritto di Giorgio Bonali per il suo "Baule dei ricordi".
Era prete in un piccolo paese di collina, uno di quelli che diventano sempre più piccoli per abitanti e con un territorio che, col passare degli anni e la vecchiaia, sembra diventare sempre più vasto: era difficile per lui mantenere l’abitudine di percorrerlo a cavallo della sua bici da donna, portava sempre il suo lungo abito talare, per vedere i parrocchiani che non potevano o non volevano partecipare almeno alla messa festiva.
Tutti gli volevano bene per l’amabilità e la generosità che andava oltre il disponibile: era normale che il modestissimo reddito della parrocchia non gli permettesse di arrivare a fine mese, anche perché qualcuno che gli chiedeva aiuto arrivava sempre in canonica e lui non era capace di dire un no, se nelle sue tasche ballava ancora qualche lira; a volte, negli ultimi giorni del mese, mangiava se gli ne regalavano.
Di entrate straordinarie se ne vedevano veramente poche; le offerte alla messa domenicale erano proporzionate alle scarse presenze, i matrimoni cominciavano a diventare un ricordo per lui e per la sua chiesa ormai diventata troppo grande rispetto alle necessità; così i battesimi, le prime comunioni, le cresime annualmente si potevano contare sulle dita di una mano.
Durante una chiacchierata mi aveva confidato come il suo vero problema fosse la solitudine, troppa anche per un prete, che in certe giornate invernali gli bloccava lo stomaco e gli toglieva la volontà di concentrarsi nella preghiera: in quei momenti erano benedetti persino i questuanti che venivano a trovarlo.
“D’estate tutti i santi aiutano” mi ripeteva insistentemente pensando agli abitanti emigrati che tornavano ancora al paesello, “ma quando cade la prima neve, a volte per l’Immacolata siamo già coperti, non posso nemmeno più muovermi; persino per confessarmi debbo confidare che qualche prete un po’ più giovane se la senta di venirmi a trovare quassù!”
Ma c’era una cosa che ancora lo rianimava e gli dava nuova energia: l’avvicinarsi del Natale, una festa che lui sentiva particolarmente e che sapeva godere intimamente col suo animo “santamente” bambino.
Già ai primi di dicembre cominciava a togliere dal ripostiglio le belle statuine che ogni anno servivano ad animare il presepio, tradizionalmente costruito nella prima cappelletta di sinistra; ricordava come tanti anni prima ci fosse ancora in paese un consistente gruppo di giovani che l’aiutavano con le loro idee e la mano d’opera.
Adesso sapeva di doversi arrangiare, contando sull’aiuto di due parrocchiani anziani quanto lui, che servivano più come incorag- giamento che come aiuto vero; to- glievano, con un pennellino a crine morbido, la polvere che si era fermata nelle pieghe degli abiti delle statuine, prima di disporle nel pae- saggio, sempre quello costruito dai giovani di allora.
Anche se un po’ indaffarato, riusciva ad organizzare la novena preparatoria del Natale, arricchita ogni giorno da poche parole di commento alle letture, dette per i “tre gatti” presenti, e dal canto finale “Venite o buon Gesù, a nascer nel mio cuore”.
Infine arrivava la Vigilia, come sempre passata nella unica stanza della canonica riscaldata con una vecchia stufa economica a legna, a mangiare un bel piatto di tortelli alle erbette che tradizionalmente gli portava l’anziana signora della casa vicina, quella che l’aiutava a tenere in ordine la chiesa e puliti e stirati i paramenti sacri.
Un anno è accaduto un fatto straordinario che gli ha riempito l’animo di gioia: un gruppo di scout della città ha chiesto di installarsi nei locali inutilizzati della canonica, per celebrare con lui il Natale. Così la Messa di mezzanotte il parroco l’ha celebrata circondato da giovani che cantavano con entusiasmo i canti della tradizione, e dagli altri fedeli, forse più numerosi del solito, con un viso sorridente perché come lui, sentivano questa presenza come un grande regalo del Natale.
Oggi in quel paesino non esiste più la parrocchia e don Ottorino è sepolto nel piccolo cimitero esposto al sole, non lontano dalla chiesa e non lontano dal “suo” presepio che è rimasto esposto dopo l’ultimo Natale.
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