Azzanello e la "lezione" di Cavagnoli (24)
E’ la mattina di lunedì 27 agosto 1928 ad Azzanello: due giovani contadini dipendenti dell’azienda Poli stanno andando a lavorare, come al solito, nei campi vicini quando, giunti nei pressi della roggia Cavallara nelle vicinanze della filanda Superti, dove il fosso interseca la roggia Rezza, scorgono, con stupore misto ad orrore, il cadavere di un uomo di età avanzata. In preda al terrore ritornano di corsa sui propri passi fino in paese dove annunciano la macabra scoperta. La voce si diffonde in un baleno, e sono in molti che, abbandonato quanto in quel momento stan facendo, corrono sul posto. Qualcuno chiama i carabinieri che identificano il morto. E’ un certo Giovanni Lanzi, di 59 anni, detto “Frer”perchè fino a poco tempo prima faceva il fabbro ma, con l’avanzare dell’età, aveva lasciato il lavoro e viveva facendo il mediatore. Il cadavere presenta una profonda ferita da taglio alla testa, inferta probabilmente da un falcetto. Da un primo esame sembra che la morte possa risalire alla domenica sera, forse verso le 21. L’assassino avrebbe colpito Lanzi, poi l’avrebbe gettato nel fosso dove i due ragazzi l’avevano rinvenuto. Giungono da Cremona il commissario Petrucelli con il capitano dei Carabinieri Napolitano, il sostituto procuratore Vista e il giudice istruttore, per aiutare le indagini già iniziate dal maresciallo dei carabinieri di Soresina Arrighini. In galera, intanto era già finito un certo Giuseppe Cavagnoli, di 52 anni che da Azzanello era stato trasferito a Cremona. In un primo tempo aveva negato di essere l’autore dell’omicidio poi, pressato dagli interrogatori, aveva confessato di aver ucciso Lanzi per vecchi rancori. L’autopsia rivela numerose ferite da arma da taglio ed una, la più grave, alla regione temporale sinistra provocata da un corpo contundente. La morte di Lanzi non doveva essere stata immediata e, probabilmente, il mediatore era stato gettato ancora vivo nella roggia, morendo poi in seguito ad asfissia da annegamento.
Cavagnoli, in realtà, viene incastrato dalle voci di paese. Tutti sanno che qualche settimana prima, in giugno, insieme allo stesso Lanzi e ad un certo Carletti, aveva tagliato una certa quantità di legna nella proprietà dei fratelli Stanga, ma si era appropriato di fascine e stecchetti che sarebbero spettati agli altri due. I compari, dunque, erano ricorsi al giudice Conciliatore per ottenere la restituzione del maltolto, ma sembra che Lanzi se ne fosse attribuito il merito, destando in questo modo il rancore di Cavagnoli. Una mattina quest’ultimo lo aveva minacciato con una roncola davanti all’osteria Giuseppe Mainardi e ad allontanarlo era intervenuto lo stesso oste. Ma Cavagnoli era divorato dalla rabbia e non perdeva occasione per minacciare Lanzi, prendendosela anche con il figlio, che aveva confidato di temere per la propria vita. Questo era quanto si raccontava in paese.
Il giorno prima i due si erano incontrati all’osteria della Sirena, che Cavagnoli non era solito frequentare, ma non era successo nulla. Alle 21 Lanzi era uscito in compagnia di Ernesto Manfredini e, come era solito fare nelle calde sere d’estate, anziché tornare a casa si era diretto verso la rivendita di angurie di Antonio Pandini per trascorrevi la notte al fresco. Durante il tragitto avevano incontrato altri due conoscenti, Agnese Roncaglio ed Angelo Tonotti, ed anche ad essi aveva espresso il suo timore per le oscure minacce ricevute da Cavagnoli. Proseguendo lungo la strada si era fermato anche con Giulia Moneta, poi si era diretto risolutamente nel luogo dove intendeva trascorrere la notte, senza, però giungervi.
Secondo la ricostruzione dell’accaduto fatta dalla Questura e dai Carabinieri Lanzi sarebbe stato aggredito a circa 60 metri dalla roggia Azzanella, dal momento che sulla sponda destra della roggia Cavallara sarebbero state trovate tracce di sangue sul terreno e sulle foglie sparse intorno, che giungevano fino ai bordi del fosso. Venne rinvenuto anche un grosso sasso macchiato di sangue ritenuto l’arma impropria con la quale sarebbe stato colpito il mediatore. Il cadavere di Lanzi sarebbe stato ritrovato a circa un chilometro di distanza. Chi, e per quale motivo, l’avrebbe ucciso e trascinato il corpo fino alla confluenza della roggia Cavallara nella Rezza? Cavagnoli durante la giornata si era recato in un’osteria che di solito non frequentava solo per inseguire Lanzi, l’aveva poi seguito all’uscita e l’aveva atteso lungo il tragitto che sapeva avrebbe percorso per rincasare. Sicuramente portava con sé, come faceva abitualmente durante le ore notturne, la sua roncola, e forse anche il grosso sasso, che non era facile trovare in zona e che probabilmente aveva tenuto nascosto in tasca, visto che, al momento del ritrovamento, si presentava perfettamente levigato e ripulito dal terriccio. Sono queste considerazioni che spingono i Carabinieri ad arrestare Cavagnoli e ad interrogarlo. In un primo momento l’accusato nega ogni addebito, poi, pressato, confessa, spiegando, però, che non era sua intenzione uccidere l’uomo, ma semplicemente dargli una lezione a titolo di esempio. Portato davanti al Pretore di Soresina Cavagnoli ammette di aver avuto motivi di rancore con Lanzi e di averlo solo schiaffeggiato e, poiché quest’ultimo lo aveva insultato, di averlo colpito con il falcetto e poi con il sasso, ma di non averlo ucciso. Anzi, lo aveva accompagnato in riva al fosso per bagnarsi la testa e lo aveva lasciato mentre era ancora intento a questa operazione. Ma, una volta comparso davanti al giudice istruttore Simeone Zerboni, Cavagnoli ritrattò nuovamente la confessione, negando l’esistenza di qualsiasi rancore per la faccenda della legna, che a sua detta sarebbe già stata risolta, sostenendo che all’ora in cui sarebbe stato presumibilmente compiuto il delitto, lui era già a letto. Ovviamente nessuno dei testimoni portati a sua discolpa si sentì di confermare l’alibi: Lanzi, da tutti ritenuto un uomo mite e benvoluto dall’intero paese non aveva nemici, solo Cavagnoli avrebbe avuto un motivo, seppur futile, per ucciderlo.
Comunque sia Cavagnoli viene rinviato a giudizio ed il 22 maggio 1929 compare in Corte d’Assise con l’accusa di omicidio qualificato, confermando davanti alla giuria la sua ultima versione dei fatti: “Andai all’osteria verso le 18,30 a bere una mezza bottiglia. Vi era pure il Lanzi, al quale neppure rivolsi la parola. Alle ore 20 rincasai e non uscii più”. Ed aggiunge: “All’infuori dell’unica questione avuta in precedenza con lui, non ebbi altra ragione di litigio”. Ed ancora: “Non ho mai detto che avevo avuto soltanto l’intenzione di dare una lezione al Lanzi, e che era ben lungi da me l’intenzione di volerlo uccidere. Ai carabinieri che mi arrestarono avrò detto qualche cosa, ma io non sapevo quello che mi facevo ed ho sbagliato a firmare”. E di fronte ad una nuova domanda del Pm: “Tornando in casa per l’ultima volta sono passato in mezzo alla Benigni e a Galloni, che devono avermi visto, e così pure devono avermi misto nell’uscire”.
Viene sentito Alfredo Lanzi, il figlio della vittima: “Sono convinto che autore de delitto è Giuseppe Cavagnoli. Più volte mio padre ebbe a dirci di essere stato minacciato dallo stesso. Mio padre non aveva nemici, anzi tutti gli volevano bene. Il Cavagnoli, poco tempo prima del luttuoso evento, ebbe a minacciare anche me. Dopo tale episodio mio padre ci disse che un giorno era stato minacciato con una roncola davanti all’osteria della Sirena, e che se non fosse intervenuto il proprietario, Giuseppe Mainardi, gli avrebbe rotta la testa”.
La moglie del morto, Teresa: “Appena fummo a conoscenza del delitto, pensammo subito che autore ne doveva essere stato il Cavagnoli. Precedentemente mio marito mi aveva raccontato, tutto tremante, l’episodio avvenuto davanti all’osteria del Mainardi, aggressione avvenuta dopo la conciliazione. Un giorno, incontrato il Cavagnoli sul mercato, questi mi disse che mio marito era un «baloss», un assassino perché gli aveva portato via un pezzo di legno. All’amica giusta osservazione che ciò era avvenuto per causa sua, e che se avesse toccato mio marito, i miei figli avrebbero dato a lui, mi rispose: «Mi arrangerò ben io con suo marito!».
Vengono sentiti i testimoni, che confermano la versione di Cavagnoli. Angelo Zanotti spiega che “la sera di domenica verso le 21,30, in compagnia di Agnese Zanotti e Bittanti, mi trovavo sulla porta della casa di abitazione di quest’ultimo, quando passò il Lanzi, il quale fermatosi, i raccontò il fatto della legna e ci disse che il Cavagnoli gli aveva minacciato la vita. Mi sembrò intimorito perché temeva rappresaglie da parte del Cavagnoli. Il Lanzi dopo si diresse verso l’osteria della «Sirena»”. Erminio Grossi raconta che “per incarico dei carabinieri mi recai in cerca del Cavagnoli, che trovai nel campo ove lavorava. Appena gli feci noto lo scopo della mia presenza, egli mi disse: «Fortuna che mi sono ritirato presto». Per due volte mi pregò di prenderlo e di dire che sarebbe venuto; ma io lo attesi. Lungo la via notai che il Cavagnoli non camminava bene, credo perché agitato». Ma poi, quasi a giustificare i sospetti, aggiunge: “Il Cavagnoli non godeva buona fama”.
L’episodio dell’osteria è vivo nella memoria di tutti i testimoni, ed è quello che inficia più di tutti il giudizio su Cavagnoli. Così anche Antonio Pandini: “Un giorno il Lanzi mi raccontò il fatto della legna e l’aggressione patita ad opera del Cavagnoli davanti all’osteria del Mainardi. Mi riferì che in tale occasione l’imputato ebbe a dirgli: «Ti taglio la crapa»; mi disse più volte che aveva gran paura del Cavagnoli”. Tocca poi all’oste Giuseppe Mainardi, tirato in ballo più volte, dire la sua. Ricorda che una mattina, dopo che i due avevano già raggiunto una transazione sulla legna, si incontrarono davanti alla sua osteria e litigarono, Cavagnoli agitava un falcetto e lui stesso dovette intervenire a disarmarlo ed a separare i due. Cavagnoli sostiene invece che, in realtà, era stato lui a togliere il falcetto di mano a Lanzi.
Il brigadiere dei Carabinieri Francesco Serra spiega di essere stato lui a suggerire a Cavagnoli di confessare il delitto: “Prima di interrogare l’imputato feci presente allo stesso che gli indizi che gravavano su di lui erano gravai e che quindi gli conveniva confessare il delitto. In sulle prime si mantenne negativo, ma poi finì coll’ammettere l’accusa che gli si muoveva, dicendo che non era sua intenzione ucciderlo, ma solo dargli una buona lezione, e ,se non erro, fargli fare un bagno”.
Le due sorelle Rosa e Maria Meffezzoni confermano che Cavagnoli non era uscito di casa dopo le 20 e nella mezzora precedente era stato all’osteria della “Sirena” insieme a Lanzi. Perplesso anche il dottor Ezio Milanesi: “Ho assistito all’interrogatorio dell’imputato fatto dal Pretore di Soresina. Il Cavagnoli si confessò autore del delitto; disse della strada fatta e del posto ove avvenne il fatto. In quell’occasione fu allo stesso mostrato il sasso ben levigato, rosso, che l’imputato riconobbe di avere usato. La sua versione mi sembrò verissima ma anormale: di tanto in Anto si fermava e sementiva quello che aveva precedentemente detto. In quell’occasione il Cavagnoli mi sembrò anormale. Era turbato, a non sembrava avesse delle sofferenze fisiche. Volli interrogarlo anch’io, ed a me disse che voleva dargli una lieve non ucciderlo: ma dopo, in occasione di altra domanda, negò anche questo”.
L’interrogatorio di numerosi testi non fa altro che ingarbugliare ulteriormente la matassa: c’è chi dice di aver visto Cavagnoli uscire in bicicletta, dopo le 20, e chi sostiene che non fosse uscito di casa. Una testimonianza contraddice quell’altra e la bilancia finisce con il pendere a favore dell’imputato.
I due avvocati della difesa, Giulio Mondini e Michele Zanoncelli di Soresina, sostengono l’innocenza dell’imputato, l’avvocato dell’accusa, il celebre Ubaldo Ferrari di Castelverde non ha dubbi nel ritenerlo colpevole. L’unico possibile colpevole. In realtà nessuno degli avvocati è particolarmente convinto della consistenza delle prove a carico e a discolpa di Cavagnoli. Ed il verdetto, conseguente al voto dei giurati, non può essere altro che l’assoluzione. Ognuno porterà con sé i propri dubbi ed il delitto resterà senza colpevole.
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