30 agosto 2021

Jolanda, la Claretta Petacci di Acquanegra (15)

Adelmo Pezzi e Jolanda Maiocchi si erano conosciuti nel 1937 e sposati nel dicembre dell'anno successivo, decidendo di andare ad abitare ad Acquanegra Cremonese. I primi tempi erano stati felici, e la felicità aveva raggiunto l'apice con la nascita del primo figlio. Mesi di autentica gioia, interrotta bruscamente con lo scoppio della guerra. Adelmo viene richiamato sotto le armi e spedito in Africa Settentrionale, ma parte con giovanile entusiasmo perchè anche suo padre, corazziere del Re per vent'anni, glielo ha sempre insegnato: il dovere per la Patria è dal di sopra di tutto, anche della famiglia. Tuttavia non è facile abbandonare al loro destino la giovane sposa, l'anziana madre, un figlio di tredici mesi. Gli sono di conforto le lettere d'amore che Jolanda gli scrive, a cui lui risponde con altrettanto trasporto. Qualche tempo dopo viene catturato dagli inglesi e deportato in un campo di concentramento in Inghilterra dopo un viaggio pieno di insidie, bersaglio costante dei sottomarini tedeschi.

Resta prigioniero tre anni poi, al temine del conflitto, riesce a tornare ad Acquanegra il 15 febbraio 1946. Spera di ricominciare la vita che ha lasciato, ma qualcosa lo turba. Il bambino, che aveva lasciato quando appena aveva un anno di età, non lo riconosce. E fin qui nulla di straordinario, se lo aspettava. Ma lo colpisce il modo in cui lo guarda, con sospetto e diffidenza, se non proprio con una certa ostilità. Un tarlo inizia a roderlo: forse, in sua assenza, la mamma non gli ha insegnato a coltivare il ricordo del padre lontano, a centellinare i giorni in attesa del suo ritorno. Adelmo inizia a nutrire qualche sospetto, gira per la casa scrutando ovunque alla ricerca di conferme di quello che, più che un dubbio, nella sua mente sta diventando drammatica certezza: in quella casa, durante la sua assenza, deve esserci stato qualcun altro. Mancano all'appello un fucile ad aria compressa, due fucili da caccia ed alcuni capi di vestiario, dalla cantina sono scomparse cinquecento bottiglie di vino generoso che lui vi aveva riposto, e dalla dispensa una grande quantità di viveri. E' vero che la carestia portata dalla guerra poteva avere contribuito all'esaurimento delle scorte, ma che fine avevano fatto i suoi fucili? Jolanda ha la risposta pronta: li aveva utilizzati un certo Francesco Sangalli che ogni tanto andava a caccia per rifornire la loro dispensa. Vabbè, ma quello splendido radiogrammofono, allora, dov'è finito? Sono rimasti in un  angolo solo alcuni dischi spezzati con l'etichetta firmata proprio dal Sangalli.

Ormai Adelmo è travolto dalla gelosia e chiede informazioni ad una vecchia amica d'infanzia che ha ritrovato al suo ritorno in paese, qualcuno insinua, in realtà, che si tratti di qualcosa di più di una semplice amica... Ma tant'è. Viene a sapere che la moglie avrebbe abbandonato l'originale avversione al fascismo che l'accomunava al marito prima che partisse per il fronte, ed avrebbe invece simpatizzato con le idee di Sangalli, conosciuto da tutti come un fervente repubblichino. Ma, purtroppo, c'è molto di più: Jolanda, ormai, è soprannominata in paese la “Petacci di Acquanegra” facendo riferimento al rapporto con Sangalli, di cui era diventata amante, come Claretta lo era stata di Mussolini.

E non si tratta solo di voci. Adelmo non poteva saperlo ma, due o tre giorni dopo la Liberazione, Jolanda era stata trascinata in piazza dove, fra le urla di scherno e le ingiurie della popolazione, le erano stati rasati a zero i capelli, come si usava con i traditori, ed i collaborazionisti, perchè il famigerato Sangalli era stato arrestato dai partigiani proprio in casa sua, dove lei gli aveva dato rifugio nei giorni dell'insurrezione. Adelmo solo allora capisce perchè il suo bambino parli spesso dello “zio Francesco”. Non sa cosa fare, non vede alcuna via d'uscita. In un primo momento pensa addirittura di farla finita, ma poi abbandona l'idea per non coprire i suoi due figli (il secondo è nato dopo il suo ritorno dalla prigionia) della vergogna di avere un padre suicida. 

Frattanto Sangalli viene liberato dal carcere, in seguito ad una condanna a diciotto anni poi amnistiata. Vederlo di nuovo girare in paese impunito, accresce il suo dolore ed acceca la sua ira, e nella sua mente inizia a farsi strada un pensiero fisso: dare una lezione a quell'uomo. Una lezione esemplare, che difenda la sua onorabilità. Finchè la mattina di giovedì, 2 ottobre 1947, Adelmo inforca la sua bicicletta e si dirige a Grumello. Si siede in un'osteria quando ad un tratto, ad una distanza di una ventina di metri, scorge nel cortile della casa confinante Sangalli. E' l'occasione che cerca, ha in tasca una rivoltella, la estrae e gli corre incontro: spara tre colpi a bruciapelo. Poi, senza voltarsi, si allontana di corsa in bicicletta diretto ad Acquanegra.

La moglie, sull'uscio di casa, lo vede arrivare sconvolto. Intuisce immediatamente quali siano le sue intenzioni, quella mattina, infatti, lo aveva visto allontanarsi da casa particolarmente agitato e lo aveva confidato ad una vicina, ma di certo non avrebbe potuto immaginare quanto, in realtà, sta per accadere. Nella mente dell'uomo si affastellano frasi, immagini e ricordi confusi mentre scende dalla bicicletta. Una frase, in particolare, gli risuona in testa: la voce della zia Ester Chiesa che gli ha raccontato di aver visto pochi giorni prima Jolanda su un viottolo di campagna in attesa di Sangalli, una voce sormontata dal fragore di tutte le altre del paese. La donna lancia un urlo e cerca scampo nel recinto di un pollaio. Ma Adelmo ormai ha deciso, la raggiunge e, come in trance, le scarica addosso la rivoltella:  sei colpi, di cui quattro mortali. Poi inforca nuovamente la bicicletta e si dirige alla caserma dei Carabinieri di Sesto Cremonese. Al piantone che gli apre la porta mostra la pistola e dice solo poche parole: “Prendete, credo di avere ucciso due persone, oramai sono tranquillo”.

Il processo in corte d'Assise si apre il 14 novembre 1949, presidente Serra, avvocato difensore Groppali, Franzetti per la famiglia Maiocchi e Gnocchi per la famiglia Sangalli, entrambe costituitesi parte civile. L'aula è gremita. Adelmo Pezzi parla per oltre un'ora senza essere interrotto, a tratti piange e fa commuovere la folla, ma non il presidente che, senza lasciarsi travolgere dall'emozione, lo incalza. Anzi, gli ricorda che, secondo alcuni testimoni, non avrebbe mostrato un particolare affetto nei confronti della moglie e l'avrebbe sottoposta a maltrattamenti usando anche uno scudiscio. Un testimone l'avrebbe visto tracciare una croce sulla cenere del camino e indicare per ogni braccio della croce una vittima: due quelle effettivamente uccise, e le altre i due figli. Adelmo non risponde. Il procuratore generale Gemelli osserva che la pistola utilizzata, acquistata nel luglio 1947 era a sette colpi, mentre invece i colpi sparati sono stati più numerosi e che Sangalli, amnistiato solo un mese prima, non avrebbe mai incontrato l'imputato.

L'avvocato Franzetti presenta alla corte due lettere: nella prima, del 1940, indirizzata da Sangalli ai suoi suoceri, Francesco recrimina sul fatto che la moglie si era presentata alle nozze senza alcuna dote e spiega che i rapporti con lei non sono buoni, che “se le cose vanno avanti così mi separo legalmente, che “in casa mia, il padrone sono io” concludendo con una frase sibillina: “Il lupo che mangia la pecora e fugge, è bravo; ma se non riesce a scappare, ci rimette la pelle”. La seconda, invece, è di Pezzi che scrive “sono cornuto e becco, ma ancora per poco”, accennando ad una pistola che gli è stata sottratta ma aggiungendo che “ho un'altra rivoltella nel comodino e migliore dell'altra”. Il tentativo della difesa è ovviamente quello di dimostrare la premeditazione del duplice omicidio, che comporterebbe una condanna all'ergastolo. Inizia la sfilata dei testimoni, sono ben settantadue, tra medici, carabinieri, vicini di casa e avventori dell'osteria. Battista Sangalli, il fratello della vittima, dice di non sapere nulla della relazione con Jolanda, se non le solite chiacchiere di paese; la madre, Clotilde Rochovich, spiega di aver sentito sparare cinque colpi all'indirizzo del figlio mentre stava lavorando in casa e che quest'ultimo aveva già espresso l'intenzione di emigrare altrove alla ricerca di lavoro. Il medico Giacomo Chiodelli ricorda di aver visitato Adelmo solo qualche volta per praticargli qualche iniezione di calcio con lo scopo di accelerare la guarigione di una frattura alla gamba, che si era procurato cadendo in moto. Ma poi aggiunge che, su consiglio della sua conoscente Rina Sarzi, amica di Jolanda, convinta che Pezzi fosse “anormale”, lo aveva visitato trovandolo un po' sovreccitato, ma non se l'era sentita di disporre il suo ricovero, limitandosi a consigliare di sottoporsi alla visita di una bravo psichiatra. A sua volta la Sarzi, sentita subito dopo, in una lunga deposizione racconta che da Jolanda aveva saputo come nel corso di una notte Pezzi avrebbe detto alla moglie: “Quando mi sei lontana, ti vorrei; quando mi sei vicina, sento di doverti uccidere. Ma Sangalli deve morire, altrimenti gli altri ammazzano me”. Il Presidente chiede a Pezzi chi siano gli “altri”, ma l'imputato risponde di non aver mai pronunciato quella frase. 

La testimone prosegue nel suo racconto spiegando di aver consigliato all'amica di rivolgersi ai carabinieri, ma Jolanda non l'avrebbe ascoltata, limitandosi a rispondere alle minacce del marito: “Stai attento a quello che fai. Ricordati che hai due figli”. Avrebbe allora pensato lei stessa di parlarne al maresciallo, ma poi avrebbe desistito. Tutto questo sarebbe accaduto circa un mese e mezzo prima del duplice omicidio. Pezzi, tuttavia, nega risolutamente, fino a provocare la reazione stizzita di Rina che, rivolgendosi direttamente al Presidente, sbotta: “Vuol sapere cosa ha detto Pezzi proprio a me? Ha detto che quando tagliarono in piazza i capelli a sua moglie, hanno fatto troppo poco, dato il tipo che era; e che avrebbero dovuto usarle violenze di ben altro genere lungo la strada, dal principio alla fine del paese”. 

L'ultima a deporre nella mattina è la figlia di Sangalli, Maria: racconta di aver tentato di avvinghiarsi alle gambe di Pezzi in fuga, ma di essere svenuta. Aveva sentito parlare in paese della relazione del padre, ma quando, dopo essere stato scarcerato, glielo aveva chiesto esplicitamente, lui si era limitato a non rispondere. Depongono anche l'oste di Grumello, Carlo Gobbetti, e la vedova di Sangalli, Paolina Pelegatta, che da Francesco ha avuto due figli ed ora abita a Busto Arsizio dove fa la sarta, dopo essersi separata a causa della suocera. 

Conferma l'esistenza di una relazione tra i due amanti uccisi anche la madre di Pezzi, Maria Chiesa: dice ai giudici di aver trovato il figlio molto cambiato dopo la prigionia in Inghilterra, e di non avergli voluto dir nulla per amor di quieto vivere, ma, in ogni caso, di aver sempre aiutato sia la nuora che i due nipoti a superare le ristrettezze imposte dalla guerra. Come aveva saputo della relazione? Da una ragazza che l'aiutava in casa mentre lei serviva i clienti nel suo negozietto: li aveva visti a braccetto a Cremona, nei giardini di piazza Roma, ma poi era stata minacciata dallo stesso Sangalli, che in quel periodo era maresciallo della GNR, di essere deportata in Germania se avesse proferito parola su quell'incontro. 

Nel corso dell'udienza si viene a sapere dalla stessa Maria Chiesa che Jolanda si era già rivolta all'avvocato Mascherpa per essere assistita in una causa di separazione, ma poi il marito aveva avuto quell'incidente in moto lungo la strada per Milano, lei lo aveva assistito ed i due avevano finito per riconciliarsi. Il padre di Jolanda, Giovanni Maiocchi abitante a Guardamiglio, racconta che la figlia è sempre stata maltrattata dal marito e, prima che venisse richiamato alle armi, la poveretta si era rivolta almeno una decina di volte ai genitori confidando i maltrattamenti subiti. Il marito di una sorellastra dell'uccisa, Mario Roverselli, racconta in toni vivaci come già due mesi dopo il matrimonio l'idillio tra i due era finito e Jolanda veniva trattata alla stregua di una bestia da soma, e non solo: dopo il ritorno dalla prigionia Adelmo pranzava con la rivoltella deposta sul tavolo, tanto che lui si era sentito in dovere di avvertire della cosa il parroco del paese e poi il maresciallo dei carabinieri. Cita al proposito un episodio accaduto in occasione del battesimo del primogenito, quando Pezzi aveva schiaffeggiato la moglie alla presenza della madre di lei.

Il maresciallo Lorenzo Bosi, comandante della stazione dei Carabinieri di Sesto, racconta che qualche giorno dopo la Liberazione Jolanda aveva consegnato ai partigiani di Crotta d'Adda 37 mila lire che le erano state affidate da Sangalli e ricorda che la stessa, alla vigilia del ritorno del marito dalla prigionia, gli aveva chiesto consiglio se, sapendo quanto era accaduto, era opportuno lo attendesse a casa, oppure dai proprio genitori. Il maresciallo le aveva consigliato di restare, poi aveva saputo delle violente scenate che si susseguivano in famiglia e del fatto che Pezzi avesse percosso la moglie con uno scudiscio. Solo allora le aveva consigliato di separarsi legalmente, poi era accaduto il famoso incidente e le cose sembravano essersi sistemate. 

Ma evidentemente così non era, se un altro testimone, Dante Pizzero, invitato una sera a casa dei Pezzi, racconta che mentre i due bevevano Adelmo aveva espresso giudizi pesantissimi sulla moglie, intenta ai lavori domestici al piano superiore che, sentendolo, era rapidamente scesa chiedendo spiegazioni e, in risposta, si era beccata due violenti ceffoni. E sul tavolo c'era sempre la solita pistola che Pizzero aveva preso e nascosto in tasca temendo il peggio. Un certo Eugenio Gennari racconta di aver saputo un giorno dal Pezzi che il bambino si rivolgeva a Sangalli chiamandolo “papà”. Il parroco don Umberto Persico, conferma il clima violento che regnava in casa fin dal 1939, anno del loro matrimonio e di aver dissuaso la donna, che glielo aveva chiesto, dal ritornare nella casa dei genitori, proprio la notte stessa in cui era nato il primo figlio.

Particolarmente interessante è la testimonianza della maestra Cremonesi, coinquilina della famiglia Pezzi: racconta che Sangalli e la figlia erano ospiti abituali di quella casa e ne aveva chiesto spiegazione a Jolanda, la quale si era limitata a dire che si trattava di una semplice amicizia. Le visite avvenivano sempre di giorno e mai di notte. Solo il 24 aprile, alla vigilia della Liberazione, Sangalli aveva chiesto ospitalità sia alla maestra che a Jolanda. Le due, seppur titubanti, avevano finito per cedere alla richiesta e la Maiocchi aveva portato dal piano superiore una branda, che aveva sistemato in cucina, dove Sangalli aveva effettivamente trascorso la notte. Il giorno dopo aveva deciso di costituirsi e, accompagnato da una conoscente, si era consegnato ai partigiani. Emerge anche un altro particolare piccante: Jolanda avrebbe avuto una relazione anche con un altro uomo, visto con lei in casa una mattina in atteggiamento inequivocabile. Una circostanza confermata da due testimoni.

La mattina seguente riprende l'udienza con la testimonianza dell'avvocato Ambrogio Porro: Pezzi gli si era rivolto dapprima come presidente dell'Associazione fra gli ex prigionieri e poi per iniziare le pratiche per una separazione coniugale. Era un uomo disperato, appena tornato a casa aveva iniziato ad intuire qualcosa. Aveva trovato la moglie con i capelli troppo corti e lei gli aveva detto che aveva dovuto tagliarli in seguito ad una malattia, poi perchè lo imponeva la moda. In un primo tempo non aveva dato alla cosa eccessiva importanza, poi aveva iniziato a sentire la storia della “Petacci di Acquanegra”, ed allora la cosa aveva assunto un aspetto totalmente differente. Già aveva nutrito qualche sospetto la sera stessa del ritorno, quando gli era sembrato che la moglie, così ingenua tanti anni prima, fosse cambiata. Poi aveva iniziato a raccogliere strane voci in paese, dove aveva saputo che il suo piccolo chiamava Sangalli “papà” e raccontava che in varie occasioni “era andato a dormire con la mamma nel letto grande”, si favoleggiava di banchetti e festini in casa, mentre lui languiva in un campo di concentramento. Poi c'era stato l'incidente in moto, la nascita del secondo bambino e sembrava che tra i due l'armonia fosse tornata. Ma una quindicina di giorni prima che scoppiasse la tragedia, Pezzi era tornato dall'avvocato in uno stato irriconoscibile. Gli aveva chiesto di svolgere le pratiche per espatriare in America, perchè “non posso più vedermi in casa”. Nel frattempo la moglie aveva intentato una causa di separazione contro di lui, adducendo il fatto che il marito frequentasse un'altra donna, la stessa che gli aveva riferito i particolari sulla condotta della moglie durante la sua assenza. Poi la causa venne abbandonata perchè, stando alla testimonianza di Porro, Pezzi non avrebbe voluto perdere i propri figli.

Viene ascoltato anche l'avvocato Angelo Mascherpa, il legale di Jolanda che spiega come, secondo la propria assistita, la richiesta di separazione fosse motivata dall'infedeltà del Pezzi e non dal rapporto con Sangalli, sempre negato da Jolanda, e che di conseguenza lui avesse tentato di giungere ad un accomodamento con il suo collega Porro, vista l'insussistenza dei motivi, ma di non esserci riuscito. Anche Mascherpa conferma i maltrattamenti subiti da Jolanda: “Un giorno sono venuti da me i fratelli della Maiocchi, i quali mi hanno detto che il marito la percuoteva, la minacciava gravemente, dava spesso in escandescenze. Eravamo nel luglio del '47. Io dissi loro che non mi sembrava il caso che la Maiocchi abbandonasse il tetto coniugale per rifugiarsi nella casa paterna. Ne ho ancora il rimorso. Negli ultimi giorni di settembre 1947 – racconta ancora Mascherpa – io mi trovavo fuori città per ragioni professionali. Si presentò al mio studio la Maiocchi, appariva tutta sconvolta, disse alla commessa di «temere qualcosa», ma non volle spiegarsi maggiormente. Si allontanò riservandosi di tornare in altra occasione. Qualche giorno dopo era stata uccisa. Io mi recai subito ad Acquanegra. Seppi che la Maiocchi si era presentata allo studio per sentire se la consigliavo di andarsene”. 

I maltrattamenti sarebbero iniziati sin dai primi mesi di vita matrimoniale, ma Mascherpa racconta anche un altro particolare inquietante: “La prima bambina nata dal matrimonio, è morta qualche tempo dopo. Al momento del decesso, avvenuto verso le 15, egli era nel negozio della madre. Si decise ad andare a vedere la piccola salma solo verso le 21”. Quella con Sangalli sarebbe stata una semplice amicizia, dettata da uno stato di bisogno e dalla necessità di essere protetta dall'accusa di praticare “borsa nera” per mantenersi, senza contare il fatto che il rapporto con quello che era considerato il ras del paese aveva salvato Pezzi dalla requisizione della moto e di altri mezzi. E poi, a ben vedere, Adelmo al momento di partire per la guerra, non aveva avuto una grande considerazione nelle capacità della moglie ed aveva affidato l'amministrazione della casa ad un notaio. 

I testimoni si susseguono uno dopo l'altro: vi è la zia Ester che sostiene di aver pedinato i due amanti, veri o presunti; la Lina, commessa nel negozio della madre di Pezzi, che dice di essere stata minacciata di deportazione in Germania se avesse parlato; lo stesso figlio di Pezzi, Pietro, che ora ha circa otto anni, e non riesce a spiaccicare parola per la paura. Ci si chiede chi sia, in realtà Adelmo Pezzi: un violento, un uomo ferito nell'orgoglio, una vittima della guerra e della prigionia, uno dei tanti reduci incapaci di un ritorno alla vita normale, dopo anni trascorsi tra violenze di ogni genere? O solo un uomo innamorato, deluso, tradito o reso folle dalla gelosia, che sfoga la sua frustrazione con un'altra donna, sua amante? Chi è Pezzi? Vengono letti i frammenti delle lettere che avrebbe scritto all'altra: “Mia adorata”, “tuo indimenticabile”, “a me solo spetta difendere l'onore dei miei figli e della mia casa:a me spetta agire. Vendetta! Vendetta!, “pensa che il giorno che io trascorsi in tua compagnia, io dovevo dar la caccia al mio nemico”, “Mi hai salvato con la tua telefonata; mi hai prolungato di qualche tempo la vendetta che senz'altro debbo mettere in azione. Non credere che i miei propositi siano mutati”. La colpevolezza è acclarata, le testimonianze a difesa delle due donne non vengono prese in considerazione ed il procuratore generale Gemelli, al termine della sua requisitoria, verificate tutte le attenuanti del caso, chiede una pena di 24 anni di carcere. Adelmo Pezzi viene condannato a 17 anni di reclusione, senza che gli venga riconosciuta l'attenuante del delitto d'onore richiesta dal suo difensore, l'avvocato Groppali con tanta convinzione che “alla fine non piangevano solo l'imputato, i suoi parenti, il pubblico, ma persino alcuni giudici popolari”.

Fabrizio Loffi


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