23 luglio 2021

Una taglia per il fattorino di Soresina (9)

Remo Camozzi era il fattorino della filiale soresinese del Credito Commerciale. Quel 6 novembre 1947 sembrava fosse una giornata come tutte le altre, quando dalla sede di Milano qualcuno telefonò che, con l'ultimo treno della sera, sarebbe transitato dalla stazione il fattorino viaggiante dell'istituto di credito per consegnare una borsa ed un grosso plico, contenenti corrispondenza e circa tre milioni di lire in denaro liquido. Come di consueto in queste circostanze, il direttore incaricò Remo di recarsi in stazione per ritirare i documento ed il denaro. Quando si trattava di somme ingenti, per maggior sicurezza la direzione centrale della banca aveva dato disposizioni che i fattorini fossero due, ed entrambi armati. Ragion per cui il direttore affiancò a Camozzi l'altro dipendente, un certo Defendenti. Il treno giunse in stazione verso le 20,30 con un notevole ritardo, il fattorino viaggiante scese, consegnò il plico e la borsa e ritirò la ricevuta. Subito dopo i due uscirono dalla stazione dirigendosi verso l'abitato.

Dal treno quella sera erano scesi molti viaggiatori, alcuni li avevano preceduti, altri si erano attardati nell'atrio. I due, pertanto, non erano soli, tuttavia questo non impedì al bandito di tentare il colpo: l'assalto sul piazzale, quasi all'incrocio con la strada provinciale, fu fulmineo. Un testimone riferì che dal buio era sbucato all'improvviso un giovane alto, vestito con un impermeabile chiaro che, brandendo una pistola, si era avvicinato rapidamente ai due, intimando: “Consegnatemi tutto!”. Ma Camozzi non si lasciò intimorire: sotto il braccio sinistro stringeva la borsa e con il destro cercò di estrarre la pistola. Non ne ebbe il tempo: uno dopo altro tre colpi secchi risuonarono nel silenzio e Camozzi cadde esanime tra le braccia del compagno che si era precipitato per soccorrerlo, lasciando cadere il plico. Mentre Camozzi, afflosciandosi, con un filo di voce poteva solo sussurrare “O Dio, muoio”,  il ladro afferrò fulmineo la borsa ed il plico e si dileguò nel buio, senza che nessuno facesse in tempo a braccarlo. Il fattorino venne immediatamente trasportato all'ospedale, dove giunse ormai cadavere, colpito a morte da un proiettile che gli aveva attraversato il cuore. 

Per aiutare le indagini giunge da Cremona anche il capitano dei Carabinieri. Ma appare subito chiaro che non sarà facile mettersi sulle tracce del bandito: unico indizio i tre bossoli rinvenuti poco lontano dal luogo dove è caduto Camozzi. Si tratta di un proiettile calibro 9 e di un altro calibro 7,65. Una cosa piuttosto strana. Perchè due calibri diversi, come se l'assassino fosse armato di due pistole, oppure che avesse un complice, o magari più di uno? Il povero Camozzi, peraltro, non era nuovo ad episodi del genere. L'anno prima aveva subito un'altra aggressione, ma quella volta il rapinatore si era limitato a strappargli la borsa da sotto il braccio, per poi accorgersi che conteneva solo lettere e una piccola somma di denaro.

Vengono operati numerosi fermi, senza, tuttavia, che emergano altri elementi utili all'indagine, tranne la circostanza che la diversità di bossoli trovati sul luogo dell'aggressione si spiegherebbe col fatto che Camozzi, prima di cadere, fosse riuscito a sparare a sua volta al bandito con una Beretta, appunto calibro 7,65. I due bossoli calibro 9, invece, sarebbero appartenuti ad un'arma di fabbricazione tedesca forse una P38. Questo particolare, in effetti, collima con quanto dichiarato da un testimone che avrebbe visto un individuo che si allontanava zoppicando da luogo del delitto, dirigendosi verso la strada che da Soresina porta a Castelleone. I carabinieri ritengono che quest'uomo sia un complice dell'assassino, oppure l'assassino stesso che, se ferito, certamente non è potuto andare molto lontano e, quindi, ben difficilmente potrà sfuggire alla cattura.

Ma chi è? Il direttore della filiale spiega che, oltre ai due incaricati di ricevere la consegna, erano informati dell'arrivo del denaro da Milano anche altri  impiegati della stessa filiale, mentre la rapidità d'azione del bandito lascia supporre che non possa avere agito da solo. E' probabile che abbia avuto un basista, forse un individuo pratico del posto ed  a conoscenza di una località sicura in cui potersi nascondere nelle prime fasi delle ricerche. Un altro testimone afferma di aver visto il bandito in volto e di non avervi riconosciuto alcun viso noto, almeno tra quelli abitualmente in circolazione a Soresina, per cui ci si orienta a ritenere che l'aggressore possa essere un forestiero. Sul complice che si sarebbe allontanato zoppicando non si ha alcun particolare che possa aiutare nella sua identificazione, in quanto avrebbe indossato un impermeabile con il bavero alzato ed indossato una sciarpa che gli avrebbe coperto metà del volto. Gli inquirenti lasciano intendere di seguire una pista ben precisa, senza lasciar trapelare altri particolari. L'autopsia effettuata sul corpo del fattorino non rivela nulla di nuovo: il colpo sparato dal suo aggressore gli ha attraversato il cuore ed il polmone sinistro, senza impedirgli, con le ultime forze rimaste, di sparare a sua volta, colpendo, forse il suo assassino. 

La fantomatica pista porta i Carabinieri alla casa del collega di Camozzi, Defendenti, che viene accompagnato e trattenuto in caserma. C'è qualcosa che non convince nel suo comportamento e, soprattutto, c'è un particolare del tutto inspiegabile: tra il primo ed il secondo sparo sarebbero intercorsi 40 secondi, decisamente troppi per poter parlare di un'azione fulminea che non abbia lasciato ai due alcuna possibilità di difesa. Cosa potrebbe aver fatto il compagno del fattorino ucciso in tutto questo lasso di tempo? Anche lui era armato, perchè, dunque, non ha sparato? Perchè, dopo il primo sparo, non ha tentato alcun tipo di reazione, lasciando invece cadere a terra il plico contenente i valori, prontamente raccolto dal bandito? Defendenti era anche uno dei pochi a conoscenza della consegna serale. E' possibile che, con le sue informazioni, possa avere in qualche modo favorito il piano dei banditi?

I giornali milanesi, che si sono ampiamente occupati dell'omicidio, infatti, non hanno dubbi: i banditi si sarebbero messi sulle tracce del fattorino viaggiante fin da Milano, sarebbero saliti sullo stesso treno attendendo l'occasione per compiere la rapina che, ovviamente, non poteva avvenire sullo stesso convoglio affollato di pendolari in ogni scompartimento. Sarebbero entrati in azione solo al momento della consegna dei valori nella stazione di Soresina quando, scesi dal treno, avrebbero avuto una migliore possibilità di darsi alla fuga e mettersi in salvo. A quest'ipotesi, tuttavia, non viene dato molto credito da parte degli investigatori che preferiscono seguire la pista locale. Ma quale?

Il riserbo è totale. Dopo lunghi interrogatori Defendenti viene rilasciato, perchè a suo carico non è emerso alcun tipo di responsabilità. Tuttavia, qualcosa deve aver raccontato se, tutto d'un tratto, l'ipotesi milanese prima scartata, viene improvvisamente accolta e si estendono le indagini proprio nella provincia vicina. Ma ormai è passata una settimana, anche se gli inquirenti ostentano ottimismo. Alla fine, visto che non se ne viene a capo, si ricorre alla soluzione estrema: una taglia da mezzo milione di lire su chi sarà in grado di fornire indicazioni per la cattura dell'assassino. Gli inquirenti sono convinti che in paese qualcuno sappia molto di più di quanto dice e se fino ad ora vi è stata omertà è solo per la paura di eventuali ritorsioni. Forse solo i soldi potranno convincere qualcuno ad essere meno reticente. Ma lo stratagemma non funziona e sulla vicenda cala un omertoso silenzio. L'assassino di Remo Camozzi non verrà mai catturato.

 

Fabrizio Loffi


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