11 ottobre 2021

Vi raccontiamo la Questura di cent'anni fa

Cent’anni fa, negli anni Venti, la Questura di Cremona non era quella che oggi conosciamo. Questo può spiegare perché tanti delitti compiuti in quegli anni fossero poi destinati a diventare cold case, casi irrisolti. Era un semplice commissariato con poche stanze a disposizione, ritenute sicuramente più che sufficienti per una città dove, fino a quel momento, a memoria d'uomo i fatti di cronaca nera si erano limitati alle imprese di qualche ladruncolo. Il commissario era Luigi Rebecchi, una vera e propria istituzione cittadina: religiosissimo, trascorreva nelle chiese cittadine il tempo lasciato libero dal suo lavoro. Forse fu per questo che quando, agli inizi del 1919, in un negozio in fondo a corso Garibaldi avvenne un furto di quasi mille lire ed il commissario non mise in piedi un'indagine degna di questo nome, su pressione del giornale venne trasferito nel giro di una settimana, nominandolo in febbraio commissario di seconda classe a Sondrio. Al suo posto arrivò il commissario Umberto Wenzel descritto come “un ometto con la barba, pieno di foga e di mania reclamistica. Gli elogi da pubblicare sul giornale, preferiva scriverseli lui”.

Wenzel aveva acquistato una certa notorietà  nel 1901, quando, giovane delegato di PS, si era distinto in Aspromonte nella caccia al brigante Salvatore Musolino, anzi, si racconta che, sorpreso nel sonno dallo stesso bandito, si fosse salvato solo perchè dalla tasca del suo panciotto sarebbe scivolato fuori un medaglione con l'immagine del figlio e Musolino si sarebbe intenerito. Qualche anno dopo, nel 1906, già commissario, aveva sgominato una rete di falsari all'opera tra Matelica, in provincia di Macerata, e l'Argentina, con ramificazioni a Fabriano, Camerino, Pistoia e Firenze, meritandosi la fama di un Joe Petrosino all'italiana. Con questo curriculum era stato poi in missione segreta in Turchia nel 1911. Nel 1919 da Milano era stato trasferito a Cremona, in sostituzione di Luigi Rebecchi, nominato commissario di seconda classe a Sondrio in febbraio. Si racconta che Wenzel girasse in città travestito da facchino o da meccanico, ma venisse regolarmente riconosciuto, tuttavia, nonostante questo, pretendesse che si travestissero anche i suoi collaboratori: il funzionario delegato Orengo, “voluminoso come Falstaff” doveva passeggiare vestito da autista; Peralta, già anziano, da sacerdote “e i pregiudicati – aggiunge maliziosamente il cronista – quando li incontravano, li salutavano rispettosamente e chiedevano loro se avessero bisogno di qualcosa”.

Nel 1922 Umberto Wenzel, ormai divenuto questore a Cremona, venne proposto da Mussolini, in qualità di ministro dell'interno, per la nomina a prefetto di Ascoli Piceno. Un riconoscimento per quanto fatto o non fatto nei confronti del fascismo? Le responsabilità del questore erano emerse soprattutto durante il dibattito parlamentare seguito all'uccisione di Attilio Boldori da parte di un gruppo di fascisti l'11 dicembre 1921. Quando il giorno dopo Guido Miglioli alla Camera dei Deputati nel corso dell'interrogazione rivolta al ministro degli interni Teso insinuò il fatto che il gruppo delle guardie regie sarebbe intervenuto sul luogo dell'imboscata, la cascina Marasca, con colpevole ritardo, aggiunse: “Ed io non dico di più. Chi toglierà dall'animo di una popolazione intera il dubbio che se, il provvedimento di trasloco del questore fosse stato dal Governo mantenuto col significato che aveva assunto in tutta la cittadinanza e nell'opinione pubblica e il Wenzel non avesse ripreso l'ufficio tra la letizia vittoriosa d'una fazione, forse questa avrebbe capito che il Governo non avrebbe oltre tollerato certe arrendevolezze e avrebbe colpito certe complicità e però sarebbe stata più cauta e prudente anche nella giornata di ieri risparmiando a tutti l'onta ed il dolore del nuovo assassinio?”. E prima ancora, il 16 maggio del 1921 a Porta Mosa di Cremona il questore aveva permesso che, dopo uno scontro a fuoco con i fascisti, venisse incendiato l'edificio della cooperativa. Nel 1924 Wenzel, prefetto ad Ascoli Piceno, fu esonerato dal servizio.

In Questura vi era anche un altro brillante funzionario, il vice commissario Leone Ferdinando Santoro della polizia politica che rifiutò sempre qualsiasi tipo di travestimento. Era in procinto di un trasferimento a Roma, richiamato dal ministero dell'Interno, che, in realtà, non sarebbe avvenuto. Santoro, d'altronde, non mostrava di condividere i metodi di indagine di Wenzel.

La Questura cremonese in quegli anni contava anche pochi agenti: un certo Facchini, cremonese, Di Crescenzio e Marziano i più agguerriti nella ricerca dei malavitosi, Girotto, che girava per osterie raccogliendo informazioni e pettegolezzi, e Contini. All'ufficio di polizia ferroviaria era addetto Perticara, che poi divenne ispettore urbano a Castelleone, comandante era il maresciallo Ridolfi. Vi erano poi stabilmente altri due o tre agenti a rotazione che, dopo aver prestato servizio qualche mese, venivano trasferiti e sostituiti con altri. Pochi i veri pregiudicati: noto alle cronache per aver accumulato qualche decina di condanne era un certo “Pizzarro”, poi morto in carcere, ed un certo Zanicotti, descritto come un uomo grande e grosso, dotato di forza erculea, che abitava in via Molino e, nonostante tutto, aveva un ottimo rapporto con Di Crescenzio, dal quale, al bisogno, si faceva arrestare senza opporre alcuna resistenza.

Le malelingue, che non vedevano di buon occhio Wenzel per i suoi rapporti con lo squadrismo fascista, sostenevano che i metodi utilizzati dal commissario negli interrogatori fossero poco ortodossi e spesso si ricorresse alle maniere forti per estorcere le confessioni. Si diceva che nella caserma di via Regina gli agenti legassero i detenuti per le ascelle e li facessero calare in un pozzo di acqua gelida, alzandoli e abbassandoli finchè non confessassero. Altri sarebbero stati sottoposti alla tortura dello scarafaggio che consisteva nello spogliare i detenuti, stendendoli legati a terra, deponendo sul ventre uno scarafaggio imprigionato in un guscio di noce che, per liberarsi, con i suoi movimenti avrebbe provocato atroci tormenti senza lasciar alcuna traccia sull'epidermide. Nonostante le inchieste governative, tuttavia non venne mai riscontrata alcuna anomalia.

Fabrizio Loffi


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