11 agosto 2021

Una sera di pioggia in via Riglio (12)

Quella sera di mercoledì 12 novembre 1958 piove a dirotto e via Riglio è ridotta ad un pantano. Sono le 18 ed è già buio pesto. Forti scrosci d'acqua sospinti da un vento impetuoso flagellano impietosamente Giuseppe Bergamaschi, che sta facendo ritorno a casa, dopo il lavoro. Abita al numero 17 ed è l'unico che sfida il temporale su quella strada abbandonata fuori città che nessuno, con questo tempo e a quest'ora, si sognerebbe di percorrere. L'asfalto sgretolato ha lasciato spazio a buche che si riempiono di polvere d'estate e d'acqua e ghiaccio in inverno. Intorno non c'è nessuno, solo i cascinali ormai avvolti nella sera tempestosa. Strabuzza allora gli occhi Giuseppe, quando gli sembra di vedere, tra la muraglia d'acqua che lo assedia, le luci rosse posteriori di un'auto in sosta. Che ci farà mai un'auto ferma qui, sotto una pioggia che Dio la manda? Ed è sconcertato ed impaurito quando vede scendere dall'auto un uomo, noncurante del diluvio, che appena uscito si protende nuovamente all'interno della vettura per girare le chiavi del cruscotto. Così, almeno, deve aver fatto perchè subito dopo le due luci rosse si spengono e la via ripiomba nel buio. Si ode solo lo scrosciare incessante della pioggia, e Giuseppe ormai è a pochi passi dall'auto quando lo sconosciuto gli si volge improvvisamente incontro urlandogli alcune parole concitate in dialetto. Gli sembra di aver capito “scappa, scappa che altrimenti prendono anche te”. Giuseppe si ferma stupito e non fa neppure in tempo a chiedere allo sconosciuto cosa volesse dirgli, che l'uomo si lancia giù nella scarpata, raggiunge le sterpaglie che coprono ancora il terreno fino alla riva del Po, distante trecento metri, e sparisce nella boscaglia. Con il cuore in gola Giuseppe raggiunge l'auto, si guarda attorno, ormai è buio, ma si accorge che in mezzo alla strada, a poca distanza giace un uomo rantolante. Cerca di soccorrerlo, ma qualche istante dopo l'uomo cessa di vivere. Sopraggiunge un agricoltore, un certo Rabagliotti, che abita in una cascina vicina. Giuseppe, concitato, gli spiega confusamente l'accaduto, ma il racconto è talmente sconclusionato e frammentario che l'agricoltore pensa subito che l'uomo sia rimasto vittima di un incidente stradale. Bisogna subito informare qualcuno, chiedere aiuto. Il cancello della raffineria Italia dista solo qualche centinaio di metri e Rabagliotti vi si precipita, suona al guardiano del deposito, il signor Selvatico, che telefona immediatamente alla Polizia Stradale. La pattuglia giunge dopo pochi minuti, ma si rende conto che non si tratta di un incidente stradale: è un omicidio bello e buono. Viene dunque avvertita la polizia e poco dopo giungono sul posto, con gli agenti, anche il procuratore della Repubblica Benassi, e il giudice istruttore Grande.

L'auto abbandonata sulla strada è una Seicento turchina decapottabile, targata MN 35269; il cadavere presenta solo un grave trauma al capo, provocato probabilmente da un grosso bastone o da una chiave inglese, sopra gli abiti indossa un impermeabile azzurro di nylon, a poca distanza sono sparsi gli occhiali, il cappello ed un ombrello spezzato. Tutt'intorno e sull'auto non vi sono segni di lotta, ma solo una piccola macchia di sangue sul volante, per cui si suppone che l'uomo sia stato ucciso sulla strada e che la macchia sul volante sia stata lasciata dalla mano imbrattata dell'uomo che si era sporto per girare la chiave nel cruscotto, prima di darsi alla fuga. Nessun documento viene trovato nelle tasche dell'uomo e l'auto è priva del libretto di circolazione. 

I primi rilievi vengono effettuati dal medico legale De Jaco, mentre basta una telefonata alle autorità mantovane per identificare il cadavere: si tratta di Natale Cavalli, un commerciante di 57 anni di Governolo, frazione di Roncoferraro. Giuseppe Bergamaschi viene sottoposto inutilmente ad un lungo interrogatorio nella speranza che possa fornire qualche indicazione sul misterioso personaggio fuggito tra le sterpaglie, ma l'emozione e l'oscurità lo hanno tradito e dice di non essere in grado di riconoscere quell'uomo. E se poi quello non fosse per nulla l'assassino ma solo un testimone che ha preferito allontanarsi per evitare altre noie?

In collaborazione con la Questura di Mantova si accerta che Cavalli da molti anni ogni mercoledì partiva all'alba dal suo paese per raggiungere il mercato di Cremona. Così aveva fatto anche l'altra mattina, guidando la macchina del figlio Giovanni, insegnante a Governolo, si era recato al mercato del bestiame dove si era intrattenuto con varie persone, poi aveva ripreso la sua auto e si era diretto in centro, aveva posteggiato e poi incontrato altri commercianti in via Solferino. Verso mezzogiorno sembra sia stato visto entrare in una pasticceria per ordinare dei dolci. Alle 17,30 era entrato nel bar Colomba all'angolo tra via Milano e via Eridano, ed aveva chiesto all'esercente, che non lo aveva mai visto prima, se fosse in grado di dirgli chi, tre giorni prima, gli aveva telefonato dal bar al  centralino di Governolo fissandogli un appuntamento per quel pomeriggio. Ma il barista non si ricorda di quella telefonata, ed allora Cavalli gli chiede se per caso avesse visto il mediatore cremonese De Micheli, con cui aveva un appuntamento. Ma anche in questo caso la risposta era stata negativa per cui Cavalli aveva deciso di attendere appoggiato al bancone. Erano trascorsi pochi minuti quando un tipo si era affacciato alla porta del locale ed aveva indicato a Cavalli di seguirlo fuori, cosa che il commerciante mantovano aveva fatto. I due avevano sostato fuori dal locale qualche minuto sotto l'acqua scrosciante, poi erano rientrati insieme e si erano seduti ad un tavolo.

L'esercente si era avvicinato per prendere le ordinazioni ed aveva notato quell'uomo sui 35 anni, quasi completamente calvo, che indossava un soprabito nero con il bavero rialzato fino alle orecchie che gli copriva in parte il volto, che non si era abbassato nemmeno al momento di bere il caffè, nonostante nel locale facesse caldo. Benchè il locale fosse affollato il proprietario non aveva perso d'occhio i due ed aveva notato che lo sconosciuto chiedeva con insistenza qualcosa al Cavalli che, a sua volta, rifiutava. Dopo un decina di minuti i due si erano alzati, lo sconosciuto aveva pagato i due caffè, poi erano saliti sulla Seicento ed il Cavali aveva ingranato la marcia. Dopo qualche minuto era entrato nel bar proprio De Micheli ed aveva chiesto al barista se avesse visto un commerciante di Mantova. Avuta la descrizione del misterioso individuo vestito di nero, si era limitato ad osservare: “Deve essere quel tipo col quale si è intrattenuto questa mattina davanti al bar della Cremonese in piazza Roma”. Forse Cavalli, non fidandosi di quel personaggio, aveva richiesto anche la presenza di De Micheli? 

E' una possibilità e di fatto le attenzioni degli inquirenti si concentrano su una persona abitante in un paese distante una decina di chilometri dalla città, dai tratti somatici simili a quelli descritti, che viene invitata a presentarsi. Ma quest'ultima, appartenente ad una nota famiglia, dimostra che nel momento in cui sarebbe avvenuto il delitto si trovava a Verona e sui suoi abiti, sottoposti a perizia, non vengono rinvenute tracce di sangue. Stupisce che Cavalli abbia scelto una strada così fuori mano e dissestata come via Riglio per incontrare il suo assassino. Viene esclusa subito la possibilità di una rapina, perchè nelle tasche dell'ucciso vi sono ancora documenti e denaro. Mentre il particolare dell'ombrello spezzato lascia intuire che vi possa essere stata una colluttazione tra i due.

Nel frattempo l'autopsia sulla salma, effettuata dal professor Luigi Mariani, assistito dal dottor De Jaco, rivela che Cavalli è stato ucciso con tre colpi che hanno provocato lo sfondamento della volta cranica, inferti con un martello lungo una trentina di centimetri e del peso di circa due chili, che viene rinvenuto il 14 novembre dai carabinieri nei pressi di un albero ai piedi della scarpata, distante un centinaio di metri dal luogo dell'agguato in direzione della città. Accanto al martello viene trovato uno straccio bianco di nylon macchiato di sangue e, sulla carreggiata dell'argine, una ciocca di capelli ed alcuni frammenti ossei. Apparentemente il martello non reca tracce di sangue, ma ad un esame più attento si appura che le piccole macchie ritenute in un primo momento ruggine, sono in realtà materiale ematico, in parte dilavato dalla pioggia caduta copiosa in quei giorni. E' la prova della premeditazione del delitto, dimostrata dalla telefonata fatta dall'assassino dal bar della Colomba il lunedì precedente al centralino di Roncoferraro, che poco aveva convinto il Cavalli al punto di farne solo un pallido accenno ai familiari e chiedere la presenza di De Micheli, probabilmente come testimone. Ma allora, se la cosa lo preoccupava, perchè Cavalli non aveva atteso il suo arrivo al bar, ed anzi, si era recato in macchina con il misterioso personaggio su una strada in quei giorni pressochè impraticabile?

Vengono interrogate, sia a Cremona che in provincia di Mantova, decine di persone che hanno avuto rapporti di affari col Cavalli, gli amici ed i semplici conoscenti, i commercianti. Nulla. Per identificare l'assassino si hanno solo i vaghi dati somatici riferiti dal barista della Colomba. Si diffonde la voce che potrebbe essere un frequentatore del mercato di bestiame del foro boario, abitante in via Mantova, altri sostengono che abiti invece nella parrocchia della Cattedrale. Unica notizia degna di fondamento sembra essere il fatto che Cavalli abbia avuto un colloquio con una persona residente nel rione di porta Venezia, che corrisponde in qualche modo alla descrizione risaputa, ma anche questa ha un alibi. Gli inquirenti sostengono di non perdersi d'animo, ed anzi, di trarre dagli insuccessi nuova forza per arrivare ad una rapida conclusione delle indagini, ma intanto il tempo passa, fino a quando, qualche mese dopo, accade un colpo di scena che, solo per un attimo, sembra aprire uno sprazzo di luce nel buio che circonda l'inchiesta. 

E' il 23 febbraio 1959 quando la signora Maria Piazzi, abitante in via XI Febbraio 25, viene ricoverata in Ospedale per essersi rotta i tendini della gamba sinistra, calandosi in modo rocambolesco da una finestra della propria abitazione con una corda improvvisata. La Piazzi conosceva molto bene Cavalli e dal giorno del delitto, come aveva confidato alle amiche e alle vicine di casa, viveva in una sorta di incubo, non riuscendo più a dormire nel timore che qualcuno la minacciasse. Da tempo non voleva restare da sola in casa e cercava in ogni modo di ritardare il più possibile, intrattenendosi con le amiche, il ritorno tra le mura domestiche. Quella notte Maria aveva detto di aver avvertito la presenza di qualcuno che cercava di entrare nel proprio appartamento. L'abitazione della donna si trovava al secondo piano di un angusto cortile interno che si affaccia sulla scuola Realdo Colombo e l'individuo sarebbe stato notato attraverso uno spiraglio della porta. Maria non aveva avuto alcuna esitazione, non aveva richiamato l'attenzione dei vicini, non aveva pensato che la serratura dell'uscio era a sei mandate. Era terrorizzata dai quei rumori notturni. Doveva mettersi in salvo, ed allora aveva intrecciato con coperte e lenzuola una corda improvvisata e con quella si era calata da un'altezza di dodici metri, rimediandosi una prognosi di due mesi.

La vicina di casa, la signora Parodi, aveva chiamato gli agenti della polizia che arrivando avevano notato davanti al portone chiuso un'auto in sosta con i fari ed il motore accesi che si era allontana alla loro comparsa. Solo una coincidenza? Maria si era coricata verso le 22, ma all'1,30 aveva sentito qualcuno armeggiare intorno alla porta. Era già accaduto una quindicina di giorni prima ma non ci aveva fatto caso, pensando fossero dei gatti. Comunque quella notte si era alzata, si era avvicinata cautamente all'uscio ed aveva visto quel misterioso individuo armeggiare con un ferro per scardinare la porta: osservando più attentamente aveva notato che l'uomo indossava un cappotto nero con un cappello dello stesso colore calato sul viso. Sapendo che i vicini erano assenti non si era persa d'animo: era ritornata nella stanza da letto ed aveva intrecciato la coperta e le lenzuola per fare una corda, l'aveva legata ad una sbarra di ferro infissa nella finestra e senza pensarci due volte si era calata nel vuoto. Ma la fune improvvisata era lunga solo cinque metri e, giunta alla fine, si era lasciata cadere in piedi sette metri sotto. Aggrappandosi alle finestre era riuscita a raggiungere quella della Parodi ed aveva bussato ai vetri chiedendo aiuto. Quattro agenti erano arrivati dalla Questura, avevano svegliato il bidello della Realdo Colombo Paride Belli, con cui erano entrati nel cortile e soccorso la donna. Del misterioso aggressore nessuna traccia. Eppure inizia a circolare la voce che l'intrusione sia collegata all'omicidio di Natale Cavalli, che Maria Piazzi conosceva bene al punto da essere una delle prime persone interrogate all'indomani del delitto. E il presunto aggressore non era forse vestito come il misterioso assassino del commerciante mantovano? Una pista troppo esile per riaprire il caso, che viene dunque archiviato tra gli omicidi irrisolti.

 

Fabrizio Loffi


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