16 agosto 2022

A Torre, San Rocco e il gelato dallo zio Vittorio

Da bambino, nei primi anni del dopoguerra, era tradizione che per la fiera di S. Rocco ci ritrovassimo tutti a casa di zia Giacomina in cascina Lazzaretto di Torre (nella foto, uno scorcio del paese), per il pranzo da “festa grande” che ci vedeva seduti, caso unico in tutto l’anno, attorno al grande tavolo della “sala”: anche per lei, come per molti nelle nostre campagne, era abitudine tenere una stanza, con i mattoni dipinti di vernice rossa che avrebbe dovuto impedire la formazione della polvere, sempre in ordine per ricevere non si sa quali ospiti imprevisti. 

Non era soltanto il giorno della sala, ma anche quello di piatti, bicchieri e posate diverse, gelosamente conservate per le occasioni speciali, così che tutte queste stoviglie dovevano essere lavate due volte: una quando si riponevano e l’altra quando si dovevano usare a distanza di un anno. 

Il pranzo aveva menu fisso ogni anno e prevedeva un vassoio d’affettato di un salame da tre fette, ornato con riccioli di burro ed accompagnato dal peperone, conservato nel gran vaso di terra cotta con due sassi che lo tenevano immerso costantemente nell’aceto, tagliato in piccole strisce e condito con olio e sale; un abbondante piatto fondo di marubini casalinghi in brodo e la grossa gallina farcita del tradizionale ripieno di pan grattato, uova, latte e formaggio; il pranzo si chiudeva con la torta margherita, ammorbidita con una ricca crema, e un po’ d’uva salvaguardata per l’occasione sulla vite della “lugliatica”, l’uva di sant’Anna, la prima a maturare. Un particolare che faceva provare curiosità in noi bambini, era l’assaggio di un mestolo di brodo in una scodella, corretto con vino rosso, (il famoso “béever in véen”) da parte di alcuni adulti della famiglia. 

In uno di quegli anni il menu si era arricchito anche col gelato di crema dello zio Vittorio, proprietario del caffé Edera in piazza; si era attrezzato della macchina per fare il gelato, che lui aveva meccanizzato con un motore, e nelle domeniche estive lo preparava al gusto della crema di solo latte e uova, dopo aver tutto predisposto con un profluvio di ghiaccio (le attrezzature frigorifere erano di là da venire), durante l’ora del pranzo, così da poterlo vendere subito nel primo pomeriggio. 

Avevamo preso l’abitudine di andare a prenderne un po’ ed io ero incaricato della corsa in bicicletta per portarlo a casa ancora solido, dentro ad un pentolino d’alluminio che appendevo alla canna del manubrio. Assistere alla formazione ed alla mantecazione di quel secchio di crema, era uno spettacolo veramente unico a quei tempi ed io vi assistevo col pressante desiderio di assaggiare quella delizia: lo zio non me lo permetteva, ma confesso che appena mi veniva consegnato il pentolino pieno, chiuso da un coperchio, mi fermavo un attimo per poter mettere un dito nella crema ed assaggiarla prima degli altri; poi la corsa fino al Lazzaretto, dove tutto era pronto per servire il gelato in conclusione del pranzo di S. Rocco nella grande “sala” con i mattoni dipinti di rosso. 

Giorgio Bonali


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commenti


Antonella maifreni

20 agosto 2022 10:51

Attualmente in quel bar (caseggiato appartenente alla famiglia Bonetti)potete ancora gustare un ottimo gelato artigianale