4 marzo 2022

Era un grande il mio professore d'italiano

Aveva l’abitudine di coglierci di sorpresa per stimolare una maggiore attenzione sia in classe durante le lezioni, che a casa nello studio, di quanto indicava come essenziale. 

Come arrivava la primavera, aprivamo le finestre dell’aula per godere del tiepido sole che ci dava una gran voglia di fuggire, facendoci sognare una passeggiata lungo gli argini del Po, magari in dolce compagnia; molti di noi si perdevano a guardare il cielo, per seguire le nuvolette bianche che si rincorrevano. A lui questa distrazione non sfuggiva per cui, come un rapace, piombava sul malcapitato chiedendogli di ripetere quello che stava con passione spiegando: normalmente seguiva una scena muta ed il conseguente cattivo voto sul registro, non dimenticando che era un sostenitore dell’utilizzo di quasi tutti i dieci voti; se lo volevi, ti dava sempre la possibilità di rimediare, ma ti costringeva a tenere sempre viva l’attenzione. 

Mi sono vantato per anni di essere riuscito una volta a beffarlo fingendo un rapimento primaverile verso l’azzurro del cielo che lo costrinse a interrogarmi, convinto di cogliere una mia distrazione: evidentemente ero attentissimo, più di altre volte, e la ripetizione di quanto stava dicendo fu perfetta e indiscutibile; ebbi la faccia tosta di chiederlo io un voto, ma evidentemente positivo: la risposta fu un secco no che lasciava trasparire una certa irritazione. 

Lo sentivamo “grande” quando acquistava i nostri giornalini studenteschi e li leggeva e commentava in classe, segnando con la matita rossa e blu i punti discutibili e soprattutto gli errori grammaticali; la sua attenzione si acuiva quando trovava articoli firmati, o comunque di autore facilmente riconoscibile, di qualche suo allievo: quest’ultimo rischiava di trovarsi sul registro un voto in italiano o, perché no, in storia visto che ci aveva abituati a compiti in classe su temi storici, assegnandoci una doppia valutazione. 

Sapeva premiare l’impegno di coloro che “non ci arrivavano” pur impegnandosi, ma puniva anche con la bocciatura definitiva per far ripetere l’anno, magari come è realmente successo solo per storia, di coloro che non mostravano un minimo di impegno, dando l’impressione di snobbare la materia. 

All’esterno, anche da parte di insegnanti, non riuscivano a capire come si potesse essere rigidi nelle materie letterarie in un istituto tecnico. Lui rispondeva alle accuse affermando che anche per un tecnico era fondamentale saper scrivere in maniera corretta, sapendo che per le materie tecnico-scientifiche esistevano fior di manuali che bisognava però “saper leggere”.

 Credo di poterlo ringraziare per essere stato una presenza importante, e mai dimenticata, nella mia formazione e per avermi dato il coraggio di confrontarmi con la pagina scritta. Oggi, a distanza di tanti anni, posso affermare che il mio insegnante di italiano “era un grande”: si chiamava Dario Rastelli. 

(Nella foto, il professor Bertoletti, circondato dagli allievi, era un prezioso aiuto nella “lettura” tecnica) 

 

Giorgio Bonali


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