31 marzo 2022

Far la spesa dal bechèer dopo la prima Messa

Ancora una volta ripenso a quelli che sono stati i momenti più belli della mia infanzia: le vacanze, tutte le vacanze, trascorse in campagna a Torre de’ Picenardi. 

Con una zia non sposata – la zia Giacomina - che abitava in cascina, si era creato un rapporto che mi faceva sentire completamente in famiglia a casa sua; così, in un'epoca nella quale i soggiorni al mare o ai monti erano ancora per pochi, l'andare in campagna rappresentava per me il cambiamento di ambiente e di abitudini di vita che danno un valore alla vacanza.  È per questo che i miei ricordi tornano di frequente al paese nel quale ho potuto vivere esperienze diverse da quelle della città e fare amicizia con persone che sicuramente hanno inciso sui miei comportamenti e sul mio carattere; era un'epoca nella quale, in campagna, la solidarietà riusciva ancora a battere miseria ed egoismi. 

Mi ero abituato ad alzarmi molto presto il mattino, per cui la domenica sembrava normale recarmi con la zia alla prima Messa delle sei; all’uscita di chiesa le donne si recavano a fare un po’ di spesa nei negozi di paese che aprivano in orario adeguato: i commercianti sapevano che era il momento delle “residùure”, le donne che reggevano i conti e l’andamento della casa, che spendevano quanto possibile per dare un segno della festa anche a tavola. 

A quei tempi non si poteva fare scorta, dato che non esistevano ancora i frigoriferi per la casa e l'unico rifugio molto provvisorio degli alimenti era rappresentato dalla “muscaróola”, una specie di gabbia con dei ripiani interni, protetta da fitta rete che impediva il passaggio delle mosche, appesa nel locale più fresco della casa, in una posizione che non risultasse accessibile ai topi. 

Con la zia molte volte mi sono trovato in coda dal macellaio (èl bechèer) che aveva ucciso la bestia, acquistata da un agricoltore della zona all'inizio della settimana, per poter vendere la domenica una carne già ben frollata; ricordo come il genere delle richieste fosse rappresentativo di una diffusa e onorevole povertà: “un po' di scaramella” (èn tuchél de scaraméla), “della polpa, ma poca, per un intingolo e tre ossa in regalo (a sùura) per fare un po’ di brodo”, “un pezzo di polmone da cucinare col riso” (rìis e curàada) e via di seguito in un percorso di miseria, mascherata dalla disponibile abilità del macellaio di paese che sapeva “segnare sul libro”, con discrezione, l’importo della spesa per un pagamento “appena possibile”. 

E poi tutte a casa a far bollire la carne ed avere pronto per il pranzo un primo brodo dove far cuocere le tagliatelle o il riso con asparagi selvatici (aurtìis); i resti della poca carne e le ossa continuavano a bollire per il secondo brodo del lunedì e magari per un brodino leggero adatto per un risotto del martedì. Gli adulti, prima di sedersi a tavola, si servivano in una scodella un anticipo del brodo da mischiare col vino: il mitico “béever in vìin”; ed era una cosa che noi bambini invidiavamo ed alla quale aspiravamo in fretta “per sentirci grandi”. 

Nella foto di repertorio la vecchia macelleria Ruggeri di via Aselli

 

Giorgio Bonali


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