8 settembre 2022

I “filòs” sull’aia con le poesie di Lonati

Ho raccontato come mio padre voleva che da bambini parlassimo esclusivamente in italiano e come io e mia sorella, una volta in vacanza al paese, avevamo trasgredito per poter conversare con gli altri in dialetto. 

A “corrompere” il nostro linguaggio, ha contribuito anche il possesso di una vecchia edizione del Gazaboi di Giovanni Lonati, raccolta di rime in dialetto cremonese che noi imparavamo a memoria, divertendoci a sceneggiarle. Quante volte, in quelle calde estati in campagna, abbiamo sfogliato le pagine del libro, decidendo per ogni storia in rima, le battute per ognuno di noi sul palcoscenico di un immaginario teatro. Gradualmente si selezionavano le preferite, cioè quelle più efficaci per le battute e per l’uso di un dialetto popolaresco che portasse facilmente al sorriso. 

Ricordo come ogni volta ci divertisse ripetere “A teutt se rimedia”, la poesia che racconta di quella donna che, abitando lontano da tutti i negozi, quando si reca in paese per il pane, fa dei rifornimenti completi; ma le mani sono solo due e quindi deve aiutarsi con piccoli trucchi per cui “el scartòzz del bouter mètel in sèn”; le capita di trovar da chiacchierare, senza pensare alle conseguenze, così che si fa la “paciarella”: ma a lei conviene fare del brodo ed allora “...mètt la camisa a boier in pugnatta!” Un’altra che non ci stancavamo di ripetere, era “La disgrazia de don Fabian” che racconta del prete di campagna al quale, durante la predica, la perpetua comunica come i ladri gli abbiano vuotato il pollaio e rubato il bucato steso, cosicché l’omelia sulla provvidenza si trasforma in una richiesta ai fedeli di rifornirgli ancora il pollaio, il tutto con espressioni spassose di immediata efficacia che vanno anche nel senso di un sentire popolare che scherzava, definendo “la pàansa di préet, èl cimitéeri di capòon”

Pian piano, a forza di leggerle, le abbiamo imparate a memoria e, durante il “filòs” serale sull’aia, tra i racconti sulla prima guerra mondiale del fantaccino Giovanni e le canzoni della Virginia che sapeva tenere attorno a sé tutti i bambini, ci siamo lanciati a recitarle, contenti di avere finalmente un piccolo, ma vero, pubblico. 

Ci siamo così accorti che funzionavano, provocando ogni volta grandi risate e commenti sulle storie che Lonati aveva saputo mettere in rima; in particolare erano di sicura riuscita i racconti dei “Dou spous dal fotografo” o della “Ciadin a teater”, personaggio che dialogando con la compare Mènega, prende in giro i comportamenti dei “citadéen” a teatro. 

Ancora oggi, nelle purtroppo rare occasioni nelle quali mi ritrovo con mia sorella, se casualmente uno di noi lancia la battuta d’inizio di una di quelle poesie, viene immediata la risposta prevista dalla sceneggiatura creata allora, sui gustosi bozzetti in rima di Giovanni Lonati. 

Giorgio Bonali


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti