La musica degli organetti per le strade della città
Ricordo, con un po’ di nostalgia, le allegre voci canterine dei garzoni di bottega che, girando velocemente in bicicletta carichi dei pacchetti di mercanzie da portare alla clientela o, per i giovani delle fornerie, le grandi ceste di pane appena cotto da consegnare alle rivendite, inondavano ogni mattina le strade della città: erano sempre aggiornatissimi sui ritornelli degli ultimi successi e decretavano immediatamente il grado di popolarità delle canzoni presentate ai vari festival di Sanremo.
C’era anche qualche adulto che, passeggiando, fischiettava senza per questo essere guardato come un folle ma anzi imitato da molti, anche da quelli che stonati lo rimanevano anche col fischio; a quei tempi non erano ancora stati inventati i telefoni cellulari, o gli altri aggeggi elettronici, coi quali oggi la gente si rapporta continuamente anche per le strade e che, quando sono dotati di auricolare con microfono quasi invisibile, creano una nuova specie di “zombie” che danno l’impressione di parlare da soli.
Ma la presenza più allegra nelle strade della città, ai tempi della mia infanzia, erano gli organetti di Barberia che pian piano venivano trascinati lungo un lento percorso e che, con frequenti soste, facevano sentire le brillanti note di canzoni popolari, così com’erano previste dai rulli o dai pacchi di “schede perforate” che man mano l’uomo dell’organetto inseriva e che venivano amplificati dalla grossa cassa armonica dello strumento. L’addetto girava la maniglia che comandava il tamburo interno e caricava d’aria il mantice; poi, dopo ogni brano, si dava da fare per raccogliere le monete che le donne affacciate ad ascoltare la musica, gli lanciavano chiedendo un altro brano come regalo di saluto; ai passanti che si fermavano sorridenti ad ascoltare la gaia musica, veniva consegnato un piccolo foglietto di carta sottile e colorata con stampati i testi delle canzoni.
La cosa che più mi colpiva da bambino, io che per ragioni geneticamente misteriose già a 7 anni amavo la musica operistica, erano i brani più popolari delle opere liriche che alcuni organetti suonavano; allora mi fermavo ad ascoltare a lungo, seguendo per un tratto della mia strada, via XX Settembre, lo spostamento dello strumento musicale meccanico.
Tutti questi ricordi sono affiorati alla mia mente la domenica di Pasqua di qualche anno fa, quando ho scoperto assieme a Gaia, la mia prima nipotina, il regalo allegato all’uovo di cioccolato: un piccolissimo organetto azionato a mano da una manovella di piccole dimensioni, che fatta girare a ritmo regolare emette un gradevolissimo suono di carillon.
Anche questo oggetto, come tanti altri, viene dalla Cina: forse in quel paese, ancora per poco, la musica rappresenta quella nota di allegria che coinvolge collettivamente e si ascolta senza bisogno di isolarsi dagli altri con l’uso di cuffia.
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