Non facciamo morire la fantasia
Sembra che alcuni editori di libri per bambini si stiano orientando sulle “Favole della buona notte in un minuto”, condensano cioè le fiabe classiche in una serie di frasi a effetto della durata di circa sessanta secondi, per aiutare i genitori a far addormentare più in fretta i loro figlioli.
Credo che i bambini non si accontenteranno di brevi racconti che non lasciano loro il tempo per fantasticare, immaginando soluzioni alternative, e porre domande che aguzzano a loro volta la fantasia di genitori e nonni: hanno bisogno che venga loro dedicato molto del nostro tempo, per poter crescere sereni e fiduciosi nel rapporto con gli adulti.
Ricordo bene quanto ne chiedevano i miei figli per farsi ripetere all’infinito la storia del “Brutto anatroccolo”, nella quale inserivo qualche variante che loro rilevavano immediatamente, costringendomi a spiegazioni fantasiose che portavano a modifiche definitive per il bambino, ma che io dimenticavo, portando così avanti il grande gioco della vita fra genitori e figli: sono stati fra i momenti più belli e qualche “suonato” vorrebbe farli morire.
Non so quali favole raccontassero i miei genitori nella prima infanzia; li immagino piuttosto molto presi a proteggermi dai bombardamenti e dalle urgenze a cui la guerra li obbligava, ma ricordo che aspettavo con ansia l’estate per andare in campagna e ritrovare le lunghe serate davanti all’uscio di casa, circondando Virginia, la nonna di alcuni e di tutti nell’aia, che ci raccontava le sue “storie”, le storie di sempre, magari le storie di santi, che ci lasciavano ogni volta a bocca aperta e che duravano fino a quando eravamo pronti per dormire. Qualche volta riuscivo ad andarci anche in pieno inverno e, stretto nella “sala comunitaria”, la stalla, dopo aver recitato con la Virginia “èen pòo dé bèen”, le preghiere della sera, ascoltavo le storie vecchie e sempre nuove che davano linfa alla mia fantasia. A quei tempi non esisteva la televisione che ci dà tutto preconfezionato e senza varianti possibili; oggi tutto rischia di diventare uguale per tutti.
Nei primi anni di vita matrimoniale, io e mia moglie avevamo scelto di rimanere senza televisione e la cosa ha funzionato molto bene fino al momento in cui, col primo figlio che frequentava l’asilo, siamo stati costretti dalle sue lacrime a comperarla: era successo che le maestre, facendo continui riferimenti a spettacoli e telefilm trasmessi nei programmi televisivi per bambini, trovavano in mio figlio l’unico interlocutore che non poteva capire. Fu un altro passo avanti per uccidere la fantasia, proprio in anni molto vicini a quelli in cui, soprattutto durante il maggio francese, si sarebbe voluto addirittura che andasse al potere; ma osservando cosa succede oggi con i miei nipotini, affiora in me la speranza che sia ancora possibile farla rivivere.
Sull'aia, foto Fazioli
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