Quando dal primo binario partivano le mondine
Prendevano un treno speciale che partiva sempre dal primo binario della stazione di Cremona stipate in carrozze di terza classe, quelle con le panche di legno e tante porte di accesso, una per ogni fila di posti. Le vedevo uscire con in mano qualche cosa da mangiare e da bere, dal fabbricato chiamato “posto di ristoro per mondine” (il fabbricato esiste ancora, anche se ristrutturato ed adibito ad altri usi), e salire allegre sul treno.
L’ufficio di mio padre, in ferrovia, dava proprio su quel lato del primo binario ed io, con la scusa di recarmi a salutarlo e di dar da mangiare ai pesci rossi nella fontanella della stazione, andavo volentieri a spiare questa partenza, che assumeva ai miei occhi le caratteristiche di una festa.
Erano quasi tutte giovani, col volto abbronzato per l’esposizione al sole durante il lavoro nei campi, e sprizzavano allegria da tutti i pori: provavano l’ebbrezza di un periodo di libertà tanto sognata durante i lunghi mesi passati in casa, soggette al continuo controllo degli anziani, sia in famiglia che nel paese.
In casa erano riuscite a convincere i genitori e i nonni, che era necessaria questa entrata economica supplementare per rimpolpare i miseri bilanci della famiglia e permetter loro di cominciare a farsi la dote, senza la quale nessun “buon partito” le avrebbe volute come mogli. Ce n’erano anche di più anziane che evidentemente non provavano gli stessi entusiasmi, ma avevano un po’ il comportamento delle “cape”, come caporali nominati sul campo per meriti di età.
A quell’epoca non potevo immaginare la parte drammatica che poteva esistere in quel tipo di lavoro, sia sul piano della salute che sul piano della violenza che coinvolgeva queste ragazze, solo da Cremona risulta ne partissero circa cinquemila, durante quel periodo da vivere sottoposte alla legge della più forte, che sempre esiste in una forzata comunità. Io, da bambino, non potevo che inebriarmi allo spettacolo della loro giovanile bellezza (mi sembravano tutte molto belle), godere della sfrenata allegria che mostravano salendo sulla tradotta ed ascoltare la loro voce che cantava a squarciagola, cercando di improvvisare un coro, ma con la precisa volontà di prevalere sulle altre, dimostrando che la propria voce era la più forte.
Veniva poi il momento della partenza del treno che, dopo aver fischiato più volte brevemente per avvertire eventuali ritardatarie che era il momento di salire, lanciava un ultimo fischio lungo e lancinante e metteva in movimento, quasi a fatica, gli stantuffi della locomotiva e lentamente si avviava.
In quel momento tutti i presenti, ferrovieri, viaggiatori in attesa del loro treno e curiosi, facevano gesti di saluto a quelle centinaia di donne che partivano per l’avventura della monda del riso. Anch’io, elettrizzato dall’atmosfera che si era creata, alzavo la mia mano per un lungo e commosso saluto; non ho mai avuto l’occasione di vedere l’arrivo del treno che le riportava a casa dopo la stagione e non so dire, in base a ricordi personali, se cantassero ancora a squarciagola come alla partenza.
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commenti
Fiquet
30 aprile 2022 09:28
Magnifico !