Tortelli di zucca: il gusto del Natale. Un rituale che durava un anno. E poi a Messa da monsignor Boccazzi
Nella fascia di territorio che va da Cremona a Mantova, un piatto tradizionale della Vigilia di Natale era, e forse lo è ancora, il tortello di zucca. Una volta, questo piatto, era il risultato di un rituale che partiva dal momento della semina, dato che si doveva tener conto sia della qualità dei semi di zucca selezionati dalle migliori dell’anno precedente, che della tipologia del terreno. In campagna c’era poi l’abitudine di seminarle in mezzo al granoturco ed era una festa, anche se poi ci si grattava per un paio di giorni, andare in mezzo ai solchi a cercarle quando cominciavano a maturare.
Seguiva poi un periodo abbastanza lungo di asciugatura, affinché la zucca si seccasse per bene, per non marcire: era un frutto che doveva durare per tutti i mesi autunnali, nei quali gradualmente si mangiava, usandolo come base di saporiti minestroni.
Le più belle e sode alla prova dell’unghia, erano lasciate come ultime perché da quelle doveva uscire “la zucca da tortelli”.
Il dramma era, in certe annate particolari, che anche le migliori non risultassero sufficientemente dolci e asciutte. Allora interveniva la solidarietà dei vicini, che erano stati più fortunati: un pezzo di zucca adatto ai tortelli, non doveva mancare in alcuna casa, anche in quelle dei “cittadini” quali noi eravamo. Arrivava l’antivigilia, giorno dedicato a far cuocere la zucca e preparare il ripieno, secondo le piccole varianti che esistevano addirittura da paese a paese: più o meno mostarda, amaretti, formaggio, secondo la correzione del gusto che si riteneva necessaria. Tutti in famiglia erano chiamati ad un assaggio, per esprimere il loro parere sulla qualità del ripieno, mentre i bambini si rubavano l’un l’altro le bucce, alle quali rimaneva attaccato un po’ di frutto: era l’unica distrazione mentre si preparava il presepe.
La vigilia veniva dedicata alla preparazione dei tortelli. Finalmente la sera, dopo averli fatti cuocere lentamente per non far uscire il ripieno, si condivano con burro crudo e tanto grana grattugiato (questa maniera di condire veniva da Torre de' Picenardi, paese d’origine dei miei genitori). Poi tutti a tavola, ed era una vera festa mangiare assieme i tortelli di Natale: momento vissuto con silenziosa sacralità, ma anche con tanta attenzione per controllare la quantità data agli altri commensali e vedere se si poteva averne un supplemento. Questo rituale aveva un seguito! Infatti il mattino di Natale si andava in Duomo, la nostra parrocchia, alla Messa dell’Aurora verso le 6 del mattino, una delle tre che celebrava di seguito il parroco Mons. Boccazzi (non era ancora di moda la Messa di mezzanotte). Al ritorno a casa, noi ragazzi col papà, trovavamo pronta la colazione preparataci da nostra madre, un piatto dei tortelli avanzati la sera prima, riscaldati nel forno della stufa: sembravano ancora più buoni! Poi si doveva aspettare un altro Natale per gustare questo piatto di festa! Oggi tutto si trova già fatto e tutto l’anno; in casa mia abbiamo cercato per un po’ di mantenere la tradizione, ma l’aspetto quasi magico del rituale non ha resistito. Qualche volta sogno di poter tornare, per una volta, a quelle meravigliose vigilie, alla notte di Natale assieme alla famiglia ed anche, solo per qualche istante, uscire a vedere, con la santa ingenuità del fanciullo, il cielo stellato e cercare la Cometa che venga nuovamente, solo per noi, ad indicarci la strada giusta. Buon Natale, amici!
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti