29 settembre 2021

A cinquant'anni dallo scioglimento dei Rokes, l'incontro con Johnny Charlton. Quel concerto del '66 al Ponchielli con Lucio Dalla a far da spalla

A mezzo secolo dal loro scioglimento, abbiamo incontrato Johnny Charlton (all’anagrafe Raymond Johnny Charlton), il chitarrista dei mitici “Rokes”, dominatori delle classifiche discografiche italiane negli anni ’60 con oltre 5 milioni di dischi venduti (per davvero!).

A Cremona vennero per un grande concerto al teatro Ponchielli nella tarda primavera del 1966, 55 anni fa, con la folla di ragazzini davanti all'Hotel Impero, dove alloggiavano, per chiedere un autografo a Shell, Mike, Bobby o Johnny. A far loro da spalla per l'evento un semisconosciuto Lucio Dalla (aveva esordito a Sanremo con con la sua "Paff Bum" in coppia con gli Yardbirds)  accompagnato dagli Stadio.

Così abbiamo chiesto a Johnny, oggi apprezzato pittore, se nel terzo millennio potrebbe ripetersi una stagione come quella dei “Rokes”.

«Non penso proprio che si potrebbe replicare un periodo come quello degli anni sessanta – dice Johnny - negli anni del dopoguerra l’Italia, dal punto di vista internazionale, andava avanti più lentamente di altri paesi ed era restia ad accettare le nuove mode e la nuova musica. Noi siamo venuti in Italia per una tournée con Colin Hicks (Il fratello minore del  famoso Sir Tommy Steele, “rock n’roller cockney” londinese). Pensavamo di fare la tournée in grandi teatri, ma ci siamo visti costretti a fare le cosiddette “cover”. Da subito, però, il pubblico Italiano impazzì per la musica del rock n’roll britannico. Nel 1963 il panorama musicale in Italia era come il deserto del Sahara: non c’era niente e la musica internazionale era quasi inesistente. Per noi giovani, invece (Johnny aveva 18 anni nel ’63! ndr.) a Londra la musica era tutto: si parlava soltanto di musica. Io frequentavo moltissimo i negozi di strumenti musicali a Charing Cross Road. Il sabato mattina era magico per me, perché lì si incontravano fior di chitarristi e musicisti destinati a diventare il volano della musica pop, blues e rock n’roll mondiale. L’atmosfera in quei negozi era magica, educativa. Tutti i musicisti dell’epoca andavano lì e provavano le chitarre e gli amplificatori e le “camere da eco” (diventate non plus ultra di moda con il brano “Apache” degli Shadows)".

"Il fatto che la musica degli USA era (per modo di dire) in lingua Inglese e la diffusione enorme dei Juke Box – continua Charlton - ha favorito l’inondazione dei 45 giri, facilitando a dismisura la base della musica britannica: i complessi erano di una qualità musicale ineccepibile ed erano maestri nel migliorare con arrangiamenti ad hoc e diffondere i brani americani. Si suonava come un complesso, nel vero senso della parola. All’età di sedici anni ho suonato per sei mesi sulle basi americane in Francia e ho suonato in lungo e in largo in Inghilterra, dall’età di quindici anni fino all’età di 17 anni. Questo in Italia non è mai successo. In Italia ogni musicista suonava per sé stesso e mai per l’insieme del gruppo. Quando ho conosciuto gli altri tre del “Shel Carson Combo” (Shell, Bobby e Mike) loro erano puristi del “Rhythm and Blues”; io invece ero più “leggero” come gusti musicali. All’inizio loro rifiutavano di accettarmi nel gruppo perché suonavo in modo troppo leggero, ma alla fine siamo arrivati in Italia con la formazione che diventerà “The Rokes”.

"Registrando i primi dischi, però – dice ancora Johnny - ci siamo resi conto che la nostra musica era incompresa dal punto di vista discografico e il pubblico non riusciva a “digerire” il “nuovo corso” dei complessi. Cosi ci siamo dovuti adattare di più all’orecchio italiano, che era abituato a sentire di più le melodie e gradiva i piccoli “assolo” della mia chitarra. Cosi, piano piano, ci siamo inseriti nei gusti musicali dell’Italia. L’amalgama dei suoni e dei concetti inglesi, adattati per le orecchie italiane, cominciavano inesorabilmente ad entrare in testa ai vostri connazionali e con il tempo hanno trasformato le basi della musica pop/beat in Italia. Abbiamo trovato moltissimi ostacoli nel mondo discografico italiano che andava avanti con un concetto “ministeriale”. Molti, come il direttore della nostra casa discografica Ennio Melis, non credevano minimamente nei complessi e non si sono mai degnati di vedere un nostro spettacolo dal vivo: agli inizi non credevano minimamente che i complessi avrebbero dominato le scene musicali di tutto il mondo; le loro parole erano: “Nessun complesso al mondo può vendere tanti dischi come Rita Pavone”. Nonostante tantissime, meravigliose canzoni nate in Italia a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, mi sento di dire che l’autentico concetto del complesso come un’unica cellula non sia mai diventato realtà in Italia."

È rimasto sempre il concetto del cantante singolo. Dopo lo scioglimento del “Rokes” – conclude il chitarrista - ho scoperto il mondo dell’Arte: ho aperto una galleria al centro di Roma che ho tenuto per circa vent’anni poi, all’improvviso, ho scoperto di essere creativo. La musica è composta di sette note diverse tra di loro e l’arcobaleno è composto di sette colori. Cosi ho cominciato a creare opere d’arte utilizzando la foglia d’oro a 24 carati e le sensazioni di intima soddisfazione che provo sono le stesse che si provano quando si scrive una canzone».

Egidio Bandini


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commenti


MARINO COMPIANI

29 settembre 2021 16:43

Io c'ero, era il 26 dicembre 1966. Lo spettacolo si divideva in due parti, nelle seconda parte si esibirono loro ed iniziarono con "piangi con me", ricordo il tripudio del pubblico quando iniziarono a cantare. Per molti anni non permisero più ai complessi di esibirsi!
Il titolo era "il finimondo" Grazie del bel ricordo.

Leonardo Codirenzi

26 settembre 2022 21:36

Ho un CD con le canzoni dei rokes