27 novembre 2022

Quando canta Rabagliati... e la canzone per i Vichinghi

Gian Paloschi, giornalista cremonese di lungo corso, autore di monografie e della trilogia "Cremonesi così", "Incontri cremonesi" e "Cremonesi e dintorni" in gioventù ha fatto parte, come cantante e batterista, di complessi musicali. Da quella esperienza è nato il volume "Quelli eran giorni" con storie di orchestre, canzoni e musicisti nella Cremona degli anni Cinquanta e Sessanta. In giro per l'Italia con il suo gruppo "I Vichinghi", Gian Paloschi incontrò molti protagonisti della musica e della vita notturna di quegli anni. A Cremonasera ha affidato i suoi ricordi. Dopo quello di Celentano (leggi qui), ecco quello di Fred Buscaglione (leggi qui), il debutto di Tony Renis (leggi qui) il sempre triste Umberto Bindi (leggi qui) e quando i big di Sanremo tiravano tardi ascoltando i Vichinghi (leggi qui). E poi il Muretto di Alassio con Maurizio Arena (leggi qui). Oggi Gian racconta dell'incontro con Alberto Rabagliati e come i Vichinghi potevano diventare il suo gruppo.

Terminata l 'esibizione alla Rupe, sto per entrare nel Jiky Club a bere qualcosa quando, nel grande atrio, si staglia una figura a me nota. E' aumentatato di due taglie ma in un raffinato smocking, è ancora un bell'uomo, sì sì è proprio lui: Alberto Rabagliati, "el Raba." Questo cantante è stato il mio modello fin da bambino, quando stavo con l'orecchio attaccato alla vecchia radio che trasmetteva le sue (per allora) modernissime canzoni. Fu il primo a fare dello swing e perfino qualcosa di jazz: roba che, a quei tempi, era ancora sconosciuta. 

Ma ciò che più mi colpì furono le parole che il grande Raba mi rivolse: "Uè, voi Vichinghi siete veramente forti, la nouvelle vague della musica attuale. Vi stimo moltissimo e, senti cosa ti dico: sarei felice di unirmi a voi e fare un bel complesso insieme".

Naturalmente ne parlai con gli altri ma nessuno volle accettare. Noi eravamo così: non avremmo mai voluto cambiare il nostro stile. Il grande "Raba" non si offese e, anzi, ci chiese un favore: mettere in repertorio una sua canzone inedita, davvero bella e noi lo accontentammo. 

Nonostante la saggezza della nostra decisione, io provavo un po' di rimorso. L'uomo che mi aveva reso la vita felice con le sue canzoni, quello da cui avevo imparato a cantare, ecco che ora, proprio a lui, dovevo dire di no. Per consolarlo, in qualche modo, cantai spesso quella sua bella canzone quasi ignorata in Italia: Via Veneto che, valorizzata, potrebbe non sfigurare paragonata a Park Avenue di Springsteen o Place Pigalle di Charles Trenet.

Poi la serata finisce, ce ne andiamo tutti a casa. Lo saluto ma non ho nemmeno il coraggio di dirgli: "Ciao, grande Raba, grazie di avere allietato la mia prima giovinezza".

Gian Paloschi


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