Quando in piazza del Comune c'erano le carrozze con autista
La fotografia è del grande fotografo cremonese Torquato Zambelli (nato a Cremona nel 1882) e mostra le carrozze in attesa di viaggiatori in piazza del Comune in una giornata di nebbia mentre sullo sfondo si vedono i vari di alcune auto e alcuni uomini intabarrati che attraversano la piazza. La foto è stata scattata tra il 1920 e il 1930.
"Signori, carrozza" è uno splendido scritto di Mario Levi (pubblicato su "Vecchia Cremona" del 1952) in cui racconta come funzionassero le carrozze con autista nella nostra città.
"L'Ottocento era avido di paroloni d'effetto. Ai nostri nonni, non bastava definire i cocchieri «vetturali » o « brumisti » o «fiaccherai»; per la loro mentalità, ci voleva un termine altisonante; e non parendo sufficiente « auriga », si rivolsero alla mitologia per trovare il termine più adatto: «automedonte».
Prima che venisse costruito il ponte sul Po (1892), di vetturali ce n'erano quindici in tutto, e i «servizi» si riducevano a delle corsette da uno dei posteggi (ce n'erano tre: in Piazza Roma, in Piazza del Comune, alla Stazione) alla ferrovia o alla casa del cliente. Costruito il ponte, nei cremonesi si destò l'amore per le scampagnate in terra piacentina. Fu una specie di bazza per i vetturali, i quali si moltiplicarono. In meno di un anno, salirono da quindici a cinquantacinque. E i conducenti delle «cittadine» (altro nome, questo, completamente tramontato dalla memoria dei giovani) stavano a cassetta con portamento altero, la frusta in mano, il capo coperto con il caratteristico cappello a cilindro, e, sperando nel sopraggiungere del cliente, sfidavano impavidi il sole d'agosto e il vento di marzo, le brume autunnali e il gelo invernale. Memorabile il freddo del 1880. Così rigido, che anche i vetturali, una volta tanto lasciarono la carrozza in rimessa perchè a quel freddo, non avrebbero potuto resistere. Non ve ne fu che uno - il Dernon - che un giorno volle esser fedele al suo solito posteggio. A sera, lo portarono a casa rigido come uno stoccafisso. Il cappotto, gli si era completamente gelato addosso e dovettero esporlo per mezz'ora al fuoco del camino per liberarlo da quella nuovissima camicia di Nesso.
Bel tipo, quel Dernon. Il qua-e, forse per vendicarsi del fatto che era stato proprio a lui per primo affibbiato un soprannome, pensò bene di attribuirne altri a tutti i suoi colleghi. E, quelle "scotumaie" ebbero molta fortuna, perchè il cliente che non aveva mai avuto la pazienza di imparare il nome del proprio vetturale favorito, ne apprendeva senza fatica il soprannome. E allora si vedeva ai posteggi chi chiamava Penello o Nadalen o Muscarden, chi andava in cerca del Gubet, del Cavron, del Giraffa. E gli stessi vigili urbani - che allora, erano le pompose "guardie del minò" - tante volte, elevando contravvenzioni, anzichè il nome e cognome scrivevano sui loro libretti di appunti che Macaon, o Gildo, o Gratta avevano disobbedito a qualche ordinanza sulla viabilità (ma allora ce n'erano ben poche) o che Sissen o Lisandret o Gambetta, non avevano osservato l'obbligo di posteggiare in stazione, così com'erano tassativamente obbligati da un turno affisso in Municipio, all'arrivo dell'ultimo treno, che giungeva da Treviglio alle 21,35.
Appartenevano, i "brumisti" a quel vecchio mondo scomparso, che era fatto di semplicità e, in fondo, di una ingenua bontà. Sentivano, si capisce, il morso della concorrenza, così che i litigi ai posteggi erano frequenti; ma guai se uno del pubblico avesse osato attaccar briga con qualcuno degli appartenenti alla categoria dei brumisti: li avrebbe avuti tutti contro. E quando un cavallo cadeva, o una ruota si spezzava, o un finimento consunto dall'uso cedeva, tutta la categoria era in movimento per aiutare moralmente e, magari, finanziariamente, il malcapitato.
I vetturali, avevano la gran dote della discrezione. Per loro, il segreto professionale era sacro. Non avrebbero mai raccontato che quella domenica, il signor X era andato al Mezzano con la signora Y il cui marito si era allontanato per ragioni professionali. E questo riserbo era scrupolosamente osservato anche dagli osti d'oltre Po o del Bosco ex-Parmigiano. Per tutti, in fondo, la discrezione era la materia prima del loro lavoro, così che i clienti potevano esser certi che nessuno, nemmeno gli altri vetturali (o gli altri osti) sarebbero venuti mai a saper nulla.
Ai posteggi fervevano le discussioni più animate su ogni argomento. I vetturali, sapevano tutto della città, e su tutto discutevano ad alta voce, scambiandosi le loro impressioni dall'alto della cassetta che non abbandonavano mai. Perchè, allora, le cose non erano regolate in modo che al capofila toccasse il primo cliente che capitava; in quei tempi, bisognava conquistarselo il passeggero. E allora, se i vetturali scorgevano qualcuno che pensavano potesse aver bisogno della vettura, lo rincorrevano e, alzando il dito con un gesto divenuto per loro rituale, rivolgevano la vecchia domanda: «Carrozza?». Avevano l'occhio clinico, quindi difficilmente sba- gliavano; ma se il merlo non era stato accalappiato, essi preferivano fare un piccolo giro in città per conto loro e tornavano al posteggio con un sorriso apparentemente soddisfatto. Almeno si evitavano le risate e i frizzi dei colleghi che avevano assistito alla caccia al cliente. Certo che neanche allora facevano affari d'oro; e quante volte, a sera tarda, rincasavano con una lira o due d'incasso. E il cavallo mangiava, e come... O meglio: avrebbe voluto mangiare. Perchè i cavalli dei vetturini, erano sempre delle belve fameliche, che la biada non conoscevano che attraverso dei fortunati ricordi d'infanzia, e il fieno lo assaggiavano appena. E, allora, si erano abituati ad accontentarsi di tutto. Lo ricorderanno bene coloro che, d'estate, si facevano portare a Picenengo, alla Cava, a Bettenesco o a Bonemerse per fare qualche partita a bocce e che, quando tornavano, non trovavano più la "magiostrina" lasciata sul cancello dell'osteria, là ove era legato il povero ronzino. Che, tanto per allenarsi i denti non esitava a masticare quella paglia nè tenera nè pulita.
La carrozza pubblica, giunta all'ultima sua decadenza. E l'epigono dei vetturali, è Ennio Politi; il quale, un poco compiaciuto e un poco rattristato, racconta a tutti d'essere l'ultimo rappresentante di una stirpe che va estinguendosi: quella dei cocchieri da piazza. « Una volta, eravano in cinquantacinque. Poi il motore ha soppiantato il nostro tranquillo mezzo di trasporto, e adesso non son rimasto che io solo sulla breccia. L'altro vetturale ha cessato il mestiere due anni fa. E' impossibile andare avanti. Presto dovrò smettere anch'io».
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commenti
Claudio
8 novembre 2024 13:36
Questo articolo mi ha portato indietro piacevolmente di quasi settant'anni... Infatti ho avuto la fortuna di conoscere Politi, ormai molto anziano, che abitava in una casa vetusta, a mo' di "antro delle streghe" di Via Sant'Erasmo, con annessa stalla. Se non ricordo male, uno degli ultimi suoi "ronzini", se non proprio l'ultimo, era un asino con mantello grigiastro chiaro. Comunque sia, è stata una figura caratteristica della vecchia Cremona e che come tante altre, con commozione, fa sempre piacere ricordare!!!!
Franco
12 novembre 2024 16:36
Abitavo inizio via Bergamo, dove c'era panetteria Galbignani, mi ricordo che dal sottopasso pedonale passavano enormi cavalli dei carri che andavano dal nastrificio allo stallo dell' albergo San Marco in piazza Risorgimento....e la nonna mi mandava a prendere i "fichi dei cavalli" per concimare le piante.
Claudio
12 novembre 2024 18:33
...l'aneddoto di Franco, a me porta alla mente invece quando il mercato bestiame era al Foro Boario di Via Mantova ed il macello comunale a Porta Po. Orbene quando "i paratori " portavano le malcapitate bestie da un luogo all'altro, vedevi le donne che velocemente munite di apposite palette e secchielli raccoglievano per strada "i menzionati fichi" per i gerani che solitamente ersno piantati in "tolle di latta"...