Il formaggio che cammina. A Roncone in Villeggiatura con la carta annonaria (2)
Seconda parte del Baule dei ricordi di Giorgio Bonali con il racconto del soggiorno estivo a Roncone (Tn) (leggi qui la prima parte)
«Avanza un po’ d’uva per il nostro ritorno»
Dopo la vera e propria battaglia combattuta per sfruttare al massimo i bollini delle tessere annonarie di luglio e far giungere per tempo a Roncone quelle del mese d’agosto, la vita della mamma, in villeggiatura con i due bambini bisognosi d’aria buona, prosegue fra i piccoli avvenimenti d’ogni giorno. Nello scrivere al marito segnala che i figli “in casa non vogliono parlare in italiano mentre fuori casa non mi lamento: quindi ti prego, quando scrivi a loro, batti ancora su questo chiodo”.
Ma poi ritorna sulle necessità concrete e scrive al marito che vorrebbe “un po’ di riso e di lardo pesto, perché qui non l’hanno distribuito; mi piacerebbe ricevere qualche cosa di buono come l’uva che qui ho pagata 120 lire il chilo: spero che in campagna, da tua sorella, ne avanzi un po’ anche per il nostro ritorno. Sto per finire il petrolio per il nostro fornellino e dovrò comprarne alla cooperativa a 140 lire il litro”.
Quasi contemporaneo c’è lo scritto del marito che sembra un invito a tornare presto a casa: “L’uva è nel pieno della maturazione e mia sorella continua a dire che ci vorrebbero quelli che stanno in montagna per farla un po’ diminuire”.
Il racconto della moglie si perde in una piccola parentesi di maldicenze: “Ieri andammo alla fermata della corriera, per passatempo, e vi era anche il signor B. col suo cagnolino; parlammo del più e del meno e mi disse che si trova bene in albergo, sulla cui terrazza, con sua moglie, fanno la cura del sole; li abbiamo visti, l’altro giorno, coricati come due salami e i bambini a stento hanno represso le risa, mentre quando passeggiano per il paese, lui porta calzoni corti blu e ha la cintura fin giù dalla pancia; così pelato, se lo vedessi, ti divertiresti un mondo per la figura che fa. Scusa se dico queste stupidaggini, ma non posso raccontarle se non a te”.
Poi continua: “Ho messo assieme con mezzi di fortuna (il tappo di sughero di una bottiglia, del filo di refe robusto, un pezzo di piombo, un bastone robusto e un amo), una canna da pesca per il ragazzo che voleva pescare nel laghetto; si è divertito molto e per di più la seconda volta, un pesciolino distratto ha abboccato e sono stata costretta a friggerlo per la felicità di nostro figlio. Per il resto la vita in montagna è sempre la stessa, il diversivo sarà per il ferragosto con la sagra del paese; speriamo che il tempo faccia giudizio, perché è un po’ che fa burrasca; forse da voi il caldo sarà diminuito e potrete respirare meglio. Domani, se il tempo lo permetterà, facciamo conto di andare a Tione per distrarci un po’ e approfittarne per portare il bambino dal barbiere perché sembra che quello di qui guasti molto i capelli col suo taglio”. “Ho spedito un po’ di cartoline e la settimana prossima ne scriverò altre, ma ne mando una sola a chi devo, perché è una bella spesa anche la posta”.
In un breve scritto il bambino racconta al papà che “oggi la mamma mi ha accontentato comperandomi la Gazzetta dello Sport, sulla quale ci sono le fotografie dei corridori cremonesi Pedroni e Ferrari”.
Finalmente la “famosa fiera” di Ferragosto
“Oggi è la famosa fiera e ho assaggiato la specialità che usano fare qui per questo giorno, ma a me piace poco: è un miscuglio di foglie di barbabietola da zucchero, formaggio, pane, aglio, pepe e uova. Noi invece abbiamo preparato la ciambella ed è venuta abbastanza bene: in cima abbiamo messo delle nocciole a pezzettini, un po’ di zucchero e cioccolato ed è riuscita di figura; oggi poi ci sarà l’albero della cuccagna e le corse e questa mattina siamo andati in chiesa alla messa solenne cantata dai montanari a due voci con organo, strumento molto bello in legno intarsiato. C’è anche la pesca di beneficenza, ma per ora non siamo stati fortunati; oggi pomeriggio andremo a vedere la processione e a sentire il concerto bandistico: qui è arrivata molta gente, anche se subito dopo ferragosto se ne andrà quasi tutta”.
Questo è il vivace racconto della festa che la moglie fa al marito lontano; e prosegue con la decisione per il ritorno: “Se nulla succede veniamo a casa il 28, giovedì venturo, e dato l’affollamento sulla corriera postale, verremo a casa con quella di Campiglio che proprio quel giorno fa l’ultima corsa della stagione e, se c’è il posto per stare seduti, senz’altro veniamo con quella e verso sera saremo a Cremona”.
“Martedì ebbi le tue lettere mentre mi preparavo ad andare a Tione per una passeggiata con la scusa di far tagliare i capelli al bambino; abbiamo sofferto molto caldo in quel paese e siamo andati a ripararci in chiesa intanto che aprivano i negozi. Io preferisco Roncone perché il clima è migliore, anzi da un po’ di giorni fa abbastanza caldo”.
“Ho scritto a tutti, amici e parenti, una cartolina, ma non ho replicato perché è molta spesa. La bambina aveva scritto una cartolina alla sua professoressa d’italiano e faccio conto di farle scrivere ancora oggi così la riceve prima del nostro arrivo, ma si fa così fatica a farle fare due righe che mi fa pensare; anche il ragazzo è pigro e va più volentieri a far la legna sui monti che impegnarsi a fare un tema. In compenso, stando alla pesa di Roncone, sarebbe aumentato di un chilo e mezzo”.
L’ultima lettera del marito segnala che “a casa abbiamo il sottoscala già pieno di torba e ce ne sono altri tre quintali sotto il portico; tra poco daranno i tre quintali di carbone e Bruschi mi ha procurato la legna: appena avremo anche quella non ci sarà altro che pensare a consumarla”. La moglie risponde: “Ho piacere che tu abbia procurato per il riscaldamento e anzi avrei pensato, se puoi, di farti dare un po’ di terra refrattaria e sabbia per rifare il fornello della stufa, levando la graticola di ferro, ma sarebbe bene farlo in tempo, così quando torneremo a Cremona definitivamente sarà ben asciutto: se sei d’accordo, procurami il materiale per quei pochi giorni che mi fermo a casa”.
E infine: “Saluta tua sorella e dille che qui facciamo penitenza a non mangiare uva e anguria perché troppo care, ma che ci rifaremo da lei”. In un breve scritto, il papà chiede al figliolo se ha letto sul giornale “che Bartali è primo nel giro della Svizzera, com’era nelle previsioni”.
La polenta con il formaggio che «cammina»
Credo che i lettori abbiano già capito come “il bambino gracile che aveva bisogno di montagna” fosse il sottoscritto e visto che sono qui a raccontare, vuol dire che quella villeggiatura di Roncone è stata fruttuosa per la mia salute. Ho voluto spersonalizzare la lettura della corrispondenza intercorsa fra i miei genitori nell’estate del 1947, effettivamente ritrovata in tempi recenti e letta con particolare interesse e commozione, per dare un valore universale al ricordo di quei tempi e delle difficoltà che gli italiani, chi più chi meno, hanno dovuto affrontare negli anni subito successivi alla devastante guerra; ricordo per quelli che hanno vissuto quel periodo e memoria per i più giovani che faticano ad immaginare come potesse scarseggiare lo zucchero o il pane o la pasta e tutto quanto oggi è fortunatamente e normalmente disponibile sulla loro tavola.
Da quella corrispondenza emerge il tenero sentimento del distacco fra i due coniugi ancora giovani (anche i nostri genitori lo sono stati) col marito che scrive: “A dirti la verità comincio anch’io ad essere stanco, mi sembra troppo tempo che non vi vedo e il pensiero che dovranno passare ancora una quindicina di giorni, mi porta un senso di malinconia: avrei ricevuto volentieri una tua lettera dove mi dicevi cose nostre... Non senti il bisogno di dire qualcosa per me? Io sento il bisogno di stare con la mente in tua compagnia”. E continua: “La sera, da mia sorella in campagna, vado a letto presto dopo essere stato con la sedia degli altri anni a prendere un po’ di fresco sull’aia e mangiare qualche fetta d’anguria: vedessi come sono belle e buone”.
La moglie risponde con partecipazione: “Dici che non parlo delle nostre cose...ma devi comprendere che i bambini mi chiedono cosa ho scritto al papà e quindi bisogna stare sulla linea generale, mi comprendi vero? D’altra parte, pur valutando il tuo sacrificio nello star solo, non dovresti aver malinconie e se invece succede, è segno che qualche cosa sono ancora per te e desideri la mia presenza. Di questo sono contenta; quindi non metterti idee per la testa, perché se in me è tutto assopito a causa della tua lontananza, non per questo io sono indifferente a ciò a cui alludi, ma d’altra parte non è meglio che sia così? A casa poi... Sappi che ti penso sempre e desidero fortemente vederti e stare in tua compagnia”.
Un ricordo personale di quella villeggiatura, ripetutamente raccontato ad amici e parenti, è legato alla cena speciale per il marito della padrona di casa, un boscaiolo che tornava ogni quindici giorni dalla montagna. Il pasto era dominato da un gran tagliere di polenta carbonera (condita), con al centro un pezzo di ‘tara’, il formaggio originario di Roncone chiamato ‘la spressa" molto stagionato fino a produrre i vermi e considerato una prelibatezza: il calore della polenta li faceva uscire e correre sul tagliere, costringendo a rincorrerli con pezzi di polenta affinché non andassero persi. Lascio immaginare le nostre reazioni, seduti allo stesso tavolo, nell’assistere ad una cena ricordata negli anni come quella della ’polenta col formaggio che cammina’. (2-fine)
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