"Era più leggera la neve di una volta". L'inverno del '53 nelle foto di Fazioli
Il racconto di Giorgio Bonali, pubblicato su La Cronaca nel 2008, della grande nevicata di 70 anni fa con le fotografie di Ernesto Fazioli.
Se ne sono dette e scritte di tutti i colori in questi giorni di maltempo che ha visto la caduta di alcuni centimetri di neve: freddo polare, nevicata record e disservizi tragici dei trasporti per “le sante vacanze”, hanno alimentato la tendenza terroristica di numerosi mezzi di informazione, gli stessi che ci hanno messo in ansia per la “grave pandemia influenzale” in arrivo, per poi farla sparire dai loro notiziari facendoci dimenticare persino che sia mai esistita.
Ma un aspetto poco considerato parlando della recente nevicata è che molti, influenzati dalle notizie diffuse, sono andati a gara nel valutare lo spessore raggiunto dalla neve caduta, in una gara prettamente da bar.
La diversità di valutazione è stata molte volte legata all’età, con i più giovani, senza ricordi delle grandi nevicate, portati a valutare in crescita la vera altezza della neve caduta, venti, venticinque e persino trenta centimetri e gli anziani, con il loro bagaglio di ricordi delle nevicate di una cinquantina di anni fa, che hanno fatto abbassare il livello della nevicata ai più realistici quindici centimetri.
Tutto si è bloccato e la nostra civiltà del terzo millennio ha rischiato di venire sepolta da quindici centimetri di una neve che forse è più “cattiva” e “pesante” di quella di una volta se qualcuno già progettava di salire sul tetto di casa per scaricarlo; la neve dei miei tempi era forse più leggera e soffice e mi sembra di ricordare come le preoccupazioni nascessero dal mezzo metro in su.
Ripenso ad una nevicata memorabile nei primissimi giorni del ’53 che raggiunse il metro di altezza provocando parecchi problemi, affrontati con la naturale concretezza di chi era da pochi anni uscito dalle tragedie di una guerra.
Non arrivava più il latte nei vari quartieri della città e noi ragazzi venivamo incaricati di andarlo a cercare presso la latteria centrale di largo Paolo Sarpi dove arrivava in continuità dalle stalle dei dintorni, trasportato dalle grosse slitte, trainate da un cavallo, che esistevano ancora in ogni cascina: per noi era uno spettacolo da favola attenderle col nostro pentolino di alluminio.
Durante il ritorno a casa c’era da augurarsi di non essere attaccati con palle di neve, perché per difendere il nostro onore (normalmente ci si confrontava con gruppi di altri quartieri o parrocchie) si metteva a rischio il prezioso latte contenuto nel pentolino.
Nel frattempo tutti i muratori esperti venivano mobilitati per salire sui tetti dei palazzi e scaricarli dalla neve, buttandola nei giardini o in strada, aumentandone così lo spessore già accentuato da quella dei marciapiedi ben sgomberati dai frontisti,e creando così una vera e propria barriera che rendeva invisibile l’altro lato.
Erano i giorni dell’Epifania e venne rinviata di qualche giorno, con grande nostra gioia, la riapertura delle scuole: avevamo più tempo per giocare.
Abitavo allora in via XX settembre, strada particolarmente ampia, e con un gruppo di amici decidemmo di scavare un tunnel di attraversamento; grattando con le unghie e qualche paletta la massa di neve ottenemmo un capolavoro di “ingegneria” che persino gli adulti venivano a vedere.
Dopo questa impresa, coi guanti di lana tessuti da mia madre ormai bucati, correvo in casa a scaldare le mani vicino alla stufa economica a carbone della grande cucina: le altre stanze erano gelide e mantenevano anche di giorno i “fiori” che il gelo ricamava sui vetri delle finestre durante la notte.
Sì, sono convinto: la neve di allora era più leggera e soffice! Ed anche i miei anni erano più leggeri.
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