17 dicembre 2022

A Rivolta d'Adda il più antico presepe cremonese, in legno intagliato nel 1480 da Bongiovanni de' Lupi, oggi al museo diocesano

Uno dei più antichi presepi, cioè la rappresentazione plastica della Natività con figure a tutto tondo sullo sfondo di un paesaggio a rilievo, era a Rivolta d'Adda, ed è oggi visitabile presso il museo diocesano di Cremona. Il primo presepe è documentato verso la fine del Duecento dalle statue di marmo superstiti scolpite da Arnolfo di Cambio per «l’Oratorium praesepis» in Santa Maria Maggiore a Roma, ed esistono documenti precedenti in cui si accenna luoghi di culto specificamente dedicati al presepio a Napoli. Tuttavia la consuetudine di rappresentare con figure a grandezza naturale ora di legno, ora di marmo o terracotta, la nascita del Bambino Gesù, considerata una filiazione diretta delle sacre rappresentazioni liturgiche o "misteri" che già si andavano svolgendo, fin dai primissimi secoli del Millennio, nelle piazze e nelle chiese di tutta Europa, si diffonde solamente nel Quattrocento, specie in Emilia, in Lombardia, nelle Marche e nel Regno di Napoli.

Ed è appunto al 1480 che risale l'ancona di Bongiovanni de' Lupi, realizzata ad intaglio, comunemente conosciuta come il Presepio del Paladino, dal luogo in cui era conservata originariamente. Sul retro è presente la firma e la data dell'opera, per cui siamo sicuri della sua attribuzione. Bongiovanni de' Lupi era un artista di Lodi e di quest'opera ne realizzò un'altra simile, però andata distrutta da un fulmine del 1632. L'ancona con la natività venne ritrovata all'inizio del '900, quando ci furono i primi lavori di restauro presso l'oratorio del Paladino.
Al centro della scena troneggia un portale gotico dorato, affiancato a destra da un angelo con il motto del Gloria in excelsis deo. Lo sfondo è dominato da un pastore con le sue greggi, dal paesaggio e da degli edifici della città. Il centro focale della scena è il bambino Gesù, adagiato in una cesta di vimini, senza fasce, fatta eccezione per le mutande aggiunte a posteriori dalle suore. Accanto vi è la Vergine inginocchiata, con vesti verdastre e dorate, avvolta in un ampio mantello. A destra c'è san Giuseppe in adorazione con abiti dorati dai risvolti rossi, preceduto da tre angioletti oranti con capigliature voluminose con alte corone, secondo l'uso tedesco. Dall'arco fuoriescono il bue a l'asinello per scaldare il neonato con il loro respiro. Con il restauro del 1957 si sono apportate delle modifiche all'opera: originariamente la Vergine aveva in capo un'alta corona metallica dorata e, accanto al portale c'erano, a destra, una stella cometa, invece a sinistra era posto l'angelo, oggi spostato. Sappiamo che l'opera si trovava sopra all'altare della chiesa del paladino, ma a inizio del '900 viene spostato per essere poi posto nella chiesa di Rivolta. Oggi invece viene conservato nel museo diocesano di Cremona.
Cremona non ha mai avuto, a differenza di altre città lombarde, una grande tradizione di sculture in pietra. Non ha avuto in eredità un patrimonio di statue, bassorilievi, monumenti o fontane. Ciò che contraddistingue Cremona dalle altre città è, invece, una grande tradizione di arte lignaria, coltivata e trasmessa da grandi ebanisti, da intagliatori e intarsiatori di prim'ordine. I motivi sono molteplici: i costi del materiale, innanzi tutto, sia per l'acquisto, data la lontananza geografica dalle cave, che per le fasi di lavorazione, e poi le difficoltà derivanti dall'instabilità politica e economica spesso attraversata dal territorio. Il patrimonio ligneo conservato in città è invece ricchissimo. Ne è un esempio straordinario e pressochè sconosciuto il bellissimo presepio di Giovanni Angelo Del Maino in legno scolpito, dipinto e dorato conservato oggi nei depositi della Cattedrale. Originariamente il gruppo di sculture lignee era collocato sopra l'altare di San Giuseppe, nella cappella posta sul fianco della Cattedrale, tra il fianco del transetto settentrionale e il Torrazzo e faceva probabilmente parte di una grande macchina, simile a quelle che si trovano in molte altre chiese rinascimentali della Lombardia. Di quella macchina, smembrata e scomparsa, sono rimaste solo le tre sculture di Maria, Giuseppe e il Bambino, collocate sotto la mensa del secondo altare della navata sinistra, originariamente affiancate da due statue di pastori e dalle protomi del bue e dell'asinello appena sbozzate e certamente non dello stesso livello stilistico delle prime, attribuite sino a qualche anno fa senza troppe convinzioni allo scultore cremonese del Seicento Francesco Pescaroli. 

Nel 1992 il gruppo fu tolto dall'altare in concomitanza dell'inizio del restauro e solo allora ci si accorse dell'elevata qualità delle tre figure principali, che nel 1994 da Marco Tanzi furono attribuite a Giovanni Angelo Del Maino, appartenente ad una famiglia di scultori milanesi che nel 1489 si era trasferita a Pavia. Lo stesso Tanzi ha attribuito al Maino anche la scultura lignea con San Sebastiano entrata nel Museo Berenziano del Seminario Vescovile con il lascito di monsignor Felice Zanoni. Il San Sebastiano di Cremona è un capolavoro che si colloca nel tratto finale della carriera dello scultore, in prossimità del Compianto di Cuzzago, in Val Vigezzo, e il Cristo alla colonna di Bologna, a dialogare con il suo omonimo di Ardenno, compreso nel registro superiore dell'ancona valtellinese saldata il 23 agosto 1536. Si ignora la provenienza originaria di questa scultura di singolare integrità: il Santo è legato al tronco con la corda vera che si intreccia a quella intagliata nel legno e le frecce di metallo forano la carne. Non dispiacerebbe pensare a un ritorno di Giovanni Angelo, dopo un quarto di secolo, a Cremona, nella città dove da giovane aveva lasciato il Presepe, in Duomo, e dove poteva vedere, dalle suore dell'Annunziata, la tavola con il San Sebastiano di Dosso Dossi, ora a Brera, del 1526 circa. 

Il nostro presepio conserva appunto, soprattutto nelle figure della Vergine e del Bambino, una testimonianza preziosa dello stile dell'artista alla fine del primo decennio del Cinquecento.  Secondo Luisa Bandera che al presepio del Maino ha dedicato la sua ultima fatica sull'arte lignaria a Cremona “il viso affilato della Madonna, l'inclinazione della testa, la preziosità del colore originario, che si intravede sotto un pesante restauro di vecchia data, come la lacca rossa graffita sull'oro della veste, trovano convincenti riscontri in altre opere autografe. Si veda, ad esempio, il Presepio della Collegiata di San Martino a Treviglio, ritenuto generalmente contemporaneo, ma a mio avviso di qualche anno precedente, e lo Sposalizio di Santa Caterina del Victoria and Albert Museo di Londra”.

Nella presentazione frontale delle figure, dove sono state eliminate le asprezze della tradizione tardo quattrocentesca, si nota un nuovo processo di classicizzazione con una più accentuata ricerca volumetrica, mentre una più marcata attenzione psicologica nella ingentilita dolcezza dell'espressione e nel leggero declinare della testa denoterebbe un interesse verso le novità leonardesche. Giovanni Angelo Del Maino è il principale scultore in legno del Rinascimento lombardo, documentato dal 1496 (Crocifisso, Castelsangiovanni) al 1536 (Ancona di San Lorenzo, Ardenno). Nacque probabilmente a Milano verso il 1470 da Giacomo Del Maino, magister a lignamine, che dirigeva una delle principali botteghe milanesi di produzione lignea di arredi sacri.

Cresciuto, assieme al fratello Tiburzio, presso la bottega paterna, Giovanni Angelo assorbì presto le molteplici capacità tecniche necessarie per realizzare la vasta gamma di arredi sacri richiesti agli artisti del legno (stalli dei cori, struttura architettoniche e statue per ancone d'altare, gruppi scultorei, rilievi scolpiti, crocifissi, ecc.) e mutuò dal padre un linguaggio artistico vigorosamente espressivo, un po' aspro e tagliente, non privo di suggestioni nordiche che stemperò quando si trovò a misurarsi con le apprezzate novità del classicismo lombardo, in specie con le sculture di Briosco e del Bambaja. La sua sceltissima attività corre da Pavia a Como, dal territorio lariano alla Valtellina, da Piacenza a Bologna, per committenze di straordinario prestigio. Sono da ricordare le lodi sperticate tributate all'artista nel 1539 dell'umanista pavese Teseo Ambrogio degli Albonesi. Fra le opere di Giovanni Angelo si ricordano l'Altare del Crocifisso e l'Altare di Sant'Abbondio nel Duomo di Como, l'Ancona dell'Assunta di Morbegno, con policromia di Gaudenzio Ferrari e Fermo Stella, una serie importante di Compianti a otto statue, il Cristo alla colonna in San Giovanni in Monte a Bologna e le sculture piacentine, fra cui l'Altare della Passione per Sant'Agostino, ora al Victoria and Albert Museum di Londra.

Non è un presepe in senso stretto la splendida “Sacra Famiglia” in legno intarsiato, scolpito e dipinto sull'altare di San Giuseppe nella navata sinistra della Cattedrale da Giacomo Bertesi, il più grande scultore cremonese di opere in legno. La cappella fu commissionata dalla Corporazione dei Legnamari e muratori e dotata di una grandiosa pala scolpita la cui realizzazione fu affidata ad un giovane discepolo di Francesco Pescaroli, Giacomo Bertesi, che la realizzò tra il 1668 ed il 1669 per un compenso di 800 filippi. L'ancona, di dimensioni imponenti, è scolpita a bassorilievo e ricoperta di stucco bianco per simulare l'effetto del marmo levigato. Era un effetto voluto dallo stesso artista, anche se frutto di un restauro compiuto nel settecento da Giovanni Battista Zaist per riportare all'originale le figure, che nel frattempo era state dorate. Sullo sfondo della scena, tracciati stiacciato, compare un tempietto inserito al centro di uno scorcio architettonico di gusto tardorinascimentale, mentre in primo piano compaiono sulla sinistra la Vergine, pressochè a tutto tondo, e sulla destra San Giuseppe, disposti simmetricamente intorno al Bambino, ritto in piedi nell'iconografia del Salvator Mundi. In alto un gruppo di angeli regge il manto dell'Eterno che si protende con un braccio berso l'esterno. “La figura dell'Eterno – osserva Luisa Bandera -  è scolpita con un rilievo più graduato per ottenere l'effetto l'effetto di profondità dello spazio con uno scorto audace, sottolineato da una luce che pare provenire dall'alto. Questa disposizione accentua la suggestione dell'improvvisa apparizione divina con il fine di attrarre i fedeli a partecipare all'evento”. Per la profonda adesione ai moduli del classicismo barocco, la studiosa suggerisce un soggiorno romano del Bertesi, peraltro non documentato,  che dimostrebbe la conoscenza del rilievo dell'Algardi con “L'incontro del papa Leone I e Attila” della basilica vaticana di San Pietro. In ogni caso “Nella nobiltà della materia levigata e priva di suggestioni cromatiche, nella tornita compitezza formale e nella bellezza ideale dei volti, il Bertesi rivela la sua poetica di scultore classicheggiante, concentrata, nonostante la complessità della composizione, sul decoro e sulla  resa degli 'effetti', dimostrando come in questa fase della sua attività egli si diversificasse dall'esuberanza e dallo stile concitato del Bernini”. 

 

Fabrizio Loffi


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