11 dicembre 2022

L’asse e il mattarello di Paolina. Oggetti, parole e gesti di famiglia nei ricordi natalizi di un bambino dei primi anni ‘60

Ètore, l’ass!”. Era con questo secco ordine che cominciava tutta la grande azione culinaria a cui ad ogni Natale tutti i bambini della casa assistevano come ad una sacra rappresentazione. Ettore deponeva, suo malgrado, l’inseparabile pipa caricata con una irripetibile mistura autoprodotta con toscani e “Trinciato forte” e si avviava con l’usuale flemma a prendere l’asse su cui Paolina avrebbe nuovamente compiuto la sua magia: la fuiààda.

Per due volte, in verità, sarebbe avvenuta sotto occhi sempre pieni di stupore: per i tortelli di zucca della Vigilia e per i marubini di Natale.

Grembiule bianco cinto ai fianchi, maniche ben arrotolate fino al gomito, Paolina Azzoni da Ca’ de’ Biazzi, classe 1886, aspettava a braccia conserte l’arrivo del marito per la solenne intronizzazione della sua asse sul tavolo della cucina circondato dalla trepidante corte dei nipotini. Ettore e Paolina abitavano con loro quattro, cresciuti tra nuvole, quelle di fumo prodotte dalla pipa del nonno e quelle di farina che si alzavano dall’asse della nonna. Una passata di straccio per metterla sul pulito e l’asse era pronta per ricevere la farina, le uova, un pizzico di sale e un filo d’olio: la nonna iniziava così ad amalgamare il tutto per fare la pasta. Ottenuto un primo composto approssimativamente unitario, ecco il secondo ordine: “Ètore, dààghe ‘na pasààda te, adèss”. E così la pasta veniva ben lavorata a mano, voltata e rivoltata tra spinte, sbuffi, misurate aggiunte di acqua e qualche brevissima pausa per indrisàà la schèèna.

Sotto l’asse, lungo tutta la sua lunghezza era inchiodata una spessa lista di legno che le consentiva di restare ben ferma durante tutto il maltrattamento subìto ad opera della spinte che con vigore il nonno dava ritmicamente sulla pasta per diagonali alternate. Così Ettore, esaurito il proprio compito maschile, guadagnava la meritata sedia e riapriva il giornale dal quale, con la pipa di nuovo in bocca, avrebbe lanciato ogni tanto qualche sbirciata di controllo alla sua Paolina. Perché adesso veniva il bello, come ben sapevano tutti.

Era solo in quel momento che faceva la sua gloriosa comparsa l’altro gioiello di Paolina, el matarél, lo strumento che armeggiato con arte e destrezza avrebbe trasformato gradatamente la lavorazione di Ettore in una lunga e sottile spianata unica di pasta. I colpi della prima fase erano assestati per allungare ed allargare la pasta, un passaggio non breve nel quale Paolina cercava di ampliare il più possibile le due dimensioni tenendo sull’asse la pasta. I getti veloci e misurati di farina, anche sul mattarello, erano arte nell’arte. E quando si era raggiunto il limite nella possibilità di vincere l’elasticità della pasta, finalmente la magia: la striscia ottenuta veniva arrotolata sul mattarello infarinato e con un colpo secco veniva buttata nuovamente sull’asse.

Tààc: allo schiaffo sonoro della pasta sull’asse faceva seguito, oltre all’immancabile nuvoletta di farina, l’immediato uso del mattarello, di nuovo a spianare lo spessore e a produrre un ulteriore allungamento. Il colpo di genio stava nell’avere larghezza dell’asse e lunghezza del mattarello delle stesse dimensioni, per cui, per quanto si allargasse la sfoglia, poteva sempre essere avvolta sul mattarello senza che ne debordasse. Paolina, avvolto il mattarello anche con più giri di pasta, ne posizionava un’estremità sulla sua anca, si spostava all’inizio dei due metri abbondanti della sua asse e ta-ta-tààc, quasi correndo risbatteva sull’asse l’intera sfoglia. L’anziana ma vitalissima nonna come una gatta prontamente la aggrediva col suo mattarello per consolidare l’allungamento ottenuto e produrne di nuovo. Lo spettacolo si ripeteva più e più volte fino a quando un sospirato “Lé!” decretava in tutta semplicità la soddisfacente conclusione dell’impresa. Sull’intera superficie della sfoglia, con l’ausilio della sua lunga riga in legno, il nonno Ettore rientrava nuovamente, e lentamente, in azione passando la rudéla dentellata per tracciare i quadrati entro i quali collocare il ripieno di tortelli o marubini. E a quel punto il gioco era fatto, “sùta cui turtéi!”.

In casa mia ho ancora l’asse di mia nonna Paolina, ha oltre cento anni, le era stata data da sua mamma quando aveva sposato Ettore. Conservo anche il mattarello, proprio vicino alla sua asse, ma nè io, nè mio fratello, con cui per ogni Natale continuo a preparare tortelli di zucca e marubini, siamo in grado di usarlo. Dalla morte di mia nonna nel 1970, alle sonorità di quei colpi in me mai svanitesi, sono subentrati i sommessi cigolii della manovella di un tirapasta e l’armonia dei movimenti di Paolina rimane solo negli occhi meravigliati di quel bambino di allora.

Ma abbiamo conservato i gesti di Ettore, perché sotto le feste, in quella stessa cucina, l’ass de la fuiààda compie ancora il suo ingresso trionfale, su di essa gettiamo altra farina e uova e come lui continuiamo a lavorare a mano la pasta. Quanto al fumo della sua pipa,… non ne sentiamo poi una gran mancanza.

Nella foto: Giuseppe (Ettore) Cariani (1883-1972) e Paolina Azzoni (1886-1970). Con pipa e mattarello sul finire degli anni ’50.

Maurizio Cariani


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