25 marzo 2025

Amarcord: quando il vino era gioia

E’ difficile di questi tempi parlare di vino.

Se appena appena, come me, hai un minimo interesse sull’argomento, e ti metti a sfogliare le pagine dei principali siti che parlano di vino, gli argomenti sono a dir poco deprimenti: il calo dei consumi dovuti alle nuove normative stradali, i vini no e low alcol, i cambiamenti climatici e le difficoltà agronomiche, i nuovi dazi imposti di Trump che rischiano di far crollare l’intero castello legato al mercato mondiale del vino, e altre belle notizie del genere.

Ecco allora che, per trovare un argomento più leggero e divertente, è meglio spegnere il computer e scendere in strada, ad ammirare la primavera che sta sbocciando e a parlare con la gente, magari al tavolo di una vecchia e romantica osteria.

E così, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino, la mente vola e va ai ricordi di bambino, di un tempo lontano e che probabilmente non tornerà più.

Si perché c’è stato un tempo – e non serve tornare troppo indietro – in cui il vino lo bevevi “perché sì”.

Non c’era bisogno del calice giusto, della temperatura perfetta, del food pairing studiato. Bastava un panino con la mortadella, una fetta di salame nostrano, una polpetta della nonna, magari un bel merluzzo fritto del venerdì, e quel mezzo litro di rosso frizzante che ti versavi nella scodella.

Era il vino della merenda. Quello vero.
Quello che sapeva di casa, di trattore parcheggiato al sole e di tovaglia a quadretti.

Ecco, quel vino – che per anni è stato guardato con un po’ di snobismo da chi faceva roteare il bicchiere e parlava di bouquet, me compreso – sta tornando. Piano piano, senza clamori, ma con tutta la forza della sua autenticità.

Ne abbiamo già parlato. Sono quei vini che in gergo tecnico vengono definiti “sur lie” o “ancestrali”. Vini dei quali la nostra regione è piena zeppa, prodotti essenzialmente seguendo il percorso del nostro caro, vecchio, Grande Fiume.

Sono la Freisa frizzante del Piemonte. Il Lambrusco in tutte le sue declinazioni (Emiliane e Mantovano). In Oltrepò, è la Bonarda vivace (complice anche il progetto della Mossa Perfetta del Distretto del Vino), ma soprattutto, nei Colli Piacentini, dietro casa nostra, sono i tanti vituperati Gutturnio Frizzante, Malvasia semisecca, Monterosso Val d’Arda, ecc.

E potrei proseguire snocciolandoti vini di tutta Italia. Per chi fa il mio mestiere, basta sfogliare il catalogo di qualsiasi distributore nazionale, per rendersi conto che ormai ogni azienda, in ogni angolo d’Italia, sta rispolverando vinificazioni “come una volta”, senza troppi fronzoli.

La sensazione è che ci sia voglia di vino quotidiano. Di bottiglie che non intimidiscono, che non costano 40 euro, che non si aprono solo quando viene “l’amico intenditore” (dai, confessiamocelo: tutti noi abbiamo un amico che si crede intenditore, ma in realtà non ne capisce un’acca).

Il vino da salame, da panino con la frittata, da torta salata della nonna, è il vino che non si prende troppo sul serio ma non per questo è meno buono. Anzi: spesso ha dentro tutta la sapienza contadina, tutta la memoria di un territorio.

E poi – diciamocelo – fa venire voglia di compagnia. Perché quei vini lì, difficilmente li bevi da solo. Hanno un’allegria intrinseca, una leggerezza che mette fame di storie, di osterie fumose, di tavoli traballanti cosparsi di briciole, di racconti di un’Italia povera e contadina, di una vita pesante e difficile, di un passato nostalgico e generoso.

Forse la soluzione a tutti gli attuali problemi del vino l’abbiamo sempre avuta davanti agli occhi e non ce ne siamo mai accorti: forse dovremmo semplicemente rimettere al centro della nostra tavola (e delle nostre carte dei vini) questi piccoli grandi vini da merenda. Quelli che non vincono premi ma vincono la simpatia.

E d’altronde noi di Slow Wine lo sappiamo bene: da sempre, a metà delle nostre degustazioni super tecniche, ci fermiamo per gustare una fetta di salame Cremona innaffiata da un sorso generoso di vino genuino. Così, per ricordarci da dove veniamo.

E ricordarci che il vino, prima di tutto, è gioia.

Andrea Fontana


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