Il Friuli e la storia di un nome negato
Ricordo ancora come fosse oggi la mia prima volta in Friuli in giro per cantine. Avevo da poco terminato le scuole Superiori, e con il mio ex compagno di banco ci siamo concessi una breve vacanza in questa splendida regione di confine, sospesa tra le Alpi e il Mare Adriatico, e in cui coesistono denominazioni di collina e denominazioni di pianura, per un mosaico che vale la pena di approfondire.
Tra bellezze storiche e paesaggistiche (come non citare Aquileia, con lo splendido pavimento a mosaico della sua Basilica, o il suggestivo Tempietto Longobardo di Cividale), una parte significativa di quel viaggio fu la visita a numerose cantine, e l’attraversamento in automobile del Collio Goriziano.
Ma facciamo un passo indietro e andiamo con ordine.
Le chiavi di volta per raccontare il Friuli enologico possono essere diverse: si potrebbe ragionare per denominazione (quindi prima le docg -invero forse le meno significative della regione- poi le doc e infine le igt); oppure per territorio (suddividendo le denominazioni di pianura -più generose ma meno significative- da quelle di collina) o ancora per vitigni (privilegiando il colore e suddividendo gli autoctoni dagli internazionali.
Nel dubbio, cercherò di elencare brevemente tutti questi aspetti.
Partiamo dalle denominazioni. Come ho già accennato prima, le docg presenti nel Friuli sono probabilmente quelle meno significative, se non altro numericamente. Riguardano infatti quattro microaree e altrettante microproduzioni: Ramandolo (vino dolce da uve Verduzzo Friulano), Picolit (altro vino dolce ottenuto dal vitigno autoctono), Rosazzo (uvaggio bianco a base Tocai) e Lison (sottozona più ristretta della doc Lison-Pramaggiore, unico vino ammesso il Tocai).
Le doc sono probabilmente il modo migliore di raccontare la regione. E in questo caso possiamo anche aggiungere la suddivisione tra denominazioni di pianura e denominazioni di collina. Le prime sono quelle che affacciano uno sbocco sul mare: Lison Pramaggiore (in condivisione con il Veneto), Latisana, Annia, Aquileia, Isonzo e Carso, che merita un capitolo a parte che vedremo tra poco. Le seconde sono invece le più significative e famose del Friuli, e sono sostanzialmente due: Collio Goriziano (o più semplicemente Collio) e Colli Orientali del Friuli (in passato abbreviati in COF, oggi invece in FCO, cioè Friuli Colli Orientali). Nel Collio, tra le altre, troviamo anche la microzona di Oslavia, piccolissimo quartiere di confine della città di Gorizia, dove un ristrettissimo gruppo di produttori capitanato da Josko Gravner ha riportato in auge l’antico modo di vinificare l’uva Ribolla Gialla, utilizzando anfore di terracotta e lunghissime macerazioni, ottenendo un orange wine di incredibile fascino e altrettanto successo commerciale. Da questo elenco rimangono fuori le Grave, la zona centrale della regione, nonché la denominazione più estesa, patria di grandi produzioni ed estensioni vitate.
Veniamo adesso ai vitigni, che spesso sono onnipresenti in quasi tutte le denominazioni. I vitigni bianchi autoctoni importanti sono sostanzialmente tre:
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- il Friulano (un tempo chiamato Tocai): è il vitigno simbolo della regione. I vini da Friulano sono caratterizzati da note di mandorla, fiori bianchi, erbe aromatiche e una bella struttura, grazie alla sua naturale acidità e sapidità.
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- Ribolla Gialla: un altro bianco friulano molto fresco, con aromi di mela verde, agrumi e un’acidità vivace. La Ribolla è famosa anche nella versione spumantizzata.
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- Malvasia Istriana: un bianco aromatico e minerale, con note di frutta esotica e una leggera sapidità. È molto versatile negli abbinamenti, ideale con pesci grassi o piatti speziati.
I vitigni bianchi internazionali sono invece un po’ i soliti: Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Pinot Bianco, Riesling Renano e Chardonnay.
I vitigni rossi autoctoni sono:
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- Refosco dal Peduncolo Rosso: così chiamato dal colore che assume il picciolo del grappolo a maturazione, genera un rosso fresco e speziato, con note di frutti di bosco e una buona struttura tannica.
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- Schioppettino: vino rosso dalle note di pepe nero, mora e sottobosco, così chiamato per la buccia spessa, che a maturazione rende gli acici croccanti e scoppiettanti
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- Pignolo: un rosso raro e corposo, con note di ciliegia scura e tannini vigorosi, perfetto per i grandi invecchiamenti.
I vitigni rossi internazionali più diffusi in Friuli sono Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, più qualche presenza sporadica di Pinot Nero e di Carmenere.
Ancora un paio di informazioni prima di chiudere questo rapido sguardo al Friuli Venezia e Giulia.
Tra le zone vinicole, avevamo lasciato in sospeso il Carso, una piccola zona vicina a Trieste, dove si producono vini bianchi sapidi e rossi intensi, da vitigni autoctoni caratteristici solo di questa zona, quali la Vitovska e il Terrano.
Parlando invece del vino bianco Friulano per eccellenza, è giusto ricordare la vicissitudine che ha portato alla perdita del nome Tocai. Le cose, brevemente, sono andate così: ad inizio degli anni 2000, il governo Ungherese ha chiesto l’esclusiva del nome Tocai – scritto Tokaj in lingua magiara – che in Ungheria identifica una ben precisa zona di produzione, dove si ottiene l’omonimo, e buonissimo, vino dolce. Il Parlamento Europeo, dopo anni di discussione di ricorsi, ha accolto l’istanza dell’Ungheria, riconoscendo la ratio che da sempre governa le sue decisioni in merito di tutela legislativa, privilegiando sempre i territori rispetto ai vitigni, con una decisione che ha sicuramente fatto storcere il naso ai produttori friulani, ma che a parere di chi scrive è oggettivamente corretta. E così, dalla vendemmia 2007, il nome Tocai è scomparso delle etichette di vino friulane sostituito dal termine Friulano.
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