Parola d'ordine: equilibrio
Sono iniziate da qualche settimana le degustazioni per l’edizione 2025 della guida Slow Wine, e già è possibile fare alcune considerazioni.
Le degustazioni cieche comparate che svolgiamo ogni anno, infatti, come spiegavo anche ad un produttore che giusto un paio di giorni me ne chiedeva il senso, permettono a me e ai miei colleghi degustatori di avere un quadro generale sull’andamento dell’annata e sulle tendenze produttive delle aziende di uno specifico territorio.
E devo confessarti, amico mio lettore, amica mia paritaria, che alcune di queste tendenze non mi fanno proprio impazzire.
Ma andiamo per ordine.
La tendenza globale del mondo del vino ormai si può riassumere in una parola, invero neanche così bella: sottrazione.
Il mercato sembra chiedere, sempre di più, vini che abbiano sempre di meno: meno alcol, meno estrazione, meno corpo, meno impegno, meno zucchero.
I vini muscolosi e strutturati che l’hanno fatta da padrone negli ultimi decenni del secondo millennio sembrano ormai definitivamente tramontati.
I vini ricchi di estratto e con residuo zuccherino che invece hanno caratterizzato gli anni ‘10 del terzo millennio sembrano anch’essi avviati sul medesimo viale.
Ecco allora che si sta facendo strada una nuova tipologia di vino, bistrattato ed ignorato negli anni scorsi. Sto parlando di vini tenui e delicati a partire dal colore, con profumi eterei e sfuggenti e bocche tese e delicate al limite dell’impercettibile. Vini che hanno in parole come “mineralità”, “verticalità”, “acidità”, “tensione” i propri mantra, e guai agli eretici che non li apprezzano.
Questa tendenza globale, come già detto, riflette un nuovo stile di vita (che a dirla tutta, alle nostre latitudini io ancora non percepisco, ma storicamente a Cremona le mode arrivano sempre con qualche lustro di distanza) che fa della sobrietà il proprio faro e la propria guida.
E quindi si beve di meno e con sempre meno alcol; si mangia di meno e possibilmente senza carboidrati, lattosio, glutine, zucchero e quant’altro; e converrai con me che, tolto tutto questo, non è che rimangono molti altri nutrienti in natura; e gli eccessi sono categoricamente banditi.
Il tutto in nome della disciplina (anche stradale, e questo è indubbiamente un bene) e dell’accettazione sociale. Si, hai capito bene. Perché potrà sembrarti strano (per me lo è), ma i giovani oggi bevono poco non per convinzione ideologica, ma perché hanno paura che un eventuale stato di ebbrezza (e conseguente comportamento riprovevole) possa essere immortalato sui social e rimanere nel web a imperitura memoria. E difatti con i miei amici scherziamo spesso su quanto siamo stati fortunati, noi della generazione x, ad essere stati stupidi ed adolescenti (binomio quasi sempre imprescindibile) quando ancora non c'erano i social, e quindi i nostri eccessi sono spariti assieme alla nostra memoria.
Infine, ovviamente, il cappello sotto il quale ricadono tutte queste scelte è anche quello di una dichiarata, ma non meglio precisata, anima ecologista. E proprio su questo punto, una recente indagine svolta dal Gambero Rosso, ha dimostrato come i cibi cosiddetti ecologici (niente sostanze animali, solo vegetali e iperproteici) in realtà sono super processati e non hanno niente di quello che promettono: “non sono sostenibili, non sono buoni, non sono sani, non sono realmente proteici, sono la negazione della nostra tradizione gastronomica, diseducano il gusto.” (cit. Gambero Rosso)
Ma sto divagando, me ne rendo conto; torno subito nel seminato.
Stavo parlando delle tendenze che abbiamo avvertito, io e i miei colleghi degustatori, nelle prime degustazioni di quest’anno.
Ebbene, come dicevo poc’anzi, ormai la parola d’ordine è togliere tutto, soprattutto lo zucchero. Ecco quindi che l’acidità (vera o artificiale, non dimentichiamoci che la legislazione vinicola italiana -una delle più restrittive al Mondo- consente l’acidificazione dei mosti con acido tartarico) è il valore più significativo di un vino, e il residuo zuccherino dopo la fermentazione alcolica deve tendere sempre più verso lo zero. Anche nei vini che storicamente facevano della presenza di zucchero una propria esperienza gustativa riconoscibile e caratterizzante.
È il caso, ad esempio, di quasi tutti i Lambrusco Mantovano bevuti la scorsa settimana, che erano tutto fuorché piacevoli. Si perché le uve che lo compongono (soprattutto il Viadanese Sabbionetano, ma anche il Ruberti non scherza) hanno caratteristiche di asperità e tannicità che sono sempre state “domate” grazie alla componente zuccherina, e che invece emergono preponderanti quando questo (poco) zucchero residuo non c’è più, perdendo così di vista le due più importanti caratteristiche che a mio avviso deve avere un vino: la piacevolezza e la bevibilità.
Va bene quindi lavorare per sottrazione, se è quello che chiede il mercato, anche perché aldilà di ogni considerazione ideologica e filosofica, l’obiettivo primario di un produttore di vino non può che essere uno, e cioè vendere il proprio prodotto.
Ma quando questa ricerca ossessiva di verticalità e mineralità va ad inficiare irrimediabilmente la piacevolezza e la bevibilità, allora mi permetto di dare un consiglio non richiesto, probabilmente banale come tutte le parole che hanno riempito questo spazio: la parola d’ordina deve sempre essere equilibrio.
Equilibrio delle componenti aromatiche, equilibrio nelle componenti gustative, equilibrio nelle scelte agronomiche e produttive, equilibrio nel rapporto qualità prezzo. Sono sicuro che, rispettando questo equilibrio, a lungo andare anche il mercato premierà questi produttori ed i loro vini, che risponderanno così al più antico quesito del Mondo del vino, rivoltomi ormai una trentina di anni fa da un amico produttore: qual è il vino buono?
Il vino buono, mi spiegò questo abile produttore, è quello che quando finisci la bottiglia ne stappi una seconda, e questo è un insegnamento che tutti i produttori dovrebbe sempre tenere a mente.
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