Dai Cru alle MGA, le cinque tipologie di Barolo
Le Langhe sono un territorio bellissimo.
No, non ho preso un insolazione che mi fa pronunciare parole a vanvera (e sarebbe anche ironico, visto che fa caldo da due giorni in croce).
Semplicemente sono reduce da un viaggio in loco e ogni volta che mi ci reco, purtroppo meno di quanto vorrei, ne rimango sempre affascinato.
Le Langhe sono anche cambiate radicalmente da quando le conosco.
Mi piace sempre raccontare che le mie prime volte, da ragazzino accompagnando i miei genitori, qualcosa come 35 anni fa, erano completamente diverse.
La mia battuta più ricorrente ricorda che all’epoca, di giovedì pomeriggio, in qualsiasi stagione ci recassimo a Barbaresco (capoluogo dell’omonima denominazione, 600 abitanti e 480 elettori, in pratica l’equivalente di Corte de’ Cortesi con la frazione Campagnola), potevamo girare nudi che nessuno si sarebbe scandalizzato, perché in giro non c’era nessuno e nessuno ci avrebbe visto.
Ma mentre a Corte de’ Cortesi, ancora oggi questo assunto ha valore, altrettanto non si può dire di qualsiasi comune della Langa, che ha vissuto uno sviluppo economico e ricettivo repentino e, apparentemente, inarrestabile.
Succede così che, ad esempio, a Monforte d’Alba (uno degli undici comuni della denominazione Barolo) oggi ci siano 2000 abitanti, 22 ristoranti e 780 posti letto (prova a pensare, amico mio lettore, amica mia paritaria, ad un comune di dimensioni analoghe della nostra provincia Cremonese, e sono sicuro che ti accorgerai subito della differenza).
Che cosa ha trainato questo incredibile sviluppo ha un nome solo e soltanto, che sono sicuro hai già capito: vino.
I già citati Barolo e Barbaresco in primis, ma anche tutti i “fratelli minori” che li seguono a ruota, come Barbera, Dolcetto, Roero, Arneis, ecc.
L’esponenziale successo planetario dei vini di Langa, guidati da realtà come Gaja, Mascarello, Aldo Conterno e innumerevoli altre aziende che non cito per ragioni di spazio, ha creato un indotto di enoturismo che in pochi anni ha trasformato le Langhe in una delle mete più ambite degli appassionati di vino di tutto il Mondo, al pari della Borgogna, della Napa Valley, della Champagne, della Mosella, ecc. L’impatto per chi, come me, riesce ad andarci ormai una volta a lustro, è chiaro e stupefacente: ormai una costruzione su due, anche nelle zone più remote, è un’aziende vinicola, o un agriturismo, o un ristorante o un bed and breakfast.
Le Langhe sono un territorio enologicamente importantissimo anche per la capacità di approfondire le proprie peculiarità, ed offrire così un panorama di vini e territori parcellizzato e bellissimo, con lo scopo di valorizzare (piuttosto che appiattire) le differenze territoriali e di esposizione.
Traduco per i meno avvezzi a questi discorsi.
Da secoli, nelle principali denominazioni rossiste francesi (Bordeaux e Borgogna in primis), si bevono vini appellati e riconosciuti per la zona di provenienza, ma anche per il comune di appartenenza se non addirittura per il singolo cru (o climat, come si chiamano in Borgogna).
Ecco quindi che, per parlare di un territorio spesso paragonato alle Langhe, abbiamo la denominazione regionale Bourgogne, le denominazioni territoriali Maconnais, Beaujolais, Côte d’Or (a sua volta divisa tra Côte de Nuits e Côte de Beaune), Côte Chalonnaise, ecc; e, all’interno di alcune di queste (soprattutto nella Cote d’Or) le denominazioni comunali più famose (ad esempio Chassagne-Montrachet, Aloxe-Corton, Pommard, Gevrey-Chambertin e molte altre).
In Borgogna in realtà non finisce qui, perché abbiamo anche la classificazione dei Premier Cru (microterritori particolarmente pregiati all’interno di una denominazione comunale, e sono 562) e dei Grand Cru (il vertice della piramide qualitativa dei vini Borgognoni, vale a dire singole vigne eccezionalmente vocate. I Grand Cru sono solo 34 e corrispondono alle famose bottiglie che solitamente spuntano prezzi a quattro cifre).
Prendendo spunto da questa classificazione certosina, per molti versi complessa, ma che ha di sicuro contribuito al blasone e al prestigio dei vini di Borgogna, anche nelle Langhe si è proceduto a catalogare le proprie zone, creando quelle che dal 2011 si chiamano MGA (si legge emmegia: Menzione Geografiche Aggiuntive).
Non mi fraintendere: le MGA non corrispondono né alle denominazioni comunali della Borgogna (o per lo meno non solo) e né tantomeno ai Premier o Grand Cru (una differenza sostanziale, infatti, tra la legislazione vinicola Francese e quella Italiana è appunto l’assenza di classificazione), ma sono semplicemente il nostro modo (inteso come Italiano) di fornire maggiori informazioni al consumatore.
Le MGA del Barolo sono 181 (tante? poche? non lo so, come hai già visto in Borgogna ce ne sono almeno 4 volte tanto) suddivise in due categorie: MGA comunali, vale a dire gli 11 comuni della denominazione; e le MGA sotto-comunali, che sono 170, e che equivalgono più o meno a quelli che in Francia chiamano Cru o Climat (con la differenza, permettimi di ripeterlo, che non ci sono classificazioni, vale a dire che una MGA non è più importante dell’altra, almeno da un punto di vista legislativo).
Scendendo quindi nello specifico, e arrivando a quello che interessa noi consumatori, dal 2011 possiamo trovare in vendita queste cinque tipologie di Barolo:
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Barolo: vino prodotto con uve nebbiolo in uno o più degli 11 comuni che appartengono alla denominazione, e che in etichetta riporta esclusivamente la dicitura “Barolo”. Rappresenta circa il 65% del vino Barolo prodotto.
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Barolo con MGA comunale: riporta in etichetta la dicitura “Barolo del comune di xyz”, ed è prodotto con uva tutta proveniente dallo stesso comune. E, sebbene all’interno di un comune esistono differenze sostanziali (soprattutto tra i vari versanti di esposizione), sono considerati Barolo didascalici delle caratteristiche di ogni comune (La Morra fa rima con armonia, Monforte con struttura, Serralunga con austerità, ecc.)
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Barolo con MGA sotto-comunale: riporta in etichetta una delle 170 MGA sotto-comunali individuate. Nomi come Brunate, Cannubi, Ginestra, Monvigliero, Sarmassa, Vignarionda sono conosciuti da decenni tra gli appassionati e corrispondono a cru di grande fascino e prestigio.
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Barolo con MGA sotto-comunale e Vigna: all’interno delle singole MGA, soprattutto di quelle più grosse, sono state individuate anche 66 Vigne (o Vigneto): singoli appezzamenti, quasi sempre di esclusiva proprietà di un’azienda sola, di particolare pregio o storicità. L’indicazione della Vigna va sempre associata alla MGA di appartenenza (a differenza invece della Borgogna, dove i Grand Cru non sono associati al comune). Abbiamo quindi, ad esempio, “Barolo Ginestra Vigna del Gris”. Spesso rappresentano la produzione di punto dell’azienda, ma non è automatico.
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Barolo Riserva e Barolo Riserva con MGA sotto-comunale ed eventualmente Vigna: tutte le quattro tipologie viste poc’anzi, se invecchiate minimo 62 mesi (l’invecchiamento del Barolo “normale” è di 38 mesi) possono aggiungere la dicitura “Riserva”. Invero è una tipologia sempre meno utilizzata (ad oggi solo il 6,5% del vino Barolo prodotto rivendica la dicitura Riserva), per le evidenti richieste del mercato di vini più immediati e attuali (per quanto un Barolo possa essere immediato).
Complicato? Difficile? Rimpiangi quando esistevano solo il barolo e il Barolo Riserva?
Può darsi, ma a parte il fatto che molto spesso tutte le definizioni che abbiamo appena visto apparivano in etichetta già da decenni, e semplicemente non erano normate, questa parcellizzazione così minuziosa e stratificata credo sia l’unica strada per permettere alle più grandi bottiglie di Barolo di competere, anche a livello “mentale” con le più blasonate etichette d’Oltralpe.
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