Coup de coeur e vini di casa nostra
Tre mesi abbondanti di lavoro, circa 3.000 km percorsi, 1.500 vini assaggiati, 80.000 caratteri scritti o corretti nelle 44 schede di mia competenza: anche quest’anno i lavori per la guida Slow Wine sono finalmente terminati, e di tutta questa enorme mole di dati mi rimangono impressi quelli che il Maestro (rigorosamente con la maiuscola) Luigi Veronelli chiamava i “coup de coeur”.
Vini che mi hanno impressionato, mi sono rimasti in testa e nel cuore; non necessariamente i più buoni delle rispettive categorie, men che meno quelli premiati da Slow Wine (che è e rimane un enorme lavoro di squadra, realizzato da più di 200 persone): semplicemente i vini che più mi hanno colpito quest’anno e dei quali, ovviamente, ho già fatto o farò imminentemente ampia scorta in cantina.
Iniziamo.
FRANCIACORTA BRUT S.A. 1701
Da quando “vivo” il mondo del vino ho sempre sentito ripetere, come un mantra, che “il vino buono si fa in vigna”. Ed io ho sempre ribattuto che no, l'uva buona si fa in vigna, il vino buono si fa in cantina partendo da un’uva buona. Questa etichetta ne è la dimostrazione.
Mi spiego. 1701 è stata la prima azienda della Franciacorta ad ottenere la certificazione biodinamica, e fare l’uva buona è sempre stato il suo obiettivo minimo, realizzato dal bravo agronomo Marco Benedini. Confesso che però nei primi anni di produzione non ero per niente un fan dei loro vini.
Poi ad un certo punto è arrivato in cantina Giulio Salti, orfano di quella breve ma intensa esperienza franciacortina denominata “La Rotonda” (mai sentita? Peccato, i vini erano davvero buonissimi), e le cose sono cambiate.
Il Brut “Senza Annata” (questo il significato della sigla s.a.) è un’interpretazione champagnista della tipologia, e per questo lo amo particolarmente. In un mare di “sans année” (altro modo di dire s.a.) tutti uguali a se stessi, figli di una sola annata (l’ultima disponibile, in gergo definiti millesimi non millesimati), che giocano la partita solo sulle note di acidità, freschezza, semplicità, linearità, Giulio ha il coraggio di proporre un “base” ottenuto da una percentuale consistente di vino di riserva conservato in legno (nellì’ultima versione siamo attorno al 33%). La bocca è quindi intensa e grintosa, il naso maturo e fruttato, con cenni boisée e tropicali. Il sorso è appagante, rotondo, avvolgente e lungo.
Forse “il” coup de coeur 2025.
ALTO MINCIO RONDINELLA LE MATTARELLE 2023 CANTINA GOZZI
Ci spostiamo a Monzambano, a sud del lago di Garda, ed incontriamo una storica cantina delle Colline Moreniche, che grazie alla nuova generazione guidata dai fratelli Emmanuel e Andrea Gozzi, sta cercando di sparigliare un po’ le carte.
E così, in una degustazione inondata di rossi muscolosi e caricaturali, a base di merlot e cabernet, arriva lui: chiaro chiaro che sembra quasi un rosato, fresco, delicatamente floreale ed erbaceo, asciutto e delicato, sapido e morbido.
First reaction: shock (cit. Matteo Renzi). Non riuscivo a capire se era una genialata o una vaccata. Poi, nei giorni seguenti, mi sono divertito a farlo assaggiare ad amici e colleghi molto più bravi di me, e ne ho avuto la conferma: tra chi lo scambiava per un Grignolino del Monferrato e chi per una Schiava altoatesina, erano tutti concordi: un vino bello, luminoso, coerente, succoso, attuale come non mai. Bravi
Andrea ed Emmanuel, a credere che la Rondinella, l’uva cenerentola dell’uvaggio dell’Amarone, potesse dire la sua anche da sola.
SAUVIGNON NEPIS 2022 IL TORCHIO
Altro vino che in degustazione cieca spariglia le carte e non sai se dargli 70 o 90. Poi scopri la bottiglia, leggi chi è e cos’è e allora cominci a rimettere insieme i pezzi del puzzle. Iniziamo dal vitigno: il Sauvignon Nepis è un Piwi, abbreviazione della parola tedesca “Pilzwiderstandsfähig” che significa “resistente ai funghi”, e si riferisce a quella grande famiglia di vitigni ottenuta incrociando piante di vite vinifera con altre tipologie di vite, al fine di ottenere nuove varietà che siano resistenti alle principali malattie funginee della vite, oidio e peronospora in primis.
La sua nascita è datata 2002, ad opera di ricercatori italiani dell’Università di Udine, che hanno incrociato Sauvignon Blanc e Bianca, una varietà a sua volta ottenuta incrociando Pinot Grigio e Muscat a grain nobles (tipico dell’Alsazia). La sua iscrizione al Registro Nazionale della Vite è invece del 2015 e da allora sono in corso sperimentazioni e prove di vinificazione.
L’azienda Vitivinicola e Orticola Il Torchio di Casalmaggiore ne propone una versione affinata in legno, e di sicuro è affascinante già nell’idea, visto che il Sauvignon Blanc di solito mal si presta a questa tecnica. Il risultato, anche in questo caso, mi ha dato da pensare, e questo per me è un grande pregio: quando avviene, vuol dire che una bottiglia ha qualcosa da dire. Le note terpeniche tipiche del sauvignon ci sono, ma virano su sbuffi tropicali e di frutta a polpa gialla, e il sorso è caparbio e consistente. Magari non un mostro di finezza, ma di sicuro un vino che non si dimentica facilmente.
Ecco raccontati i miei coup de coeur scoccati nelle degustazioni per la guida Slow Wine 2026, tutti rigorosamente lombardi (e uno anche Cremonese). E tu, amico mio lettore, amica mia paritaria, quali vini hai bevuto in questi mesi che ti hanno impressionato?
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