Ancora sulle etichette dei vini
In questo momento mi trovo all’estero in vacanza e, puntuali come le tasse, sono arrivati gli inviti a partecipare ad un paio di banchetti nuziali.
Se non hai mai partecipato ad un matrimonio ortodosso, non voglio certamente rovinarti la sorpresa. Sappi solo che i tempi sono molto dilatati, e il cibo servito non è sicuramente la cosa più importante della serata.
E così, tra una chiacchiera, un ballo e una foto, ci sono anche numerosi tempi morti, e in uno di questi, mi è capitata davanti agli occhi una bottiglia di vino locale che avevamo sulla nostra tavola, e ovviamente la mia deformazione professionale ha avuto la meglio.
Mi è venuta così la brillante idea di leggere l’etichetta (soprattutto la retro) e di inquadrare il qr-code che dovrebbe fornire le indicazioni circa gli ingredienti presenti e i valori nutrizionali.
Dico dovrebbe perché, come ben sai, in Italia la questione è ancora ben lungi dall’essere risolta. Ma su questo ci tornerò tra poco.
Ebbene: con mia grande sorpresa, il qr-code mi ha davvero rimandato alle informazioni che ti ho citato (e che puoi vedere nelle foto che scorrono di questo articolo)
Ti confesso che questa cosa mi ha fatto riflettere, e voglio condividere con te, amico mio lettore, amica mia paritaria, le mie riflessioni.
Prima però mi sembra doveroso un riassunto delle puntate precedenti.
Senza andare troppo indietro nel tempo, è dal 2011 che si parla di etichettature alimentari per il vino. In quell’anno, infatti, è entrato in vigore il Regolamento Europeo che obbliga l'indicazione in etichetta degli ingredienti e dei valori nutrizionali per gli alimenti confezionati. E, sempre lo stesso regolamento, esentava da tali obblighi le bevande alcoliche con grado superiore a 1,2°.
Ma già nel 2017 la Commissione Europea ha ripreso in mano la questione, ed è iniziato un tira e molla tra essa e le associazioni di categoria dei produttori vinicoli, per dipanare la questione, che ha portato nel dicembre 2021 all’emanazione di un Regolamento Europeo specifico per le bevande alcoliche, che ha individuato un periodo transitorio di due anni (quindi fino a dicembre 2023) per permettere ai produttori di adeguarsi.
E fin qui tutto chiaro. Ma noi siamo Italiani, e le deroghe sono insite nel nostro dna. E così a cavallo della scadenza, il nostro Governo ha richiesto altri 6 mesi di tempo per adeguarsi (come se due anni non fossero stati sufficienti) accampando la scusa di centinaia di milioni di etichette già stampate che altrimenti sarebbero andate al macero.
Inoltre, è stata richiesta (e ottenuta) la possibilità di attuare la cosiddetta “etichettatura elettronica”, vale a dire l’indicazione in etichetta di un codice (qr-code, a barre, ecc.) che rimandi ad un sito web dove trovare le informazioni obbligatorie (ingredienti e valori nutrizionali).
Infine, è stato emanato un decreto che permette la commercializzazione con le vecchie etichette (quindi senza qr-code con l’elenco ingredienti) per tutti i vini “finiti” prodotti entro il 7 dicembre 2023, cioè in pratica tutti quelli che oggi sono sul mercato.
Capisci adesso perché mi ha così stupito trovare facilmente l’elenco degli ingredienti di quel vino che avevo in tavolo durante il matrimonio dell’altra sera? Perché in Italia si è fatto e si sta facendo di tutto per impedire questa cosa.
È stata anche realizzata una profonda indagine, condotta da una società specializzata, nei dieci paesi con il numero più alto di consumatori di vino: Germania, Francia, Spagna, Italia, Regno Unito, Svezia, Russia, Giappone, Australia, e Stati Uniti. Sono state intervistate 11.533 persone rappresentative di oltre 260 milioni di consumatori di vino.
Gli obiettivi di questa indagine erano molteplici, ecco i più interessanti (per me):
● valutare la conoscenza e la percezione dei processi chimici della vinificazione;
● valutare l’impatto delle indicazioni della nuova etichettatura sulle intenzioni di acquisto;
● valutare quanti e quali ingredienti il consumatore è portato ad accettare.
I risultati di questa indagine sono ovviamente complessi, ma nel compendio mi sento di affermare che sono abbastanza sorprendenti.
Riassumendo molto rozzamente, è emerso che meno di un consumatore su cinque ha una percezione negativa degli additivi utilizzati in vinificazione. La maggior parte di essi sono semplicemente ignari o incerti della loro natura e della loro funzione. In buona sostanza, quattro consumatori su cinque non conoscono minimamente le basi chimiche e fisiche delle fermentazioni e della vinificazione, e pertanto non ne sono spaventati. Tutt’altro: se il consumatore fosse edotto ed informato circa il reale utilizzo e l’utilità degli additivi enologici, sempre secondo questa ricerca, sarebbe portato ad accettarli.
In altre parole: la trasparenza sarebbe la mossa più efficace per far superare la diffidenza o la percezione negativa circa l’impiego degli additivi enologici.
La domanda che sorge spontanea dopo questi risultati a questo punto è ovvia: ma allora perché in Italia (ma non solo) abbiamo tutta questa paura di informare i consumatori circa il reale contenuto di una bottiglia di vino?
Le risposte sono molteplici, e non tutte a favore del mondo del vino.
E’ evidente, ad esempio, che c’è uno storytelling sull'artigianato e sulla naturalità del vino che è totalmente da ripensare.
Inoltre, continuare a far credere al consumatore che il vino commerciale sia uguale al vino del contadino e, in buona sostanza, si faccia da sé senza l’ausilio di nessun additivo enologico, è controproducente oltre che falso.
E in tutta questa incertezza e confusione, gli unici a cantare vittoria sono probabilmente i cosiddetti produttori naturali, quelli che davvero non utilizzano nessuna sostanza esterna, oltre all’uva e un mezzo cucchiaino di metabisolfito di potassio, e che da tempo immemore chiedevano l’introduzione di questo Regolamento, affinché potessero comunicare al consumatore la tanto sbandierata naturalità dei loro vini.
Per concludere, quando finalmente tutte le bottiglie di vino sul mercato Italiano daranno la possibilità al consumatore di sapere gli ingredienti che le compongono, ammesso che il consumatore vorrà informarsi, cambierà qualcosa nel consumo del vino in Italia?
Chi vivrà vedrà, dice un vecchio adagio, ma se dovessi scommettere un euro bucato, punterei sul fatto che, come quasi sempre succede, il diavolo non è mai così brutto come lo si dipinge, e chi ha sempre lavorato con serietà e competenza continuerà ad essere scelto e bevuto.
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