Dopo decenni di tentativi, l’Oltrepò Pavese si è dato finalmente un nome. Il metodo classico diventa Classese. Una scelta semplice, forse tardiva, ma giusta. E anche un po’ coraggiosa
Il nuovo cda del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese sta lavorando davvero. La Presidente Francesca Seralvo (Tenuta Mazzolino), coadiuvata dal nuovo Direttore Riccardo Binda (mio ex collega di Slow Wine, agli albori della guida, 17 anni fa) e da tutti i consiglieri, in poco più di un anno ha già assestato un paio di colpi da campione.
Il primo, che non ci interessa in questo articolo, è la modifica delle quote di rappresentanza delle varie anime del Consorzio (viticoltori, vinificatori, imbottigliatori) che, di fatto hanno tolto il potere nelle mani dei grandi soggetti imbottigliatori e delle Cantine Sociali, che sono sempre state un freno al progresso e all’affermazione nei mercati di alta fascia dei vini di questo territorio.
Il secondo, sul quale voglio invece soffermarmi in queste righe, riguarda finalmente l’approvazione del nuovo disciplinare di produzione degli spumanti metodo classico dell’Oltrepò Pavese, che hanno finalmente una loro nomenclatura univoca.
Ma andiamo con ordine.
Quando ho iniziato a degustare per Slow Food, nel lontano 2007, la prima zona di cui mi sono occupato è stata proprio l’Oltrepò, che già conoscevo per i viaggi che vi facevo da bambino accompagnando mio padre nel suo girovagare alla scoperta delle cantine migliori (mio papà, da buon milanese, ha sempre considerato l’Oltrepò il non plus ultra lombardo).
Ed è stato proprio in quegli anni che Alberto Panont, allora Direttore del Consorzio Oltrepò, crea il progetto Cruasé.
La premessa era semplice: analizzando il mercato Italiano, era balzato agli occhi che vi era (e il paradosso è che vi è ancora) una tipologia di vino che non aveva un leader di mercato, vale a dire un prodotto e soprattutto un territorio, riconosciuto come riferimento in Italia. Questo prodotto era lo spumante metodo classico rosato.
Prova a pensarci, amico mio lettore, amica mia paritaria: se dico vino bianco aromatico è probabile che il primo nome che ti viene in mente è Gewurztraminer; se dico vino rosso frizzante quasi sicuramente esclamerai Lambrusco; se dico vino dolce penserai al Moscato o a Pantelleria, ecc. Ma se dico “spumante rosè (o rosa, o rosato)” a cosa pensi?
Esatto: a niente in particolare. Ecco allora che Panont, con una delle sue intuizioni che ne hanno caratterizzato la lunga carriera (è stato l’ideatore anche dello Sforzato in Valtellina e del Satèn in Franciacorta, giusto per citare due sue scommesse, queste si vinte), ha pensato che l’Oltrepò Pavese, forte di essere la zona italiana con la maggior estensione di pinot nero, potesse occupare quella casella, con un prodotto unico denominato, appunto, Cruasè.
Sulla carta tutto bello, ma poi come spesso accade, tra il dire e il fare c’è di mezzo la diffidenza e lo scetticismo dei produttori, che in fondo in fondo in quel progetto non ci hanno mai creduto veramente.
Succede così che, tre anni dopo l’approvazione del disciplinare (datata 2009), quando le prime bottiglie di Cruasé dovrebbero essere pronte ad “invadere” il mercato, si scopre che in totale, fra tutte le oltre 160 aziende iscritte al consorzio, ci sono sui lieviti si e no 20.000 bottiglie, quantità che non è sufficiente neppure a rifornire i locali situati attorno al Naviglio Grande di Milano.
Ecco spiegato il perché, a distanza di oltre 15 anni dalla sua approvazione, il Cruasé è un vino che ancora non ha occupato quella famosa casella di punto di riferimento Italiano degli spumanti rosati, cosa che peraltro sarebbe ancora in grado di fare, se solo ci si credesse un po’ di più.
Mi accorgo ora di aver completamente deviato l’argomento però (ti sarai accorto che la “ferita” del mancato successo del Cruasé è ancora aperta anche per me, che in quel progetto ci ho creduto davvero tanto), e ritorno quindi subito sulla retta via.
Dicevamo che l’attuale cda del Consorzio Oltrepò ha messo finalmente la parola fine all’annosa questione delle spumante metodo classico prodotto in questo territorio.
Territorio che, per inciso, ha visto la nascita dello spumante metodo classico Italiano, ad opera di due giganti del vino che rispondono al nome di Carlo Gancia (tecnico Piemontese) e Carlo Giorgi di Vistarino, proprietario dell’omonima tenuta in quel di Rocca de’ Giorgi, nelle cui cantine si narra appunto sia stato prodotto il primo spumante Italiano metodo “champenoise” (allora si poteva chiamarlo così) a base pinot nero, nel lontano 1865.
Ora, che sia vero o no poco importa, ciò che importa è che l’Oltrepò avrebbe tutti numeri (leggi ettari vitati) per diventare un punto di riferimento nazionale nella produzione di vini spumanti metodo classico, ma la realtà è cho oggi ne sforna poco meno di 2 milioni di bottiglie annue (contro le 20 della Franciacorta e le 10 del Trento, giusto per dare due numeri).
I motivi sono talmente tanti e ingarbugliati che potremmo parlarne per giorni (e in parte lo abbiamo già fatto in questa rubrica in passato). Quello che mi preme sottolineare, e che potrà sembrare sciocco, è che spesso il successo di un prodotto dipende molto anche dal nome.
E onestamente, in 42 anni di ristorazione, non ho mai sentito nessun cliente ordinarmi un “Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero” (questo era il nome, fino a ieri, dello spumante dell’Oltrepò).
Molto più semplice, veloce, e memorabile (cioè da fissare nella memoria) dire Champagne, Franciacorta, Trento, addirittura Cava. Una singola parola che racchiude tutto: zona, metodo, uve, tipologia.
Arrivo finalmente al punto: l’attuale Consorzio è riuscito nell’intento che non riuscì 40 anni fa (la nascita ufficiale di questo nome pare sia nel 1984), e a trasformare lo spumante dell’Oltrepò Pavese in quell’unica parola: Classese.
Bella, brutta? Non lo so, e francamente neanche mi importa.
Certo è che il mio sogno, neanche tanto celato, è che un giorno entri un cliente e mi dica: “mi porti una bottiglia di Classese!”, con lo stesso entusiasmo con cui mi viene chiesta una bottiglia di Franciacorta o di Champagne.
In fin dei conti, se vale il ragionamento che dicevo prima sul Cruasé, se ci pensiamo bene anche la casella dello spumante bianco metodo classico a base di pinot nero, in Italia non ha ancora un suo leader.
Sarò sincero: io sarei davvero felicissimo se questa occasione non si rivelasse l'ennesimo treno che l’Oltrepò Pavese ha visto passare e non ha avuto il coraggio di prendere.
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