25 luglio 2024

Passato, presente e futuro del Lambrusco Mantovano

Oggi ti voglio raccontare, amico mio lettore, amica mia paritaria, del mio ultimo viaggio in uno dei territori vinicoli più vicino a noi Cremonesi.

Prima però è necessaria una premessa.
È indubbio che se ti chiedessi di dirmi il primo vino rosso frizzante che ti viene in mente, probabilmente mi risponderesti Lambrusco.

Forte dei suoi volumi (si parla di circa 400 milioni di bottiglie, il che lo rendono il vino rosso più prodotto in Italia e, di conseguenza, il vino rosso Italiano più esportato all’estero) il Lambrusco si è guadagnato il titolo di riferimento indiscusso per quanto riguarda la tipologia di vino chiamata rosso frizzante.

Tipologia che è e rimane una prerogativa delle terre limitrofe al Grande Fiume, sulle cui sponde si affacciano appunto le province e le zone di produzione dei Lambruschi.

Scrivo Lambruschi perché, com’è noto, non esiste un solo Lambrusco (e quindi di conseguenza una sola zona di produzione) ma bensì tanti Lambruschi, differenti per vitigno utilizzato, territorio di elezione e caratteristiche organolettiche e gustative.

Brevemente, i tre più conosciuti oggi sono:

  • -  Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, noto per il suo corpo e la sua struttura, nonché il suo colore rosso intenso e i tannini marcati, che offrono sentori di frutta rossa matura e spezie. È tendenzialmente asciutto, ed ha il suo territorio di origine (e di elezione) in provincia di Modena attorno all’abitato di Castelvetro, comune posto al di sotto dello spartiacque geografico formato dall’autostrada A1, alle pendici della zona collinare dell’Appennino Tosco-Emiliano.

  • -  Lambrusco di Sorbara, considerato uno dei più eleganti e raffinati. Ha un colore rosso rubino chiaro, quasi rosato, e un bouquet floreale che ricorda la viola e la rosa. Il suo sapore è fresco, secco, con una buona acidità, che lo rende perfetto anche per la spumantizzazione metodo classico, tipologia negli ultimi anni sempre più in voga. La sua zona di origine è Sorbara, frazione del comune di Bomporto, sempre in provincia di Modena, ma questa volta sopra l’autostrada A4, in piena Pianura Padana. Ai degustatori (me compreso) è il Lambrusco che piace di più; anche se dalle nostre parti è quasi assente, e gli viene preferito di gran lunga il Lambrusco scuro.

  • -  Il terzo lambrusco più diffuso (ma staccato di un bel pezzo dai precedenti due) è il Lambrusco Salamino di Santa Croce, che prende il nome dalla forma dell'uva che ricorda un piccolo salame. Questo Lambrusco ha un colore rosso rubino vivace e un gusto fruttato, con note di ciliegia e mora. È equilibrato e versatile, perfetto per una vasta gamma di abbinamenti, dai primi piatti della tradizione emiliana fino alla pizza. La sua terra d’elezione è sempre in provincia di Modena, ma nella parte più nord-occidentale, al confine con la provincia di Mantova.

     

 

E proprio in provincia di Mantova si è svolto il mio ultimo viaggio, e più specificatamente nei territori di produzione del Lambrusco Mantovano, che sebbene tra noi Cremonesi sia il più conosciuto e diffuso, occupa il non invidiabile ruolo di “Cenerentola” dei Lambruschi.

Questi territori corrono, orientativamente, in linea longitudinale da Sabbioneta fino a Sermide, e sono caratterizzati al suo interno dall’attraversamento a zig-zag del fiume Po (oltre che alla vicinanza dei fiumi Oglio e Secchia), che suddivide la zona di produzione del Lambrusco in due sottozone distinte dal disciplinare (Viadanese-Sabbionetano e Oltre Po Mantovano), ma che in realtà hanno più punti in comune di quanto non sembri.

 

Il primo, e più significativo, è l’uva principale utilizzata per la produzione del Lambrusco, che è il Viadanese-Sabbionetano, che nell’Oltre Po prende invece il nome di grappello Ruberti, da Ugo Ruberti, studioso Viadanese che ne favorì la propagazione e la diffusione in tutto il territorio.

E proprio qui esiste ancora oggi una gran confusione e una forte diatriba, tra chi considera queste due uve differenti, forti anche dello studio di importanti professionalità, come l’agronomo Attilio Scienza: e chi invece assicura che siano geneticamente lo stesso vitigno (come sembrano dimostrare gli esami al dna delle due varietà) che ha semplicemente subito alcune mutazioni morfologiche (e di conseguenza anche produttive) dovute all’acclimatamento nelle diverse zone di produzione.

C’è poi anche la questione geografica, con l’immaginario collettivo che colloca l’Oltre Po Mantovano più a sud del Viadanese, quando in realtà non è così e, ad esempio, Viadana è molto più a sud di quasi tutti i comuni dell’Oltre Po, mentre Villimpenta (che è a sinistra del Po) è più a Nord.

Insomma: la zona di produzione del Lambrusco Mantovano è chiaramente particolare e di non facile lettura, caratteristica comune a tutte le zone di confine (non dimentichiamo che, ad esempio, partendo dall’importante polo produttivo di Poggio Rusco, percorrendo una manciata di chilometri, ci possiamo trovare nelle provincie di Modena, Reggio Emilia, Rovigo e Verona), e la sua storia ne è un esempio lampante.

La storia del Lambrusco Mantovano è infatti contraddistinta da una produzione storicamente di massa, appannaggio delle grandi cantine sociali e di grandi aziende imbottigliatrici. Tuttavia oggi questo mondo sta piano piano implodendo, complici le contrazioni dei consumi e le nuove abitudini alimentari, per cui, ad esempio, le Cantine Sociali che prima caratterizzavano pressoché ogni comune si stanno riunendo, (quando non addirittura chiudono) e ad oggi ne sono rimaste praticamente tre (Gonzaga, Quistello e Viadana), anche se si vocifera che non godano di ottima salute e che l’incorporazione al gigante Cantina di Carpi e Sorbara sia solo questione di tempo.

Accanto alle grandi Cantine Sociali esiste un gruppo di commercianti-imbottigliatori che da sempre primeggia in zona. Sto parlando dei vari Lebovitz, Virgili, Giubertoni e del cremonesissimo Quirico Decordi; tutte aziende che muovono volumi importanti e detengono significative quote di mercato.

Infine, e sono naturalmente queste le realtà oggi più interessanti, troviamo un minuscolo gruppo di piccoli produttori privati che sta cercando di portare il Lambrusco Mantovano verso una nuova era, fatta di riconoscibilità (soprattutto grazie alla già citata uva Ruberti), zero residuo zuccherino (in passato il Lambrusco Mantovano è sempre stato riconosciuto, ed invero anche apprezzato, per la componente zuccherina), ritorno alla rifermentazione in bottiglia (quasi tutti i grandi player del mercato utilizzano il metodo charmat).

I nomi di questi coraggiosi vignaioli rispondono a Bugno Martino (San Benedetto Po), Fondo Bozzole (Poggio Rusco), Villa Picta (Villimpenta), Corte Viazza (Suzzara) e pochi altri.

Al loro coraggio, alla loro volontà di presentare al mercato un'interpretazione diversa, e per certi versi diametralmente opposta, di Lambrusco Mantovano, rispetto a quello prodotto dalle grandi realtà, sia cooperative che private, va tutto il mio incoraggiamento e appoggio.

Andrea Fontana


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commenti


Franco

25 luglio 2024 06:17

Grande Andrea!!