21 ottobre 2024

L'Oltrepò Pavese, terra di grandi vini e contraddizioni

75 articoli, 164 pagine, due anni e mezzo di tempo e oltre 350.000 caratteri spesi a parlare della viticoltura che circonda la provincia di Cremona (e più in generale la Lombardia), e ancora non ti ho parlato del polo produttivo, più grande, storico e intricato che esiste nella nostra regione: l’Oltrepò Pavese, che ho definito nel titolo terra di grandi vini e altrettante contraddizioni.

Cerco subito di rimediare a questo peccato imperdonabile, conscio che per raccontare la viticoltura oltrepadana servirebbero probabilmente una dozzina di tomi della più voluminosa enciclopedia che ti può passare per la mente.

La storia del vino in Oltrepò Pavese è antichissima, addirittura si narra inizi pochi anni dopo la nascita di Cristo, quando tale Strabone, console romano, nell’anno 20 d.c. parla di <<vino buono, popolo ospitale e botti in legno molto grandi>>.

Il territorio, poi, è vastissimo, oltre 13.500 ettari vitati, che lo rendono la terza denominazione più grande d’Italia e di gran lunga la più estesa della Lombardia.

Date queste caratteristiche, in Oltrepò si può trovare, letteralmente, di tutto. E questo è sempre stato assieme la sua forza ma anche la sua debolezza.

Partendo dagli spumanti, l’Oltrepò è la culla del metodo classico Italiano, che pare veda uscire dalle cantine del conte Carlo Giorgi di Vistarino in quel di Pietra deì Giorgi le prime bottiglie di pinot nero metodo champenoise (all’epoca si chiava così), realizzate in collaborazione con il tecnico Piemontese Carlo Gancia. Da allora di acqua ne è passata tanta sotto i ponti, e lo spumante oltrepadano ha alternato momenti di grande euforia e successo (si pensi, per esempio, al Testarossa della Cantina La Versa o agli spumanti di Domenico Mazza e la sua Montelio in quel di Codevilla) a momenti di puro oblio, soprattutto a causa degli scandali che hanno coinvolto spesso le grandi cantine sociali, fautrici, tra l’altro, anche del successo commerciale degli spumanti da pinot nero metodo Charmat, che hanno, di fatto, affossato per diversi decenni il mercato spumantistico dell’Oltrepò.

E così oggi, a fronte del successo commerciale e produttivo della Franciacorta (18 milioni di bottiglie) e del Trentodoc (13 milioni), in Oltrepò si supera a malapena il mezzo milione di bottiglie di metodo classico, al netto degli oltre 3.000 ettari di pinot nero, che potrebbero tranquillamente generarne 25 volte tanto.

Venendo ai vini bianchi, da tempo l’attenzione dei produttori è rivolta verso il riesling Renano, che qui in Oltrepò coesiste con il riesling Italico (nessuna parentela tra i due), generando spesso confusione e poca riconoscibilità, producendo un vino che assomma due varietà invero parecchio differenti e, a parere di chi scrive, anche poco affini. Ma tutto sommato è un peccato sul quale si può anche chiudere un occhio, soprattutto se si pensa che fino a pochi anni fa, parlare di vino bianco in Oltrepò significava fare riferimento ad un dozzinale pinot nero vinificato in bianco frizzante, onnipresente in ogni pizzeria d’Italia. Venendo alle altre uve bianche, significativa e storica è anche la presenza di Pinot Grigio (altro vino dal dubbio potenziale), di Moscato (utilizzato per produrre vino dolce) e Cortese, la stessa uva del Gavi, che copre una buona fetta della parte più occidentale dell’Oltrepò, quella che fino all’unità d’Italia apparteneva al regno di Sardegna e che viene spesso definita come “Vecchio Piemonte”, e che con il Piemonte condivide quindi anche parecchi vitigni. Naturalmente non mancano gli internazionali, a partire dall’onnipresente Chardonnay, passando per il Sauvignon e arrivando infine al Muller Thurgau.

Rivolgendo il nostro sguardo ai vini rossi, i nomi da fare sono tanti. Il vitigno principe Oltrepadano è da sempre la Croatina, chiamata anche erroneamente Bonarda (da un punto di vista ampelografico, il vitigno Bonarda è quello Piemontese, tipico dell’Alto Novarese), che genera il diffusissimo e omonimo vino frizzante. Vino che è da sempre croce e delizia del territorio, tanto personale e distintivo quanto, purtroppo, vittima di politiche produttive scellerate, che lo vedono da sempre al vertice della non invidiabile classifica dei vini Italiani in bottiglia dal prezzo più basso (una bottiglia di bonarda frizzante si può trovare sovente sugli scaffali dei discount a meno di un euro). Ma anche in questo caso qualcosa sta finalmente cambiando e la croatina, in uvaggio con Barbera e altri vitigni minori (VespolinaUva Rara, ecc.) è alla base del Buttafuoco, vino che nella versione Storico sta attraversando un periodo di grande apprezzamento, sia della critica enologica che del mercato.

Con un estensione all’incirca simile alla croatina (3.000 ettari) come già detto troviamo il Pinot Nero, che oltre agli spumanti genera anche molte versioni in rosso, alcune delle quali negli ultimi anni particolarmente apprezzate dal mercato. I Pinot Nero dell’Oltrepò, rispetto ai cugini d’Oltralpe, ma anche a quelli prodotti in Trentino e Alto Adige, hanno sicuramente un carattere più caldo e maturo, e generano vini più alcolici, ampi e strutturati; caratteristiche, spesso, amplificate dalle vinificazioni, che hanno sempre privilegiato il legno e le lunghe macerazioni. Chiudiamo l’elenco dei vini rossi oltrepadani con i soliti Cabernet SauvignonMerlot e Syrah, presenti in qualche decina di ettari e sempre più marginali.

Questo e molto altro si potrebbe ancora dire di un territorio così ampio e di altrettanto fascino, in cui coesistono grandissime realtà cooperative, enormi imbottigliatori ma anche tanti, tantissimi piccoli vigneron, attaccati alla propria terra e alle proprie origini, che in molti casi stanno affrontando il difficile passaggio generazionale, nella speranza di far capire ai giovani d’oggi che “in futuro non mangeremo computer” (cit. Carlin Petrini, fondatore di Slow Food), e che la terra è ancora oggi uno dei beni più preziosi, che abbiamo il dovere di proteggere e salvaguardare.

Andrea Fontana


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commenti


Patrizia Signorini

21 ottobre 2024 13:02

Mio padre fu il primo rappresentante della Cantina La Versa, nel 1961 presieduta dal Duca Denari, uomo colto, brillante, lungimirante a cui l'Oltrepo' deve moltissimo se non tutto. Fino alla fine degli anni '80 il Pinot La Versa era lo spumante per eccellenza, il prosecco da noi non esisteva e dire "pinottino" era sinonimo esaustivo della categoria bollicine. Poi il crollo della Cantina Socialeper mala gestio negli anni 90 scatenò un effetto domino inarrestabile, rivelando la debolezza del territorio sotto il profilo delle capacità imprenditoriali necessarie a valorizzarne il capitale viticolo straordinario. Oggi finalmente ci sono eccellenti segnali di risveglio e finalmente il Pinot Nero può contare su interpreti capaci di rendere onore a una denominazione tanto importante quanto troppo a lungo trascurata.
Ero bambina quando il Duca Denari mi mostrava con orgoglio le sue colline e la infinita teoria di bottiglie a Metodo allineate nella grandissima Cantina: dopo tante delusioni, oggi può iniziare a credere nel rifiorire della sua gente e della sua terra.