Vini dealcolati e nuovo Cds: moriremo astemi?
La fine del 2024 e l’inizio del nuovo anno non saranno sicuramente tra i momenti da ricordare per gli amanti della bevanda di Bacco (quali il sottoscritto), che stanno assistendo ad una crociata contro l’alcol e ad una rivoluzione dei consumi che probabilmente non ha eguali nella storia Italiana.
I principali protagonisti delle cronache legate al mondo del vino, infatti, da qualche mese a questa parte, non sono le previsioni sulla qualità dell’annata 2024 o l’annuncio entusiastico di qualche nuova fiera vinicola, come dovrebbe essere; ma piuttosto l’emanazione del decreto del Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida sulla produzione dei vini dealcolati o la promulgazione del nuovo Codice della Strada da parte del Ministro dei Trasporti Salvini.
Due fattori che pongono più ombre che luci sul futuro del vino in Italia, che non appare per niente roseo, tutt’altro.
Ma cerchiamo di capire meglio di cosa sto parlando.
Il vino dealcolato parrebbe essere la risposta dei produttori alla crescente crisi dei consumi che attanaglia tutto il comparto vinicolo mondiale.
I motivi di questo calo dei consumi sono molteplici, e ne ho già ampiamente parlato in un altro pezzo dedicato ai vini rossi (leggi qui).
Alla luce di questo calo di consumi, e del disinnamoramento della generazione Z nei confronti dei vini tradizionali, una delle risposte pensate dai produttori vinicoli di tutto il Mondo è quella di introdurre sul mercato vini che abbiano poco, se non proprio nullo, contenuto di alcol.
Una scelta tutt’altro che semplice, sia da un punto di vista produttivo sia legislativo, che ha obbligato ad esempio i governi di mezzo Mondo ad adeguare in fretta e furia le proprie normative nazionali in tal senso (l’Italia, come già detto, è arrivata ampiamente ultima, introducendo la possibilità di produrre vini dealcolati solo dal 1 gennaio di quest’anno).
Senza scendere troppo nel tecnico e nel dettaglio, il DL Lollobrigida prevede la possibilità anche in Italia di produrre vini dealcolati (che raggiungono al massimo 0,5° alcolici) o parzialmente dealcolati (che hanno tra gli 0,5° e gli 8,5°). E, cosa fondamentale, esclude da queste tipologie tutti i vini a denominazione (DOC e DOCG), Indicazioni Geografiche comprese (e qui invece c’è una forte pressione da parte di alcuni produttori).
Parlando brevemente di come si ottiene un vino dealcolato, il principio che è alla base di questa tecnica è lo stesso che regola la distillazione: sfruttare la diversa temperatura di ebollizione dell’alcol (78,4°) rispetto all’acqua (100°) per separare questi due elementi. Ma chiaramente non si può riscaldare un vino fino a 78.4°, perché otterremmo una bevanda imbevibile, che perderebbe tutta la sua cosiddetta palatabilità (cioè la piacevolezza al palato).
Ecco allora che le tecniche più utilizzate sono la distillazione sottovuoto e l’osmosi inversa.
“La distillazione sottovuoto è un processo in due fasi che prevede il trasferimento del vino attraverso una colonna di distillazione a una temperatura di 30 °C per estrarre delicatamente i composti altamente volatili; questo processo viene poi ripetuto per rimuovere l'alcol (che in atmosfera sottovuoto riesce appunto ad evaporare ad una temperatura così bassa, ndr.). Sebbene veloce ed economica, questa tecnica non garantisce la massima qualità poiché alcuni composti attivi a livello aromatico evaporano
con l'alcol. Per mitigare tale effetto, si può adottare l'impiego di una centrifuga operante sottovuoto per rimuovere i composti aromatici prima della distillazione e successivamente reintegrarli al vino una volta completata l'operazione.
Un concetto simile è impiegato nell'osmosi inversa, dove, attraverso una membrana, i composti aromatici e fenolici vengono filtrati prima di rimuovere l'alcol per distillazione e successivamente reintegrati. Aggiustare il dosaggio degli zuccheri e l'acidità del prodotto permette di ottenere una sensazione avvolgente simile a quella conferita dall'alcool.” (fonte: fondazioneveronesi.it)
Ci hai capito poco, amico mio lettore, amica mia paritaria? Anch’io, ed ho imparato che quando una cosa non è facile da capire significa che non è neanche facile da giustificare.
Ma proseguiamo nella nostra triste disamina.
Non bastassero i vini analcolici a farci venire il mal di testa, ci si mette anche la politica con l’introduzione del nuovo Codice della Strada, che sta facendo gridare allo scandalo e alla rovina tutte le associazioni di categoria legate al mondo del vino: produttori, distributori, esercenti, commercianti, e non ultimi i consumatori.
Ora: confesso di non aver approfondito più del dovuto la questione, ma una cosa mi sembra chiara. Da un punto di vista dei limiti di alcol consentiti per mettersi alla guida, di fatto non è cambiato nulla.
Certo: si sono inasprite le pene (Cesare Beccaria, questo sconosciuto...); certo: il rischio di finire nel penale adesso è maggiore; ma 0,5 gr era il livello massimo di alcol consentito prima e 0,5 è anche adesso (mentre in molta parte del Mondo Occidentale il limite di legge è 0).
Eppure da un punto di vista mediatico si sta gridando alla rivoluzione e la paura di essere sorpresi sopra il limite di legge in questi giorni è decisamente fobica.
Questi due elementi, insospettabilmente collegati temporalmente tra di loro, stanno mettendo in crisi un mondo, quello del vino di qualità, già fortemente debilitato da un 2024 che passerà alla storia come uno degli anni peggiori da diversi lustri a questa parte (ma quando finirà la maledizione dell’anno bisesto, anno funesto? Non c’è bisogno che ricordi cos’è successo nel 2020, vero?).
Dal canto mio non posso che ripetere le solite, ovvie, considerazioni: bevi meno, bevi di qualità, bevi per il gusto di scoprire e conoscere storie e tradizioni; non bere se devi guidare. Nella speranza che in futuro le cose cambino e che, parafrasando un Maestro inarrivabile, non saremo obbligati a morire astemi.
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