4 novembre 2022

Autoctoni e alloctoni: facciamo chiarezza (64)

Un paio di settimane fa ti ho raccontato, amico mio lettore, amica mia paritaria, di come nascono e si riproducono i vari tipi di vitigni esistenti (Barbera, Nebbiolo, Chardonnay, ecc.).

Oggi vorrei approfondire la questione ed illustrarti brevemente la differenza tra vitigni autoctoni e vitigni alloctoni o internazionali.

In questi ultimi decenni, infatti, si è fatto un gran parlare, a volte anche a sproposito, dei vitigni autoctoni come degli ultimi baluardi a difesa della biodiversità di una determinata area, o ancora come degli “indiani da rinchiudere nelle riserve” e salvaguardare ad ogni costo. Cerchiamo allora di capire bene di cosa stiamo parlando e perché.

Che cos’è un vitigno autoctono?

L’aggettivo autoctono è di origine greca, e significa nativo. Un vitigno autoctono è quindi quello coltivato nel territorio in cui è nato. Ma questa è una condizione praticamente impossibile da verificare e quindi da mettere in pratica.

Il concetto di autoctono deve quindi avere necessariamente una accezione più ampia.

Di norma, si considera autoctono un vitigno la cui presenza in una determinata zona è antica, vuoi per attestazioni scritte, vuoi per le testimonianze orali, vuoi perché non esistono prove concrete di una sua importazione dall’esterno. E in questo senso alcuni studiosi suggeriscono quindi come più corretto il termine vitigno antico piuttosto che autoctono.

Il problema è determinare quanto questa presenza deve essere antica.

Per esempio, ben prima della ricostruzione post-fillossera (databile all’incirca tra il 1900 e il 1930), praticamente tutti quelli che oggi comunemente definiamo “vitigni internazionali” erano già presenti sul territorio italiano: lo Chardonnay in Piemonte, il Sauvignon in Friuli, e il Cabernet in Veneto e nel Piacentino, il Pinot Nero nell’Oltrepo, ecc.

È quindi necessario risalire a un tempo più lontano per poter considerare un vitigno autoctono o antico.

Ecco quindi che, nel definire un vitigno come autoctono, e nello specifico autoctono italiano, ci si riferisce a quei vitigni coltivati esclusivamente sul territorio italiano, oppure a quei vitigni che anche se coltivati in altri paesi (spesso con un nome differente), sono presenti da tempo immemore sul territorio italiano, e non vi è memoria scritta o orale di una loro importazione dall’esterno (è il caso, per esempio, del Cannonao, che sappiamo chiamarsi Garnacha in Spagna e Grenache in Francia, ecc.).

Chiariti quali sono i vitigni autoctoni, possiamo allora definire i vitigni internazionali, che possiamo sommariamente definire quei vitigni che, grazie allo loro grande adattabilità ambientale e colturale, vengono allevati in molte nazioni ed hanno quindi varcato il loro territorio di origine.

Ma perché è avvenuta questa “colonizzazione” da parte di questi vitigni? E quali sono questi vitigni?

Partiamo dalla seconda domanda: i cosiddetti vitigni internazionali sono principalmente sei/sette: Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero, Syrah, Chardonnay, Sauvignon.

Veniamo invece alla prima: come abbiamo già accennato in passato, all’indomani dell’epidemia di fillossera, il reimpianto dei vigneti europei fu effettuato tenendo maggiormente conto delle problematiche di natura economica, quali garanzia di produttività, garanzia di perfetta compatibilità tra radice di vite americana e pianta di vite vinifera, ecc.

Questo ovviamente favorì notevolmente i vitigni maggiormente adattabili ai vari tipi di terreni e climi, che per questo si propagarono rapidamente in tutta Europa.

Inoltre lo stesso principio fu alla base della scelta delle uve da portare nei vari Paesi di destinazione dagli emigranti europei: Nord America, Sud America, Australia, ecc.

Tutto questo ha portato all'enorme diffusione di alcuni vitigni particolarmente adattabili che, se da un lato hanno il pregio di aver favorito e incentivato lo sviluppo della viticoltura in zone fino ad allora poco sfruttate, dall’altro hanno il difetto di aver omologato il gusto di numerosissimo prodotti.

Come dicevo in apertura di articolo, oggigiorno si assiste ad un ritorno sempre più convinto verso i vitigni autoctoni delle varie zone (dove ce ne sono, è ovvio), ma dobbiamo stare attenti a non demonizzare eccessivamente i vitigni internazionali, che offrono etichette di grande respiro e qualità anche in molte zone vinicole Italiane (una su tutte: Bolgheri) e che di certo non sono il male assoluto.

Andrea Fontana


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