5 novembre 2021

C'era una volta il Novello (26)

Se avessi scritto questo pezzo dieci anni fa, avrei esordito con: domani è il grande giorno. Fino al 2011, infatti, il 6 novembre coincideva con l’immissione sul mercato del Vino Novello. Dall’annata successiva, invece, questa data è stata anticipata al 30 ottobre, e quindi anche se in ritardo, mi sembra giusto raccontare cos’è (o forse, visto l’oblìo sempre più irreversibile che sta attraversando, sarebbe più giusto dire “cos’era”) il Vino Novello.

Il vino novello nasce in Francia, più precisamente nella regione del Beaujolais, attorno al 1968, e riscuote subito un grandissimo successo commerciale. Sull'onda di questo, anche in Italia si comincia a produrre vino novello a partire dalla fine degli anni ‘70, con una sostanziale differenza.

In Francia, il Beaujolais Nouveau, oltre ad essere un prodotto molto circoscritto (si ottiene solo da uve Gamay e solo, appunto, nella regione del Beaujolais) è vinificato interamente con il sistema della macerazione carbonica. Cos’è questa tecnica, che poi è la grande discriminante tra i vini normali e i vini novelli? Spiegata rozzamente (e anche imprecisamente), si tratta di inserire il grappolo intero in particolari autoclavi a tenuta stagna, dove viene “pompata” anidride carbonica, che per effetto della pressione rompe gli acini, mettendo a contatto gli zuccheri dell’uva con i lieviti della buccia e soprattutto la CO2 che satura l’ambiente, favorendo così la “fermentazione alcolica intracellulare”.

Detto in parole povere: si ottiene un vino in pochissimi giorni (il limite di legge, in Italia, è di minimo 10 giorni), con caratteristiche di frutto, freschezza e alcolicità moderata. Il rovescio della medaglia è che, allo stesso modo in cui il vino si ottiene in pochissimi giorni, ha altrettanto pochissima vita, tanto che di consuetudine andrebbe consumato prima dell’estate.

Ma la sostanziale differenza di cui accennavo prima, tra il Beaujolais Nouveau e il Vino Novello italiano, è che in Francia la tecnica della macerazione carbonica viene impiegata per tutto il vino nuovo, mentre in Italia è sufficiente che vi sia solo il 40% per poterlo definire Novello.

I numeri del fenomeno Novello, però, come dicevo in apertura, sono impietosi: i gloriosi baccanali con Novello e Castagne che affollavano i locali, le piazze e le feste di pressoché tutti i paesi d’Italia negli anni ‘90, sono soltanto un lontano ricordo. Il suo successo è stato tanto repentino quanto effimero, e la sua produzione ne è lo specchio fedele. Se nel finire del secolo scorso il Vino Novello ha vissuto il suo periodo di maggior splendore, superando le 18 milioni di bottiglie prodotte nel biennio 1999-2001, a soli 5 anni di distanza la produzione si è dimezzata e oggi che di anni ne sono passati 20 non si arriva ai 2 milioni di bottiglie prodotte.

I motivi sono molteplici: l’ostracismo della critica enologica e degli esperti, che hanno sempre considerato il Novello un “non vino”, un prodotto cioè con poca dignità e qualità; la scarsa serietà della legislazione italiana, che limitando l’obbligatorietà del vino prodotto con il metodo della macerazione carbonica al solo 40%, ha di fatto autorizzato le grosse aziende a tagliarlo con gli scarti di cantina, immettendo così sul mercato un vino davvero di scarsa qualità.

Questo non significa che tutto il Vino Novello che si produce in Italia sia pessimo, tutt’altro, ci sono moltissimi produttori che interpretano la tipologia con rigore e serietà, se non altro per un motivo tanto venale quanto comprensibile: il Novello permette di monetizzare subito i costi della vendemmia e del raccolto, che invece normalmente vengono ammortizzati in parecchi mesi se non addirittura anni.

Nelle foto, quando a Cremona si faceva il vino e si imbottigliava

Andrea Fontana


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