E finalmente è di nuovo Vinitaly (44)
Mettiamo in pausa per una settimana il nostro sogno di diventare vignaioli e torniamo ad occuparci di attualità.
Dopo due anni di restrizioni, edizioni online e ridotte, più o meno riuscite, finalmente da domenica prossima a Verona torna la 54° edizione del Vinitaly, la fiera italiana del vino più importante della penisola.
Chi scrive ne ha visitate quasi trenta di edizioni, e posso affermare senza tema di smentita che tutti i più grandi fenomeni sociali e commerciali legati al vino sono passati dai cancelli di Viale del Lavoro.
Vinitaly oggi è una fiera pensata e realizzata per gli addetti del settore. L’edizione 2022 si svolgerà da domenica 10 aprile a mercoledì 13 aprile e vi prenderanno parte oltre 4.000 espositori provenienti da 140 paesi.
La scelta dei giorni non è casuale. Non comprendere il sabato nei giorni di apertura, significa cercare di intercettare solamente gli attori che si muovono nel comparto del vino: produttori, agenti di commercio, distributori, enotecari, ristoratori, sommelier professionisti, wine blogger, ecc.
a E questo è di sicuro il primo significativo stravolgimento sociale legato al mondo del vino italiano. Una volta Vinitaly iniziava il venerdì e terminava il lunedì, con i primi tre giorni che erano chiaramente appannaggio del consumatore finale, ed il solo lunedì dedicato agli operatori del settore. Poi piano piano si è aggiunto il martedì, poi il mercoledì ed infine si è arrivati alla programmazione attuale.
Ma chi, come me, ha qualche primavera sulle spalle, ricorda chiaramente come i primi anni Vinitaly fosse, di fatto, il refugium peccatorum di tutti gli amanti della bevanda di Bacco di Verona e dintorni. E ci credo: con pochi spiccioli (i biglietti costavano una miseria, e innumerevoli erano gli ingressi gratuiti offerti dagli espositori) gli avventori avevano a disposizione infiniti assaggi gratuiti che, sommati, facevano un grande volume! E non di rado si assisteva a scene francamente poco edificanti, con persone in evidente stato confusionale che dovevano essere accompagnate all’uscita.
Poi si è deciso, giustamente, di porre un limite a tutto questo: i biglietti hanno iniziato a costare sempre di più (quest’anno per entrare si deve sborsare la non economica cifra di 100 euro), gli inviti omaggio ad essere centellinati, i giorni di apertura, come già detto, spostati nelle settimana lavorativa. Ne ha guadagnato di certo la qualità dell’esperienza che un professionista può vivere, e il prestigio e l’attrattiva che la fiera può emanare verso i possibili espositori.
Eh si, perché una volta, quelli con la puzza sotto il naso (oggi qualcuno li chiama “enofighetti”), consideravano solo Vinexpo a Bordeaux e Prowein a Dusseldorf fiere degne di nota. Al contrario, oggi Vinitaly ha acquisito e rivendica con orgoglio il suo ruolo di principale fiera del settore, non solo italiana ma perlomeno europea.
E senza voler intraprendere voli pindarici su fenomeni sociologici che non ci appartengono, è però evidente che anche questo è un segno dei tempi: il vino, sia nel mercato che nella testa delle persone, si è trasformato da alimento destinato ad un largo consumo, gioioso e anche un po’ spensierato o avventato; a bevanda di grande qualità organolettica, precisione stilistica, rigidità espressiva e in taluni casi forse un po’ elitaria.
Un altro fenomeno interessante osservato durante quasi trent’anni di Vinitaly è la repentina e spesso incontrollata “serpentina” (ma forse sarebbe meglio chiamarlo serpentone) che ogni anno spinge i visitatori verso le zone vinicole più “cool” in quel determinato momento.
Si è così passati dagli anni in cui solamente pensare di visitare il padiglione della Sicilia era pura follia (Chardonnay di Planeta, ti dice qualcosa?) agli anni in cui sembrava esistere solo Scansano (quanti ancora oggi a Cremona bevono Morellino?). Poi è arrivata la moda dei vini del Nuovo Mondo, con gli Chardonnay Californiani, i Sauvignon Neozelandesi, i Syrah Sudafricani, i Merlot Cileni, i Malbec Argentini, ecc. Tornando nel Vecchio Continente, ad un certo punto si è iniziato a conoscere e perlustrare i Tokay Ungheresi, i Rioja Spagnoli, i vini rossi del Douro Portoghese.
E in Italia? Non ci siamo fatti mancare niente. Si è assistito al fenomeno dei vini iper-concentrati e super-alcolici stile “mangia e bevi” (venivano chiamati proprio così), in cui la presenza della nota vanigliata della barrique era obbligatoria, qualsiasi fosse il colore dell’uva. Poi si è passati a privilegiare il varietale sopra ogni cosa (e guai ad usare contenitori invasivi come le barrique, acquistate pochi anni prima). Siamo passati dalle obbligatorie e innovative vasche di acciaio (che permettono il controllo della temperatura e garantiscono la massima neutralità), al ritorno unanime verso il cemento vetrificato (che è coibentatore naturale), che solo pochi anni prima era stato dismesso in fretta e furia.
E ancora: siamo transitati dall’imprescindibile barrique (che “marchia” il vino in essa contenuto con chiare note tostate e vanigliate) al ritorno del legno grande, più tradizionale e meno invasivo. Abbiamo amato alla follia i vini aromatici o semi-aromatici (due su tutti, il Gewurtraminer e il Sauvignon) mentre adesso vogliamo solo uve neutre, scariche e leggiadre (leggi Riesling Renano e Pinot Nero, ma anche la Schiava Gentile sta dicendo la sua). E poi il fenomeno delle cosiddette “bollicine”, che sembra davvero inarrestabile: vent’anni fa i produttori di vino spumante si contavano sulle dita di una mano ed erano desolatamente disoccupati per tutti i giorni del Vinitaly. Provate oggi a pensare di avvicinarvi al Padiglione della Franciacorta e poi mi raccontate.
E infine, dopo questo elenco semiserio consentimi, amico mio lettore, amica mia paritaria, di parlare di un fenomeno sociale e sociologico questo sì, davvero importante per il mondo del vino, e non solo: sto parlando della sempre più attenta sensibilità alla produzione.
Vent’anni fa era importante solamente quello che c’era nel bicchiere. I profumi, la persistenza, le caratteristiche organolettiche. Oggi, questo conta solamente se è il risultato di un modo di produrre sano, attento all’ambiente, sostenibile e al servizio della biodiversità. Per questo sono nate, in contemporanea a Vinitaly, diverse fiere alternative, organizzate dalle associazioni dei produttori cosiddetti “naturali” (due su tutte: Cerea e Villa Favorita - oggi trasferitasi a Gambellara). E per questo, da qualche anno, la più importante associazione di produttori artigiani, la FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), ha un suo spazio ben preciso e riconoscibile all’interno del Vinitaly stesso.
Per oggi è tutto, se sarai tra i fortunati che visiteranno Vinitaly nei prossimi giorni, raccontami nei commenti la tua esperienza.
Venerdì prossimo scendiamo in cantina, non mancare!
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